lunedì 30 gennaio 2023

Il nuovo film di Chazelle è una Babilonica confusione

Facciamo una premessa molto scomoda: io ho detestato e detesto tuttora La La Land, cioè il film considerato dall'intero pianeta il "capolavoro" di Damien Chazelle.

Era il 2017. Ormai resto sveglia ad assistere alla Notte degli Oscar dal 2014. Di solito le cerimonie si svolgono con ordine e ben cadenzate da riti istituzionali. A parte lo schiaffo dell'anno scorso e qualche momento divertente o emozionante, come il selfie di Ellen DeGeneres o le esibizioni canore di Justin Timberlake e del duo Lady Gaga-Gary Cooper, nessuna premiazione è stata più memorabile di quella del 2017. Io e mia sorella avevamo passato tutta la sera a tifare contro La La Land, ma, una dopo l'altra, eravamo rassegnate a vedergli conquistare statuette su statuette. Tutto già scritto, nessuna sorpresa. E invece la sorpresa ci fu eccome. La storia ricorderà per sempre Warren Beatty che apre la busta e legge perplesso. Un breve momento di panico, poi Faye Dunaway lo invita a smettere di scherzare, ma il divo resta attonito e così le passa la busta. La Dunaway prende in mano la situazione e annuncia La La Land. La produzione e il cast si abbracciano e saltellano baldanzosi verso il palco: baci, lacrime, Jordan Horowitz sta ringraziando tutti. Ma qualcosa non va. Mentre è il turno di Marc Platt ai ringraziamenti, gli altri produttori aggrottano le sopracciglia e un addetto ai lavori comincia a controllare quelle buste rosse. Fred Berger non riesce a concludere i suoi ringraziamenti. C'è confusione e lo stesso Horowitz svela il colpo di scena e il contenuto della busta corretta: il vero vincitore è Moonlight e molto galantemente il produttore resta sul palco per consegnare personalmente la statuetta a Barry Jenkins, che abbraccia. Il nome nella busta che Beatty e Dunaway avevano in mano è in realtà quello di Emma Stone, già annunciata come vincitrice ormai da diverse decine di minuti. Il cast di Moonlight è sbalordito e si abbraccia stupefatto e io e mia sorella altrettanto! Il più bel plot twist della notte degli Oscar. Non che Moonlight ci piacesse di più, ma avevamo maggiore avversione per La La Land. Non è che non mi piace, si tratta di autentica, viscerale antipatia. Chissà da quanto tempo non restava così scioccato il pubblico a una serata dell'Academy. Da quando Benigni ha marciato sullo schienale delle sedie per salire sul palco a ritirare l'Oscar, probabilmente, o da quando ci è salita Sacheen Littlefeather al posto di Marlon Brando.

Procediamo con una seconda premessa: l'ultima fatica scritta e diretta da Damien Chazelle dura sicuramente troppo. Tre ore e dieci erano troppe già prima che ne cominciassi la visione. Qualunque film di quella durata è eccessivamente lungo, escludendo forse la trilogia de Il Signore degli Anelli, in cui il materiale è talmente tanto e il tono così epico che era difficile accorciarlo molto (anche se ne Le Due Torri si poteva e si doveva fare). Anche Avatar 2 è troppo lungo di almeno mezz'ora-quaranta minuti. Nel particolare caso di Babylon, inoltre, le recensioni, che ne hanno preceduto l'arrivo in Italia e che lo stroncavano in termini mica tanto gentili, facevano intendere che quelle tre ore e dieci minuti sarebbero pure state di sofferenza.

Così sono arrivata in sala un tardo pomeriggio (sconsiglio l'orario serale per una lunghezza così impegnativa) di un giorno feriale, quasi col patema d'animo all'idea di (non) affrontare un'impresa che sembrava titanica. Ma è andata meno peggio del previsto.


La storia si ambienta tra Anni Venti e Anni Trenta del secolo scorso a Hollywood, nel dorato ("ma non troppo" ci dice il film) mondo del cinema, precisamente tra gli ultimi fasti del cinema muto e i primi anni del sonoro. Il film inizia con i preparativi per una festa di proporzioni gigantesche a casa del più importante produttore di Hollywood, Don Wallach (che somiglia proprio tanto a Harvey Weinstein, fisicamente e nel timore che suscita la sua apparizione): alcol a fiumi, droghe a chili, musica, orge e la già famosa scena dell'elefante, che in un momento di eccessiva ansia evacua in primo piano. La scena, a mio parere, è anche riuscita e divertente, ma è già celebre per l'irriverenza della ripresa e il suo sottintendere che il bersaglio era la telecamera. Anche la sequenza della festa ha fatto parlare di sé, ma non mi è sembrata tanto esagerata, quanto poco verosimile, checché se ne possa dire degli Anni Venti. Trovo sia un peccato che si parli così tanto di queste prime due sequenze e molto meno di altro, perché sono entrambe poste prima del titolo del film, che è ancora tutto da vedersi.
Il protagonista della storia è il messicano Manny (Diego Calva), vagamente ispirato a Rene Cadorna, che al momento dei preparativi è al soldo degli organizzatori di casa Wallach, ma che in breve tempo si ritroverà a lavorare nel mondo del cinema. Sarà proprio la sua storia quella di cui seguiremo le evoluzioni, intrecciandosi con le vicende degli altri attori che Chazelle ha voluto rappresentare. 

Partiamo dai due comprimari di Diego Calva. Già The Artist trattò questo tema, storicamente corretto: molti attori versatili per la recitazione nei film muti, che erano venerati al punto di generare il fenomeno del divismo negli Anni Dieci e Venti, non erano altrettanto portati per la recitazione vocale o avevano voci sgraziate e finirono per non avere più il loro spazio nel cinema, cadendo in disgrazia. Se in The Artist questa storia è raccontata attraverso il personaggio di George Valentin, in Babylon invece vengono usati ben due personaggi e due linee narrative distinte per rappresentarla. Da una parte abbiamo Jack Conrad (Brad Pitt), che dovrebbe riprendere la storia di John Gilbert, con cui condivide un alto numero di divorzi e la fine della carriera dovuta al "miagolio" della voce. Dall'altra però non abbiamo la controparte che Bérénice Bejo era in The Artist, cioè l'attrice che nel sonoro fa carriera relegando la vecchia guardia nel dimenticatoio, ma abbiamo una seconda attrice di cui si descrive la discesa. Per la precisione, incontriamo Nellie Le Roy (Margot Robbie) all'inizio del film, quando ancora è una sconosciuta che fa innamorare il giovane Manny, legandolo per sempre alla sua figura e, in qualche modo, anche alla sua fulminea carriera. Nellie è infatti notata da una regista per il suo talento espressivo durante una sostituzione fortuita e sale rapidissimamente alla ribalta, ma i suoi eccessi e le difficoltà a lavorare nel sonoro la condurranno in modo altrettanto veloce a consumarsi e ad autodistruggersi. Per alcuni aspetti questo personaggio rimanda all'attrice Clara Bow, che ebbe però una carriera molto più brillante, recitando anche in Ali, il primo film a vincere il premio Oscar nella categoria Miglior Produzione (che è divenuta poi Miglior Film) nel 1929, anno in cui fu assegnato per la prima e ultima volta anche l'Oscar alla Miglior Produzione Artistica ad Aurora di Murnau.

I due personaggi di Pitt e Robbie vogliono denunciare l'ipocrisia di Hollywood, che organizza baccanali e poi fa la morale, che lusinga e poi dimentica ciò che diventa troppo vecchio o imbarazzante, mentre ne succhia l'anima finché la gallina fa le uova d'oro. Questo aspetto di sfruttamento si legge anche negli altri due personaggi a cui, però, il film dà il compito principale di rappresentare il razzismo imperante nei vertici Hollywoodiani. Chi non è nato bianco e benestante non sarà mai davvero accettato: sarà usato e poi nascosto o gettato.

Così è per Lady Fay Zhu (Li Jun Li), personaggio che ha l'ingrato compito di rappresentare due minoranze: la provenienza da una famiglia cinese di commercianti e l'orientamento sessuale lesbico. Fay Zhu sarebbe ispirata in parte a Anna May Wong e in (minima) parte a Marlene Dietrich, ma solo in una scena indossa abiti maschili come feceva, a volte, la Dietrich. Per ottimizzare il numero di personaggi, si condensa in lei anche il ruolo di scrittrice di didascalie, che diventano obsolete nei film sonori, rendendo superfluo quel tipo di lavoro.

Il razzismo ha modo di essere rappresentato anche attraverso il personaggio di Sidney Palmer (Jovan Adepo), quando una branca di produzione si specializza in film con attori di colore e recluta a tal scopo questo trombettista jazz. Palmer però incarna anche qualcos'altro, strettamente connesso alla libertà del suo stile musicale, che gli consentirà un destino più fortunato degli altri personaggi.

Questi quattro attori, la cui scrittura non mi soddisfa del tutto perché sono più ruoli che personaggi, sono uniti nello scopo di denunciare il marcio di Hollywood, ma al contempo questa denuncia è contraddetta dal loro essere infatuati dal cinema, dal set. In particolare il personaggio di Brad Pitt (e nella parte iniziale del film lo fanno anche Manny e Nellie) a più riprese proclama la grandezza del cinema, la sua importanza per gli spettatori, la pubblica utilità dell'attore. Più didascalico di così non credo potessero scriverlo.

Ultimo ruolo-personaggio molto strano perché (anche lei) doveva condensare più ruoli in uno, è quello dell'opinionista Elinor St. John (Jean Smart). A tratti appresenta la morale imperante, aiuta a un certo punto Nellie come un Pigmalione, a tratti raffigura l'origine del gossip e incarna la stampa che fa e disfà, che crea il mito del divo, come la figura di Elinor Glyn ha fatto con Rodolfo Valentino o Clara Bow, ma che può anche affondare il suo stesso prodotto. Verso la fine del film il suo personaggio avrà la sua parte di dialoghi didascalici sulla sua categoria e su quella degli attori.

Le recitazioni del film, compresa quella di Tobey McGuire (del cui personaggio non posso raccontare niente, a differenza di quelli ispirati a biografie vere), sono una delle parti più convincenti del film. Penso soprattutto all'interpretazione di Margot Robbie, che ho trovato strepitosa. Considerando la premiazione come miglior attrice di Emma Stone proprio per l'altro film di Chazelle, in cui aveva anche una scena molto simile a quella girata in Babylon (autocitazione!), o nel caso del 2017 sono stati troppo generosi, o quest'anno non è stato reso il giusto merito alla Robbie, che ho trovato superiore alla Stone sulle due performance in questione. Margot Robbie non ha ricevuto nessuna candidatura ai Premi Oscar di quest'anno, ma l'aveva ricevuta ai Golden Globes come migliore attrice nella categoria Musical/Comedy. Nella stessa categoria era stato nominata l'interpretazione come miglior attore di Diego Calva, che non avevo mai visto recitare, ma che mi è piaciuto moltissimo. Anche Brad Pitt aveva ricevuto una nomination ai Golden Globes come attore non protagonista.

Il film però non è stato escluso dalla corsa agli Oscar, ricevendo tre nomination: ai migliori costumi (di Mary Zophres), che francamente trovo discutibile, alla migliore scenografia (di Anthony Carlino e Florencia Martin), che ci può stare, e alla colonna sonora, che è probabilmente la cosa migliore del film, sempre azzeccata rispetto al contesto e molto scoppiettante. Justin Hurwitz, già due volte premio Oscar per La La Land -colonna sonora e canzone, che avevano vinto proprio tutto dai Golden Globes al BAFTA-, ha già vinto il Golden Globe e si prepara a raggiungere un probabile "triplete" all'Academy.

Fin qui ho potuto parlare di tutto ciò che si può definire bianco o nero nel film, ma le cose si fanno dure su tutto quello che invece ha diviso la critica.

In primis, il ritmo. Avevo letto che era molto discontinuo, con un primo tempo molto più veloce del secondo tempo, dove c'era un crollo netto. A me invece il ritmo è apparso sì discontinuo, ma senza differenze così significative sancite dall'intervallo: il ritmo per me è stato molto lento, con sequenze anche noiose fin da subito, per esempio quando compare Nellie, alternate a cinque-sei sequenze frenetiche, distribuite nel corso del film (tre-quattro nella prima parte e due nella seconda, circa), di cui un paio al cardiopalma. Ma sono un'alterazione momentanea di una calma altrimenti piatta, non immobile e insopportabile, ma che si è presa tutto il tempo (troppo, sempre quella buona mezz'ora di troppo) per raccontarti le vicende.

Lo stesso discorso può essere fatto per il montaggio. Ci sono due sequenze, una poco dopo il titolo del film e quella finale, in cui il montaggio è ultra frenetico, quasi nevrotico per la velocità con cui si susseguono i tagli, ma con risultati, per me, totalmente opposti.

Nel primo caso abbiamo una lunga sequenza che si svolge dopo la festa, che rappresenta il cambio di rotta per Manny e Nellie, una svolta nelle loro vite: entrambi approdano su un set cinematografico e sono fagocitati dalla sua immensità e dalla sua frenesia. In questo caso quel montaggio veloce quasi da far girare la testa ci stava, contribuiva a rendere benissimo il senso di quella sequenza. Le scene parlavano, raccontavano senza bisogno di tutti i sottotitoli che sono stati messi nei dialoghi di Pitt. Quella sequenza vale il prezzo del biglietto e le tre ore, altrimenti mal spese, di quel pomeriggio: è stata una delle cose più belle visivamente che ho trovato al cinema ultimamente. Ne ero entusiasta.

Al contrario questo stesso tipo di montaggio sulla sequenza finale che inanella spezzoni di questa stessa pellicola (autocitazione al quadrato!), spezzoni di altre opere cinematografiche famose, in ordine secondo il programma delle lezioni di storia del cinema, e un trip di colori psichedelici che, okay, mi vuoi far vedere che tingono la pellicola come si usava fare agli albori, m'ha fatto storcere il naso. Questa sequenza, mezza citazione di 2001: Odissea nello spazio, per me non aveva senso, in quanto ennesimo tributo che Chazelle offre al cinema, ancora didascalico da morire. Aveva già tentato di omaggiare i film muti e anche un po' di Tarantino, ma non aveva ancora citato a memoria gli appunti dell'Università. Se Chazelle avesse cassato questo ultimo tributo, chiudendo dopo una delle scene clou del duo Manny-Nellie, al grido di "stop!" avrebbe celebrato lo stesso la settima arte, ma con un risvolto a sorpresa e un risultato meta-cinematografico, ma i finali del regista devono rendere insoddisfatto lo spettatore o non se ne fa niente. 

La regia a me è anche piaciuta: ci sono tagli diversi, c'è il piano sequenza, c'è la ruffianata simpatica dell'elefante. Potremmo dire che è un esercizio di stile (e visti gli intenti palesi di Chazelle, probabilmente è vero) ed è per questo probabilmente che non è stata inclusa nella cinquina per gli Oscar. Spielberg è stato più pulito e onesto e mi piacerebbe molto che la sua regia vincesse l'Oscar, la preferisco senza dubbio a questa, ma è comunque una regia che si è data da fare, che ha voluto dire qualcosa e farlo in modo ricercato. Se Chazelle merita o meno (per me) di stare negli esclusi ancora non posso dirlo, poiché mi mancano ancora molti dei film in lizza nella categoria (sia per l'Academy, sia per i Globes). Sarà una lunga maratona di qui al 12 marzo.

Il problema di questo film è la scrittura, tanto per cambiare, visto non lo dicevo da un paio di recensioni. M'ero abituata troppo male con Living. La sceneggiatura mette troppa carne al fuoco, ma è approssimativa. Alcuni dialoghi sono odiosi da quanto sono banali e faciloni. La deriva della storia è ovvia da subito, anche se a un certo punto la storia diventa un po' gangster-movie a caso, per dare la svolta finale e per inserire elementi di mostruosità che non comparivano abbastanza nella scena della festa. Si potevano concentrare questi aspetti insieme invece che in due scene messe proprio in cima e in fondo. Sommando il tempo che si sarebbe risparmiato eliminando le lungaggini e i dialoghi scritti con lo scalpello, forse si poteva eliminare quasi un'ora intera.

Ma quindi...m'è piaciuto? Nonostante ci stia pensando da cinque giorni, non trovo una risposta. Non è un brutto film, magari un po' noioso, ma ho davvero visto di peggio. Di sicuro non è neanche un capolavoro. 

Cosa non mi è piaciuto: La storia non mi piace. Scritto coi piedi lo è e Chazelle è antipatico almeno quanto in La La Land. La sequenza finale m'ha fatto perdere la pazienza. Il ritmo è tendenzialmente noioso, salvo alcuni scatti concitati, raggiungendo il massimo della discontinuità.

Cosa mi è piaciuto: D'altro canto visivamente è molto bello e ho apprezzato in alcuni momenti sia il montaggio, sia la regia (ma non sempre). Ho adorato la sequenza sul set e mi è piaciuta molto la scena in cui Manny assiste alle reazioni del pubblico al primo film sonoro. Margot Robbie e Diego Calva mi sono piaciuti moltissimo e la colonna sonora è una bomba.

Giudizio: ⭐⭐⭐1/2

Grazie Ragazzi: il teatro nel carcere

Il regista Riccardo Milani dirige il remake del film francese del 2020 Un triomphe, Grazie Ragazzi con Antonio Albanese, Vinicio Marchioni, Sonia Bergamasco, Fabrizio Bentivoglio. Di Milani avevo visto e apprezzato molto Ma cosa ci dice il cervello. Nel 2007 avevo anche visto Piano, solo, ma dovrei dargli una seconda visione perché non è più fresco nella mia memoria. Anche questo ultimo lavoro del regista romano mi è piaciuto abbastanza.


La storia riprende quella vera di un giovane regista e dei cinque attori di un carcere svedese che nel 1985 recitarono Aspettando Godot di Samuel Beckett, ottenendo così tanto successo per la loro autenticità nella recitazione, da essere chiamati a portare lo spettacolo in tournée. All'epoca anche Beckett ne rimase conquistato e gli concedette i diritti per la rappresentazione e il documentario del 2005, che ne ricostruisce la storia, si chiama appunto Les Prisonniers de Beckett.

Questo adattamento di Milani e Michele Astori ambienta le vicende a Roma, ma si mantiene fedele nei fatti principali alle due opere precedenti. Antonio Albanese interpreta un attore, Antonio, che non calca più i palcoscenici da qualche anno e per tirare avanti doppia porno, finché non viene contattato dal ben più celebre collega Michele (Fabrizio Bentivoglio), con cui aveva recitato anni prima. Michele gli propone di accettare sei ore di insegnamento di recitazione in carcere. Antonio non è neppure convintissimo, ma accetta. Il progetto ha più successo del previsto tra i detenuti, che si appassionano alla recitazione, così come Antonio si affeziona a loro e all'impresa, arrivando a portarli a teatro recitando addirittura Aspettando Godot

Il film solleva non poche tematiche, ma, dal mio punto di vista, in modo più ruffiano, puntando allo stomaco dello spettatore medio, che autentico. Questi argomenti vengono sì menzionati, ma in modo abbastanza veloce e, soprattutto, didascalico, senza un approfondimento sentito ed emozionante. Le vicende che portano in carcere i neo-attori non ci sono raccontate, a parte quella di Aziz (Giacomo Ferrara), di cui si racconta anche parte della storia. Questa è accennata e solo a parole: non funzionano, non trasmettono empatia, sono solo state buttate lì, quasi da "acchiappa-like". Lo stesso vale per il breve accenno alla condizione di Diego (Vinicio Marchioni). Si intuisce qualcosa della storia di Radu (Bogdan Iordachioiu), che si ritaglia un piccolo spazio a un certo momento del film. Nulla sappiamo delle storie di Mignolo (Giorgio Montanini) o Damiano (Andrea Lattanzi) invece. 

Si fa cenno alla  condizione di perenne attesa dei detenuti (delle visite, dei corsi, dei ricorsi, dei ritmi del carcere e così via), invece, che li rende appunto perfetti a incarnare l'opera di Beckett. Ma anche in questo caso non assistiamo in prima persona: passa di sfuggita in un paio di dialoghi.

Un'ultima ragione che voglio addurre alla mancanza di vera empatia che si può provare nei confronti della storia portata su schermo è che ci troviamo davanti ad attori di mestiere (ovviamente). Le interpretazioni, che dovrebbero essere disincantate e pure, nel teatro dentro il cinema non possono veramente esserlo, perché sono inscenate da professionisti, per quanto bravi. Si tratta di una ricostruzione. In tal senso mi piacerebbe molto recuperare il documentario del 2005, sperando di trovarci spezzoni di quelle originarie recite degli anni Ottanta.

Fin qua ho parlato non propriamente di difetti, ma delle leggerezze del film. La storia, però, mi è molto piaciuta e il tono del film è molto leggero, piacevole. Le battute sono spesso divertenti e, tendenzialmente, è una comicità non volgare, sebbene non fine. 

Le interpretazioni sono veramente molto buone. Mi è piaciuta persino Sonia Bergamasco, che per esempio non ho apprezzato ne Il Commissario Montalbano. Bentivoglio è sempre convincente e non si poteva dubitare di nomi come Albanese e Marchioni, a cui da tempo sono già riconosciuti tutti i giusti meriti. In particolare Vinicio Marchioni ha una scena quasi tutta per sé in cui fornisce una prova (un esercizio di stile, in effetti) veramente significativa. Ma sono stati all'altezza anche gli interpreti dei carcerati.

In conclusione è una commedia leggera, che può divertire, adatta a una serata non impegnativa.

Giudizio: ⭐⭐⭐

domenica 29 gennaio 2023

Close: il film belga candidato a Golden Globes e Premi Oscar

L'ho visto nel piccolo teatro di un paese vicino al mio e mi sono veramente forzata per andarlo a vedere. Temevo che un drammone di quasi due ore su due adolescenti che forse si piacciono, ma non lo accettano fosse troppo fuori dal mio gusto. Invece il film del regista e sceneggiatore belga Lukas Dhont mi ha sorpresa in positivo.


Close è la storia di due amici per la pelle, Léo e Rémy, cresciuti insieme e inseparabili, fino a che non iniziano le scuole superiori. La storia si ambienta da un'estate (quella che precede l'inizio del Liceo) a quella successiva. Nella nuova scuola la loro grande vicinanza è letta, però, in senso romantico. I due ragazzi forse hanno (o forse no) un'attrazione l'uno per l'altro che è confusa e indefinita, come è normale per l'età in cui si trovano, soggetta a cambiamenti, nuovi interessi, all'allargamento della cerchia di conoscenze della loro età. L'accettazione o meno di questo mutamento del loro rapporto di amicizia porterà conseguenze significative da affrontare.

La storia, scritta a quattro mani dal regista e da Angelo Tijssen, che avevano già lavorato insieme, è molto bella e lo dico da amante delle storie d'azione e molto poco delle storie sentimentali. Ho colto qualche vibes alla Moonlight, ma la storia è totalmente diversa. Non posso entrare nel dettaglio nelle tematiche del film perché sfuggirebbero spoiler, quindi non lo farò. Il protagonista è Léo ed è attraverso i suoi occhi e le sue reazioni che lo spettatore assiste alle vicende. Nel susseguirsi e, proprio, nel ripetersi del suo quotidiano (andare a scuola, rapportarsi coi compagni, aiutare i genitori, allenarsi e di nuovo e di nuovo le stesse dinamiche) cogliamo il suo modo di affrontare quello che gli accade, le sue emozioni e difficoltà. Poco prima dell'ultimo atto della storia, è in questo ripetersi che il protagonista sembra trovare la forza di affrontare di petto quello che l'evento principale del film ha provocato in lui. È una scena bellissima, che riprende e quasi chiude il cerchio con una frase pronunciata da un altro personaggio precedentemente.

Ho trovato incredibile che il giovane attore, Eden Dambrine, abbia retto un numero così elevato di scene da solo e dando ai sentimenti del personaggio credibilità e profondità. Anche l'interpretazione di Émilie Dequenne mi è piaciuta molto.

Il film ha un ritmo abbastanza lento, si prende il suo tempo, ma non mi ha annoiata. Unica eccezione: una delle primissime scene, in cui osserviamo i ragazzi dormire vicini per un tempo quasi infinito, e che mi ha dato quasi un senso di claustrofobia per la sua immobilità. Poi il film si riprende e il ritmo diviene costante.

Il film, presentato al Festival di Cannes nel maggio scorso, dove ha vinto il Gran Prix Speciale della Giuria, è uscito in Italia ai primi di gennaio. È stato candidato come miglior film straniero ai Golden Globes, dove è stato superato da Argentina, 1985, e ai Premi Oscar.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

venerdì 20 gennaio 2023

Living: storia di un gentiluomo e della sua eredità

Bill Nighy per la sua interpretazione in Living di Oliver Hermanus è già stato candidato ai Golden Globes, ai BAFTA e ai SAG Awards e fra cinque giorni sapremo se sarà candidato anche agli Oscar. Il film, sceneggiato nientepopodimeno che dallo scrittore Kazuo Ishiguro, Premio Nobel per la letteratura nel 2017, è il remake di Vivere, film del 1952 di Akira Kurosawa. È stato presentato al Sundance Film Festival e alla Mostra del Cinema di Venezia.

Non sono Mary Poppins, ma un gentleman

Nella Londra degli anni Cinquanta, Mr. Williams, uomo serio e tutto d'un pezzo, è a capo dell'Ufficio Progetti Pubblici e assolve ai suoi doveri in modo impeccabile in una routine invariabile, finché non gli viene scoperto un cancro. All'uomo rimangono sei mesi di vita o poco più e questa scoperta sconvolge il suo tran-tran. Da un lato vorrebbe approfittare del tempo che resta per godersi la vita, dall'altro una vita di bagordi non ha mai fatto parte del suo essere e gli sembra insufficiente a riempire il tempo rimasto.

Questo film mi è piaciuto moltissimo. La storia è delicatissima, ma in un'ora e quaranta (eccellente pregio del film) affronta una serie di tematiche molto serie con una certa dolcezza. Oltre al senso della vita, al doversi separare dai propri cari, alla paura non solo della morte o del tempo che scorre inesorabile, ma anche di affrontare la realtà, si affiancano la coerenza con sé stessi e la scoperta di chi siamo per gli altri, il concetto di esempio di vita, il lascito spirituale e la memoria che restano dopo di noi. È un film pieno, che riempie di emozione e molto merito va sia alla sceneggiatura, sia alla recitazione.

Bill Nighy è un gigante, ma sono molto credibili anche le altre interpretazioni, tra cui quelle di Aimee Lou Wood, Alex Sharp e Tom Burke.

Vorrei ancora rimarcare come sia possibile gestire una storia e i suoi sottotesti in meno di due ore, quando un testo è ben scritto. Continuo a ritenere che le lunghezze eccessive siano non solo superflue, ma anche segno di una difficoltà a concentrare la storia, a raccontarla esaustivamente e in modo sintetico allo stesso tempo. In questo film sceneggiatura e regia invece riescono alla perfezione.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

Il corsetto dell'imperatrice: Vicky Krieps svela il lato fragile di Sissi

 Il corsetto dell'imperatrice di Marie Kreutzer è stato presentato allo scorso Festival di Cannes, dove ha vinto il premio Un Certain Regard per l'interpretazione della protagonista, Vicky Krieps, che avevo visto ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson (film di cui ricordo solo la noiosità).

A circa dieci anni per Carnevale
(non ero per niente fissata con la principessa Sissi)

Il film tratta un anno della vita dell'imperatrice Sissi, tra il 1877 e il 1878, anno di irrequietezza, che poi evolve in depressione, di insofferenza per la condizione di donna-oggetto, considerata solo per l'aspetto, che sta cambiando, essendo ormai giunti i quarant'anni, e con cui lotta costantemente perché sia all'altezza delle aspettative (ginnastica, diete rigidissime, un culto maniacale dei capelli). Ma Elisabetta ha le sue idee, vorrebbe poterle esprimere, vorrebbe poter dire la sua a un marito che forse è stanco di lei. L'irrequietezza si trasforma in un'incapacità di restare a lungo nello stesso luogo, a costo di allontanarsi dai figli, che ormai sono cresciuti e che, oltre a non aver bisogno di lei, la giudicano. Non riesce a soffrire Vienna, le preferisce l'Ungheria e ai palazzi preferisce gli spazi aperti e le cavalcate. Ma ogni luogo che la ospita, dopo un po' si rivela inadatto a placarla. Più vicino a lei sono le sue dame di compagnie, le nobili del suo seguito. Anch'esse ruotano come satelliti intorno all'imperatrice, ma sono punti più fermi degli altri.

Vicky Krieps è entrata dentro al personaggio totalmente e in modo più che convincente. Anche le altre interpretazioni nel film sono state valide. L'attore che interpreta Francesco Giuseppe, però, in questi giorni è al centro di una bufera, trovato in possesso di immagini pedopornografiche. I media sono dunque passati dal parlare del successo del film alle polemiche. 

Ho apprezzato regia e sceneggiatura e la colonna sonora del film. Il ritmo è piuttosto lento, ma non pesa, se non verso la fine: la durata complessiva di quasi due ore è un filo eccessiva e, sul finale, si sente, si avverte la sensazione che non arrivi una conclusione. In effetti una conclusione vera manca, perché il periodo trattato è isolato.

Gli incassi, in data odierna, sono sui 2,7 milioni di dollari.

Cosa mi è piaciuto: punto di vista e scrittura molto interessanti, eccellente Vicky Krieps

Cosa non mi è piaciuto: è lungo e, alla fine, pesa

Giudizio: ⭐⭐⭐

mercoledì 18 gennaio 2023

Waiting Academy Awards: Premi di categoria e shortlists

Manca meno di una settimana alle attese nomination ai premi cinematografici più attesi dell'anno e nell'attesa vediamo quali sono le nomination agli altri premi di categoria (i SAGA sono stati trattati a parte) e le shortlist rilasciate a dicembre per una decina di categorie, cioè le "ristrette" decadi-quindicine di titoli da cui saranno estratti (le votazioni sono terminate ieri) i titoli che finiranno nelle cinquine candidate per la votazione finale che avrà luogo tra il 2 e il 7 marzo.


Anche questi premi, come i SAGA, sono spesso anticipatori delle vittorie agli Oscar, considerando che i sindacati di categoria, che assegnano i premi, comprendono tra i loro membri proprio coloro che voteranno nella propria sezione per l'Academy.

Andando in ordine cronologico di cerimonia, apriamo la carrellata con i Make-Up Artists & Hair Stylists Guild Awards, l'11 febbraio:

Miglior trucco contemporaneo
The Batman
Everything Everywhere All At Once
The Menu
Nope
Spirited

Miglior trucco d’epoca o di creazione di un personaggio
Amsterdam
Babylon
Blonde
Elvis
Till

Migliori effetti speciali di make-up
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Elvis
The Whale

Migliore acconciatura contemporanea
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Everything Everywhere All at Once
Glass Onion: Knives Out
The Menu

Migliore acconciatura d’epoca o di creazione di un personaggio
Amsterdam
Babylon
Blonde
Elvis
The Woman King

Il 18 febbraio saranno assegnati i Director Guild of America Awards (DGA Awards) e gli Art Director Guild Awards (ADG Awards). Di seguito i candidati per la miglior regia in un film e per le migliori sceneggiature:

Todd Field (Tàr)
Joseph Kosinsky (Top Gun: Maverik)
Daniel Kwan e Daniel Scheinert (Everything Everywhere All at Once)
Martin McDonagh (Gli spiriti dell'isola)
Steven Spielberg (The Fabelmans)

Rispetto alle candidature per i Golden Globes, restano esclusi Baz Luhrmann e James Cameron, mentre Todd Field era stato candidato per la sceneggiatura, ma non per la regia. Sono molto curiosa di sapere se si confermerà vincitore Steven Spielberg, che ho adorato alla regia di The Fabelmans, oppure se ci saranno soprese. Sarà premiato anche il miglior regista esordiente tra Alice Diop (Saint Omer), Audrey Diwan (Happening), John Patton Ford (Emily the Criminal), Antonietta Alamat Kusijanovic (Murina) e Charlotte Wells (Aftersun). Confesso di non aver visto nessuna di queste pellicole.

Migliore Sceneggiatura in un film contemporaneo
Bardo
Bullet Train
Glass Onion: Knives Out
Tàr
Top Gun: Maverick

Migliore Sceneggiatura in un film ambientato nel passato
Babylon
Elvis
White Noise
The Fabelmans
Niente di nuovo sul fronte occidentale

Migliore Sceneggiatura in un film fantasy
Avatar 2
Black Panther 2
The Batman
Everything Everywhere All at Once

Migliore Sceneggiatura in un film d'animazione
Pinocchio di Guillermo del Toro
Lightyear
Marcel the Shell with shoes on
Il gatto con gli stivali 2
Red

Successivamente, il 25 febbraio, al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills sapremo quali saranno i migliori produttori, anticipando i possibili miglior film nelle rispettive categorie agli Oscar. Queste le candidature dei Producers Guild of America Awards (PGA Awards):
Miglior film
Avatar: La via dell'acqua
Gli spiriti dell'isola
Black Panther: Wakanda Forever
Elvis
Everything Everywhere All at Once
The Fabelmans
Glass Onion: Knives Out
Tàr
Top Gun: Maverick
The whale

Miglior documentario
The Territory
All that breathes
Descendant
Fire of Love
Navalny
Nothing compares
Retrograde

Miglior film d'animazione
Pinocchio di Guillermo del Toro
Marcel the Shell with shoes on
Minions: Come Gru diventa cattivissimo
Il gatto con gli stivali: l'ultimo desiderio
Red

Sabato 4 marzo è la volta dei Cinema Audio Society Awards (CAS Awards) per il miglior sonoro. Queste le nomination: 
Miglior sonoro in un film
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Avatar: The Way of Water
Elvis
The Batman
Top Gun: Maverick

Miglior sonoro in un film d'Animazione
Pinocchio di Guillermo del Toro
Lightyear
Minions 2
Il gatto con gli stivali 2
Red

Miglior sonoro in un Documentario
Good Night Oppy
Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song
Louis Armstrong’s Black and Blues
Moonage Daydream
The Volcano: Rescue from Whakaari

Il 5 marzo saranno assegnati i Writers Guild of America Awards (WGA Awards)per le sceneggiature originali e non e gli American Cinema Editors (ACE) EDDIE Awards per i migliori montaggi. (Il post sarà aggiornato dopo le nomination del 25 gennaio e del 1° febbraio rispettivamente).

Il 5 marzo è la serata anche della fotografia, ma per gli American Society of Cinematographers Awards (ASC Awards) sono già disponibili le candidature:
Empire of lights
The Batman
Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths
Top Gun: Maverick
Elvis

Infine riporto le shortlist già rilasciate il 21 dicembre scorso:

Migliori Trucco e Acconciature
All Quiet on the Western Front
Amsterdam
Babylon
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Blonde
Crimes of the Future
Elvis
Emancipation
The Whale

Miglior documentario
All That Breathes
All the Beauty and the Bloodshed
Bad Axe
Children of the Mist
Descendant
Fire of Love
Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song
Hidden Letters
A House Made of Splinters
The Janes
Last Flight Home
Moonage Daydream
Navalny
Retrograde
The Territory

Miglior documentario breve
American Justice on Trial: People v. Newton
Anastasia
Angola Do You Hear Us? Voices from a Plantation Prison
As Far as They Can Run
The Elephant Whisperers
The Flagmakers
Happiness Is £4 Million
Haulout
Holding Moses
How Do You Measure a Year?
The Martha Mitchell Effect
Nuisance Bear
Shut Up and Paint
Stranger at the Gate
38 at the Garden

Miglior film straniero
Argentina, Argentina, 1985
Austria, Corsage
Belgium, Close
Cambodia, Return to Seoul
Denmark, Holy Spider
France, Saint Omer
Germany, All Quiet on the Western Front
India, Last Film Show
Ireland, The Quiet Girl
Mexico, Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths
Morocco, The Blue Caftan
Pakistan, Joyland
Poland, EO
South Korea, Decision to Leave
Sweden, Cairo Conspiracy

Miglior colonna sonora
All Quiet on the Western Front
Avatar: The Way of Water
Babylon
The Banshees of Inisherin
Black Panther: Wakanda Forever
Devotion
Don’t Worry Darling
Everything Everywhere All at Once
The Fabelmans
Glass Onion: A Knives Out Mystery
Guillermo del Toro’s Pinocchio
Nope
She Said
The Woman King
Women Talking

Miglior canzone originale
Time – Amsterdam
Nothing Is Lost (You Give Me Strength) – Avatar: The Way of Water
Lift Me Up – Black Panther: Wakanda Forever
This Is A Life – Everything Everywhere All at Once
Ciao Papa – Guillermo del Toro’s Pinocchio
Til You’re Home – A Man Called Otto
Naatu Naatu – RRR
My Mind & Me – Selena Gomez: My Mind & Me
Good Afternoon – Spirited
Applause – Tell It like a Woman
Stand Up – Till
Hold My Hand – Top Gun: Maverick
Dust & Ash – The Voice of Dust and Ash
Carolina – Where the Crawdads Sing
New Body Rhumba – White Noise

Miglior cortometraggio d’animazione
Black Slide
The Boy, the Mole, the Fox and the Horse
The Debutante
The Flying Sailor
The Garbage Man
Ice Merchants
It’s Nice in Here
More than I Want to Remember
My Year of Dicks
New Moon
An Ostrich Told Me the World Is Fake and I Think I Believe It
Passenger
Save Ralph
Sierra
Steakhouse

Miglior cortometraggio
All in Favor
Almost Home
An Irish Goodbye
Ivalu
Le Pupille
The Lone Wolf
Nakam
Night Ride
Plastic Killer
The Red Suitcase
The Right Words
Sideral
The Treatment
Tula
Warsha

Miglior sonoro
All Quiet on the Western Front
Avatar: The Way of Water
Babylon
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Elvis
Everything Everywhere All at Once
Guillermo del Toro’s Pinocchio
Moonage Daydream
Top Gun: Maverick

Migliori effetti speciali
All Quiet on the Western Front
Avatar: The Way of Water
The Batman
Black Panther: Wakanda Forever
Doctor Strange in the Multiverse of Madness
Fantastic Beasts: The Secrets of Dumbledore
Jurassic World Dominion
Nope
Thirteen Lives
Top Gun: Maverick

Ernest e Celestine e l'avventura delle sette note: una fiaba ad acquarelli

 Dieci anni fa, nel dicembre del 2012, uscì per la prima volta al cinema un adattamento (di Daniel Pennac, con la regia dei belgi Stéphane Aubier, Vincent Patar e del francese Benjamin Renner) dei personaggi di Ernest e Celestine, protagonisti delle storie per bambini dell'illustratrice Gabrielle Vincent, le cui tavole sono dipinte ad acquerello e hanno una grazia straordinaria. Il film fu candidato anche agli Oscar del 2014 come miglior film d'animazione, ma vinse Frozen. Successivamente fu realizzata una serie animata di 26 episodi, trasmessa in Francia nel 2017, per la regia di Julien Chheng e Jean-Christophe Roger, che hanno realizzato anche il sequel uscito nelle sale italiane il 22 dicembre scorso, Ernest e Celestine - L'avventura delle 7 note. In questo secondo capitolo della storia tornano al doppiaggio Claudio Bisio e Alba Rohrwacher, di nuovo nei panni dell'orso e della topolina.


La storia prende le mosse dal risveglio dell'orso Ernest, che abita con la sua amica Celestine, dal letargo, ritrovandosi affamato ma senza cibo né soldi per acquistarlo. La topolina Celestine corre dunque a prendere al piano di sopra il violino (un prezioso Stradivorso) di Ernest, affinché possano andare a esibirsi in strada per guadagnare qualcosa. Scendendo, però, inciampa nella pantofola che ha perso Ernest e ruzzola dalle scale, senza farsi male, ma distruggendo il violino. La topina si scusa e domanda se sia possibile ripararlo e un arrabbiatissimo Ernest le risponde che solo nella sua terra di origine, l'Ostrogallia, dove perennemente gli abitanti suonano musica, vive il liutaio che può aggiustarlo, ma che non intende tornarci mai più. "Così è e sempre sarà" le dice l'orso, citando il motto della sua gente, che si riferisce anche alle tradizioni che resistono immutate in Ostrogallia, come quella che vuole che i figli svolgano sempre il lavoro dei genitori. Celestine insiste, ma non gli fa cambiare idea e, mentre l'orso cade in depressione per la perdita dello strumento, la topolina studia il modo per raggiungere l'Ostrogallia da sola e parte di nascosto, portando con sé lo Stradivorso. Quando Ernest se ne accorge, la raggiunge e i due arrivano infine nel paese natale di Ernest, che è molto diverso da come lo ricordava: è infatti diventato proibito suonare qualsiasi nota diversa dal Do e la polizia arresta chiunque infranga la norma. Sconvolto da questa novità, che lo riguarda da più vicino di quanto non sappia, Ernest, insieme a Celestine, si unisce alla resistenza musicale.

La storia è molto simpatica e consente agli autori di rappresentare anche temi piuttosto complessi per un pubblico infantile. L'Ostrogallia che trovano i protagonisti al loro arrivo è infatti dipinta (è il caso di dirlo) come un paese grigio in cui è stata instaurata una dittatura: una legge iniqua, che sottrae una libertà preziosa e, per gli orsi, essenziale (chiara metafora di libertà fondamentali come quella di espressione) e la cui trasgressione è duramente perseguita, giungendo a gettare acqua sugli uccellini che cinguettano; una situazione tanto ostile da essere insorta una resistenza vera e propria, con paladini mascherati e alcove carbonare in cui riunirsi segretamente per fare e ascoltare musica; un'altra libertà, quella di scelta, di autoaffermazione, vittima dalle consuetudini desuete di questo popolo. All'inizio il clima è tanto cupo da avermi quasi trasmesso angoscia, poi per fortuna (considerando il target) si stempera e subentrano dinamiche completamente a sorpresa, ma che ancora stimolano la riflessione nello spettatore. Nel finale il clima si rasserena e tutto finisce bene (e con un tono adeguato a un'opera per l'infanzia).

La storia è molto bella e i disegni sono poesia, anche se l'animazione non è fluidissima. L'Ostrogallia è rappresentata in modo originale, con funivie che vengono usate come tram, cartelli stradali stranissimi e semafori folli.

Cosa mi è piaciuto: storia, disegni

Cosa non mi è piaciuto: senso di angoscia, animazione, un pochino lento in alcuni momenti

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

Nomination agli Screen Actors Guild Awards (SAGA) 2023: i premi del sindacato attori che più di altri anticipano le vittorie agli Oscar

Con i Golden Globes dello scorso 10 gennaio, anzi con le sue nomination il 12 dicembre 2022, è iniziata la più attesa (per me) stagione dell'anno: quella dei maggiori premi cinematografici, la mia stagione Waiting Academy Awards.

Il giorno successivo alla premiazione dei Golden Globes, sono state annunciate le nomination per gli Screen Actors Guild Awards, che si terranno il 24 febbraio al Barker Hangar a Santa Monica. La "gilda", il sindacato, degli attori ogni anno premia le migliori interpretazioni di cast e stunt in film e serie tv. Golden Globes e SAG Awards sono spesso anticipatori dei risultati degli Oscar, soprattutto i SAGA, anche se negli ultimi anni non è stato sempre così: ce la ricordiamo tutti la cerimonia degli Oscar del 2017, vero, quando Denzel Washington digrignava i denti mentre Casey Affleck lo citava nel suo discorso e il cast di La La Land veniva tirato giù dal palco a ringraziamenti già iniziati? Quell'anno il Golden Globes per miglior attore protagonista fu vinto da Affleck (Manchester by the Sea), ma i SAGA, che sono dati per più attendibili, premiarono Washington (Barriere). Per quanto riguarda i due film, ai Golden Globes sia La La Land, sia Moonlight furono premiati come miglior musical e drama rispettivamente. Il SAGA per miglior cast fu vinto da Il diritto di contare e la miglior produzione, decretata dal Producers Guild Award, fu per La La Land, i due premi più significativi per predire il miglior film agli Oscar. La La Land aveva più chances, sembrava, di vincere, oltre al fatto di essere davvero stato chiamato sul palco, ma nella busta giusta il vincitore era Moonlight. Fu un'annata particolare, ma niente è mai scritto fino alla fine e, da quel particolare anno, è sempre più dura capire chi vincerà, anche seguendo tutti i premi.

Analizziamo dunque le candidature per il cinema (sarà comunque divertente vedere come andrà). Se non specificati nel precedente post, indicherò la data di uscita o la piattaforma su cui trovare i film che non erano comparsi nelle nomination dei Golden Globes.


Migliore attore
            
Austin Butler – Elvis
Brendan Fraser – The Whale               
Colin Farrell – The Banshees of Inisherin
Bill Nighy – Living 
Adam Drivere – Hustle

Rispetto alle nomination complessive nelle due categorie (commedia/musical e film drammatico) dei Golden Globes, restano quelle di Butler, Farrell, Nighy e Fraser. Entra nella corsa invece Adam Sandler. Il film per cui è stato candidato è disponibile su Netflix. Ad oggi ho visto solo l'interpretazione di Bill Nighy, che mi è molto piaciuta.

Migliore attrice
Danielle Deadwyler - Till
Michelle Yeoh - Everything Everywhere All at Once
Viola Davis – The Woman King             
Ana de Armas – Blonde
Cate Blanchett – Tár                                                            

Anche in questo caso confermate in lizza quattro attrici: le vincitrici nelle due categorie dei Golden Globes, Cate Blanchett e Michelle Yeoh, Viola Davis e Ana de Armas. Danielle Deadwyler entra nella cinquina candidata per l'interpretazione in Till, che uscirà nelle sale italiane il prossimo 16 febbraio.
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Migliore attore non protagonista                        
Paul Dano - The Fabelmans                                            
Brendan Gleeson - The Banshees of Inisherin        
Barry Keoghan - The Banshees of Inisherin            
Jonathan Ke Quan - Everything Everywhere All at Once                                    
Eddie Redmayne - The Good Nurse

In questa categoria, di nuovo, rimangono quattro nomi, ma invece di Brad Pitt, viene candidato Paul Dano, che era rimasto escluso dalla cinquina dei Globes.
 
Migliore attrice non protagonista
Kerry Condon - The Banshees of Inisherin
Jamie Lee Curtis - Everything Everywhere All at Once
Stephanie Hsu - Everything Everywhere All at Once
Hong Chau - The Whale
Angela Bassett - Black Panther 2

Nella categoria migliori attrici non protagoniste ci sono ben due ribaltamenti: Carey Mulligan e Dolly de Leon non sono in questa cinquina, mentre entrano Stephanie Hsu e Hong Chau.

Vediamo in fine le nomination per le migliori controfigure e, soprattutto, per il miglior cast, premio che, come abbiamo detto, è stato a volte anticipatorio del premio Oscar al miglior film di quell'anno.

Miglior cast di controfigure
Avatar 2
Black Panther 2
The Batman
Top Gun: Maverick
The Woman King

Miglior cast
Babylon
Everything Everywhere All at Once
The Fabelmans
Gli spiriti dell'isola
Women talking

martedì 17 gennaio 2023

Le otto montagne: la trasposizione del Premio Strega che ha incantato anche all'estero

I registi belgi (compagni nella vita) Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch hanno trasposto, fornendo anche la sceneggiatura, il libro di Paolo Cognetti Le otto montagne, che era uscito nel 2016 ed aveva vinto l'edizione 2017 del Premio Strega. Il film, produzione italo-franco-belga, ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes 2022. Con onestà, devo ammettere che il genere -film drammatico estremamente introspettivo- non rientra nei miei preferiti, ma sentendone dire molto bene ed essendo stato proposto praticamente in tutti i cinema vicino a casa mia, mi sono sentita in obbligo di andare a vederlo anche io e mi sono accorta con grande piacere che la sala, al secondo giorno di proiezione in quello specifico cinema, era abbastanza gremita (molto più del solito comunque e lo dico con una certa cognizione di causa perché è la sala che frequento più spesso, anche se ovviamente non presenzio a tutte le proiezioni). In effetti gli incassi italiani (alla data odierna) superano i 4,5 milioni di euro, battendo per esempio The Fabelmans, che è uscito nella stessa data, ma anche Tre di troppo e Megan.


Premesso che non ho ancora letto il libro, la trama deriva dunque direttamente dalla visione e non so se ci sono significative differenze rispetto all'originale. La storia è quella di un'amicizia nata tra due bambini sulle montagne di Grana (che presumo sia in Val d'Aosta, dove è stato girato il film), dove la famiglia di Pietro, il protagonista, si reca ogni estate perché il padre, ingegnere alla Fiat, è appassionato di scalate, in cui si fa accompagnare anche dal figlio. Nel paesino dove alloggiano Pietro conosce e stringe amicizia con Bruno, che vive con gli zii e al cui destino i genitori di Pietro si interessano perché né il padre muratore, spesso assente, né gli zii sembrano volergli fornire un'istruzione e, anzi, vogliono avviarlo al mondo del lavoro. Durante le estati della sua infanzia, Pietro apprende dal padre e dall'amico l'amore per la montagna, ma i due ragazzi saranno allontanati dalla propria condizione sociale. Il legame di Pietro con Bruno e con la montagna si cementerà quando riceverà molti anni dopo il lascito di una (quasi) casa sui monti dell'infanzia.

La storia è molto bella e, coprendo un arco narrativo decennale, riesce ad affrontare molti temi, non solo legati all'amicizia, anche se questa, il rapporto con un luogo a cui si sente di appartenere, la ricerca del proprio posto nel mondo sono i fili conduttori del racconto. La passione per la storia e per gli straordinari paesaggi che le fanno da sfondo (ripresi con ogni condizione meteo, conferendo molto realismo) sono stati rappresentati con grande cura: pare che i registi siano stati così conquistati dal romanzo di Cognetti, che abbiano imparato l'italiano per poterlo trasporre e che scrivere questa sceneggiatura assieme abbia salvato la relazione dei due registi. Di sicuro hanno trasmesso anche a me la voglia di leggermi il libro.

Sono stata un po' meno soddisfatta dalla trasposizione in sé. Per me la distribuzione degli eventi dell'arco narrativo non è stata calibrata benissimo, non per il ritmo, che non è nemmeno eccessivamente lento, poiché il film è veramente denso di contenuti. La lunghezza (2 ore e mezza), che è comprensibile per la mole di vicende da narrare, si sente tutta e stanca già dopo la ripresa dall'intervallo. In buona sostanza, non si vede la fine del film. I registi si sono presi molto tempo per raccontare l'infanzia dei ragazzi e il loro riavvicinamento da adulti, troppo tempo. Quando termina la prima parte del film, è già successo così tanto che lo spettatore (io) è convinto manchi poco alla chiusura, invece ci sono ancora molti sviluppi da raccontare e il film sembra non finire mai. Il mio parere è che dovesse essere snellita la prima parte, accorciando la durata complessiva e bilanciando i tempi delle tre fasi della vita dei protagonisti: risultano molto dilatate le prime due parti, meno dense di avvenimenti, a discapito dell'ultima, molto più concitata, in cui invece si succedono rapidamente notizie e cambiamenti. Inoltre alcune scene le ho trovate superflue e non funzionali.

Questo e il sonoro più disturbante di cui abbia memoria sono le uniche pecche del film, che compensa con l'evidente passione che ha animato troupe e cast. La fotografia è discreta, ma soprattutto all''inizio è fissa, anche se è sicuramente un effetto voluto, come il formato quadrato. Alcune canzoni della colonna sonora sono molto belle. La recitazione dei protagonisti è stata molto sentita e mi è piaciuto molto Alessandro Borghi, che non avevo mai visto alla prova. Ha colpito anche il suo accento valdostano, che immagino sia stata una sfida, date le origini romane dell'attore, e pare abbia imparato a mungere le mucche prendendo lezioni in un alpeggio vero.

Cosa mi è piaciuto: recitazione, storia

Cosa non mi è piaciuto: regia

Giudizio: ⭐⭐⭐

mercoledì 11 gennaio 2023

I vincitori dei Golden Globes 2023 per il cinema

La notte tra il 10 e l'11 gennaio (il 10 a Beverly Hills) si è tenuta la cerimonia di premiazione dei Golden Globes, come non avveniva dal 2021. Quest'anno è stata condotta da Jerrod Carmichael. 

Non ho seguito la diretta, ma di seguito riporto i vincitori per il cinema (non seguo le serie tv, lo conferma che le sole che ho visto quest'anno sono Only murders in the building e Rings of power e quest'ultima non era neppure candidata -io boh-).



I film vincitori sono stati Gli spiriti dell'isola (nelle sale italiane dal 2 febbraio) nella categoria Comedy-Musical e The Fabelmans, per la categoria Drama, che si aggiudica anche la regia. Sono molto contenta per Spielberg e il suo film, che avevo ritenuto un bel film, emozionante e molto ben diretto. Nella cinquina dei registi potevo valutare solo Spielberg e Cameron e parteggiavo dichiaratamente per il primo. Martin McDonagh non si aggiudica la regia, ma la miglior sceneggiatura per Gli spiriti dell'isola sì.

Nella recitazione si aggiudicano il Globe Austin Butler (Elvis) e Colin Farrell (Gli spiriti dell'isola) come migliori attori protagonisti rispettivamente in un film drammatico e in una commedia, mentre le migliori interpreti protagoniste sono state Cate Blanchett (Tàr, Drama, al cinema dal 9 febbraio) e Michelle Yeoh (Everything Everywhere All at Once, Comedy, che per fortuna torna in sala il 2 febbraio). Prima volta per un'attrice di un film Marvel non solo in lizza, ma anche vincitrice: è il caso di Angela Basset che viene premiata come migliore attrice non protagonista per la prova in Black Panther 2 (non mi era sembrata una performance memorabile, ma era stata brava e non ho visto le altre attrici); miglior attore non protagonista è invece Jonathan Ke Quan (Data ne I Goonies e Shorty in Indiana Jones e il tempio maledetto, torna a recitare dopo trent'anni in Everything Everywhere All at Once).

Miglior film in lingua straniera è Argentina, 1985, che si può vedere su Prime Video, mentre su Netfilx si può trovare il miglior film d'animazione, Pinocchio di Guillermo del Toro.

La miglior colonna sonora è di Justin Hurwitz, realizzata per Babylon, disponibile dal 19 gennaio nelle sale italiane. La miglior canzone è Naatu Naatu, dal film RRR, che non vedo l'ora di vedere (mi tocca mettere Netflix), però la canzone, che è simpatica e il video mette hype per il film, non è così bella da premio (tifavo Hold my hand).

domenica 8 gennaio 2023

Il sequel di Avatar che tutti (tranne me) stavano aspettando: La via dell'acqua

 L'ho già detto, non sono una fan dell'originale, ma sono andata anche io a vedere il film più atteso del 2022 (e forse degli ultimi tredici anni), non di corsa, certo, ma sono andata durante le feste natalizie, entro un mese dall'uscita. Le mie aspettative sul fronte della storia erano modeste (la verità è che m'attendevo un'americanata come nel primo film), ma sul fronte della spettacolarità invece erano molto alte, amplificate dalle buone impressioni che passavano di bocca in bocca dall'uscita in sala il 14 dicembre 2022. Affinché riuscisse a essere nominato ai Golden Globes 2023, negli USA c'è stata un'anteprima mondiale il 6 dicembre, mentre le candidature sono state annunciate il 12 dicembre.


Del (anzi dei) sequel si parlava da anni, praticamente da subito dopo che era uscito Avatar e che aveva avuto così ampio successo, finché già prima della pandemia erano stati annunciati addirittura quattro seguiti, che avrebbero dato modo a Cameron di sbizzarrirsi a espandere Pandora. Naturalmente La via dell'acqua ha dovuto attendere la fine della pandemia da COVID-19 per puntare a incassi che potessero eguagliare e possibilmente superare quelli del primo film (a oggi, 8 gennaio 2023, il film ha raggiunto il miliardo e 700 milioni di dollari a livello mondiale e ha superato i 36 milioni di euro in Italia). Al momento attuale la programmazione dei prossimi tre film prevede uno scaglionamento di due anni in due anni, terminando la saga per la fine del 2028. Avatar 2 e 3 sarebbero addirittura stati girati insieme, (e a ruota libera sarebbero poi partite le riprese di una parte del quarto film) sottintendendo un collegamento importante tra le due pellicole, anche se Cameron aveva garantito storie autoconclusive per ciascun capitolo, ma dopo la visione di qualche giorno fa proprio autoconclusive non potranno essere. I personaggi sono dichiaratamente gli stessi, anzi le riprese quasi simultanee servono anche a non far invecchiare eccessivamente gli interpreti più giovani, soprattutto quelli non "in blu", che non si possono ritoccare in digitale.

Inoltre, si narra che le riprese siano state molto impegnative. Sono state divise, a oltre un anno di distanza, in quelle effettuate in performance capture, dentro due gigantesche vasche, una sopra e una sott'acqua, costringendo cast e troupe a trattenere il fiato sott'acqua (tanto che Kate Winslet avrebbe battuto Tom Cruise nel precedente record di apnea, arrivando, dopo un bell'allenamento, a sette minuti e 14 secondi), e in live-action. Naturalmente anche la tecnologia che è stata usata ha superato le tecniche di ripresa del film originale: nuove telecamere per le riprese in performance capture, nuove telecamere per le riprese live action che esaltassero al massimo il 3D, nuovi software di elaborazione delle immagini.

Ma infatti, dal punto di vista della tecnica, dell'immersività del 3D, della fotografia, degli effetti visivi, insomma di tutta la parte tecnica, al film non si può dire nulla. Sono stati creati altri animalini deliziosi per la nuova ambientazione oceanica, che sono incredibili da vedere. I problemi sono a livello della storia, come sempre, e anche un po' del ritmo.

La prima mezz'ora/quaranta minuti è stata lentissima e claustrofobica: ho veramente temuto di non reggere le tre ore e dieci (e non per la tenuta della vescica). In piena continuità col primo film, la storia ripropone le stesse dinamiche e la stessa lentezza. Sully ha messo su famiglia (tre figli propri e una adottata, più quasi un quarto, che è umano perché proviene dalla base marine dove è stato abbandonato, e che è cresciuto credendosi anche lui un gorilla Na'vi), ma te lo racconta così con calma che alla scena dei grani m'ero già stufata. Ci sono mostrati i personaggi del film precedente, sempre per continuità, per non dimenticarceli, anche se non saranno centrali alla vicenda: la dottoressa Augustine, il cui avatar in qualche modo ha generato una delle figlie di Sully, Selfridge in un brevissimo cameo, Spellman e l'altro collega del laboratorio. E per essere sicuri di ricominciare tutto da capo, tornano gli americani, le astronavi (bellissime devo dire) che ricominciano a distruggere la natura di Pandora, Neytiri ne resta distrutta e piange, Sully e consorte guidano la resistenza, gli americani complottano piani nei loro laboratori a terra o in volo. Insomma un copione già visto. Mi sono creduta persa.

Ma la cosa peggiore che m'ha fatto rabbrividire e scoppiare a ridere nello stesso momento è stato scoprire chi è il cattivo del film. Il Terminator del primo film, ucciso a frecce, è morto, ma hanno creato, per lui e per altri soldati deceduti nelle battaglie contro i Na'vi, degli avatar in cui impiantare i ricordi che avevano registrato (come faceva Sully quando faceva il marine) e da rimandare su Pandora. Sembra una boiata, vero? Infatti. La mia reazione è stata circa quella di Malefica ne La bella addormentata nel bosco quando gli sgherri le comunicano che per quindici anni hanno cercato una neonata: tredici anni per fare uscire questo film e il cattivo è riciclato? Va bene che la sceneggiatura l'hanno scritta prima, ma sforzi non ne hanno fatti. Tanto più che (re)introdurre il personaggio del colonnello Quaritch (il cui attore si intravede nello stesso cameo in cui compare Ribisi) crea un buco di trama. Infatti, la generalessa dichiara che le intenzioni dell'esercito, inviato su Pandora, è rendere meno ostile il popolo Na'vi perché la Terra ha esaurito le sue risorse (apprezzo lo spunto di riflessione ambientalista della dichiarazione) e Pandora dovrà accogliere gli umani. Stando così le cose, non si capisce perché, nel momento in cui la famiglia Sully decide di migrare tra i popoli del mare per non essere e non rendere il popolo il bersaglio degli attacchi americani, l'esercito nemico decida comunque di investire le sue risorse nel dargli la caccia. Che lo voglia Quaritch per vendetta, anche se a questo avatar saranno date caratteristiche proprie che forse un pochino lo differenziano dal colonnello originale, è comprensibile, ma che diventi l'obiettivo strategico più importante non torna.

Di fatto, comunque, dopo questa parte terribilmente noiosa e ripetitiva delle dinamiche del primo film, la famiglia Sully abdica e si trasferisce in una nuova location e, cominciando a succedere qualcosa, cambia il ritmo: la famiglia ha difficoltà ad ambientarsi, ma li vediamo provare e riprovare a conoscere abissi, creature marine e la popolazione del nuovo villaggio, famiglia reale compresa, mica tanto contenta di essersi ritrovata in casa questi portatori di guai. A questo punto la storia si interseca anche con quella di Moby Dick. L'esercito americano per scovare i fuggitivi si appoggerà infatti a dei balenieri che cacciano per il loro olio questi cetacei, i tulkun, sacri per il popolo che ospita la Sully family. Il messaggio è molto chiaro e la scena che riguarda uno di questi esemplari è la più cruda, drammatica e, per il suo senso ecologista, bella del film. Da questo momento il ritmo accelera ancora e lo rende finalmente un film action di grande spettacolarità (anche se m'è scappato da ridere quando è diventato evidente che Cameron ha riproposto intere sequenze del Titanic) e con un gran finale, sebbene triste, ma questo senso di tristezza è un po' il leitmotiv della saga.

La recitazione non si può valutare. Tecnicamente che è strabiliante non si può negare. Effetti speciali, fotografia, sonoro sono altissimi e sono andata a vederlo in una sala IMAX apposta per godermi lo spettacolo. D'altro canto non sono così soddisfatta della regia, ma Cameron lo sappiamo che ha questo difetto: non è un regista asciutto, penso che persino lui ne sia conscio, e io preferisco altre regie. La lunghezza è veramente eccessiva, non solo perché senza intervallo dopo un paio d'ore non si sa come fare a non andare in bagno (l'immersività la spezza la prima mezz'ora, non un intervalluccio), ma proprio perché una mezz'ora si poteva tagliare davvero. L'ultima parte del film comunque è molto bella e il messaggio che è reiterato merita grande rispetto.

Cosa mi è piaciuto: spettacolarità, 3D impressionante, fotografia, creature marine favolose (ma un po' pochine), ultimi quaranta minuti del film, messaggi animalisti e ambientalisti

Cosa non mi è piaciuto: sceneggiatura, regia, villain, prima mezz'ora del film, ripetizione di schemi, autocitazione del Titanic, lunghezza assolutamente diminuibile 

Giudizio: sembra tre film diversi e consecutivi, comunque per me migliore del primo capitolo ⭐⭐⭐1/2

mercoledì 4 gennaio 2023

Il film sulla gioventù di Spielberg: the Fabelmans

 The Fabelmans era il film più atteso dell'anno, secondo forse solo ad Avatar 2, presentato in anteprima a ottobre al Toronto Film Festival. Era noto che si sarebbe trattato di un film molto intimo per Spielberg, per alcuni il migliore della carriera, trattando delle sue origini, della sua famiglia, della nascita del suo amore per il cinema.



E in effetti è un film che dimostra una passione viscerale per la settima arte. a partire dall'introduzione del regista, giusto un paio di minuti prima che inizi la proiezione vera e propria, in cui ringrazia tutti gli spettatori che sono usciti di casa per recarsi in sala. In periodo storico in cui si aspettano sulle piattaforme di streaming per vederli in poltrona, questa dichiarazione la dice lunga. Personalmente un minimo di crescita l'ho vista, ma si parla di numeri comunque bassi. Quando ho visto The Fabelmans il 30 dicembre la sala del cinema dei Salesiani del mio paese era anche più che mezza vuota, ma comunque è stato meglio che vedere la solita decina scarsa di spettatori.

Il film inoltre è pieno di riferimenti a film della storia del cinema, come Il più grande spettacolo del mondo e L'uomo che uccise Liberty Valance, alle tecniche di ripresa, alla creazione degli effetti speciali, a John Ford, col cameo di David Lynch, e al finale.

Il film va subito nel cuore della storia e dei personaggi, aprendosi sull'attesa dei signori Fabelman per l'apertura della sala dove il piccolo Sammy sta per vedere un film per la sua prima volta, ma è allo stesso tempo eccitato e spaventato, perché sa che le immagini gli appariranno gigantesche. Subito Burt e Mitzi Fabelman svelano il proprio carattere e il loro opposto atteggiamento verso la vita e i problemi: papà Fabelman è un ingegnere, pragmatico e dalla mentalità razionale e scientifica, che spiega a Sammy il meccanismo della proiezione, mentra mamma Fabelman, sognatrice e dal temperamento estroso e allegro, pianista di talento, tranquillizza il figlio che si tratterà solo di un bellissimo sogno. Questa contrapposizione di mentalità tra i due sarà protagonista non solo delle dinamiche familiari, ma sarà anche al centro della formazione di Sammy, col padre che vorrà per lui un futuro di certezze fornite da una professione scientifica e la madre che incoraggerà il suo grande talento.

Il bambino resterà a bocca aperta, vedendo Il più grande spettacolo del mondo, ma anche turbato, cercando di replicare la scena dello scontro del treno appena visto con i nuovi vagoni e la nuova locomotiva regalatigli per Hannukkah. La madre, che ha compreso perché Sammy ha bisogno di rivedere lo scontro e d poterlo anche controllare, gli fa utilizzare la cinepresa del padre per filmare la ricostruzione dell'incidente. Da quel momento, Sammy non smetterà più di girare filmati, prima per gioco e poi sempre con maggiore cura, ricerca e passione, fra i vari traslochi e le varie vicissitudini dei primi vent'anni di vita.

Il film mi è piaciuto molto: ero un filo preoccupata che due ore e mezza di una storia incentrata su come i legami familiari determino la nascita di un regista potesse tradursi in un melodrammone pesantissimo, ma è stato tutt'altro. La lunghezza non s'è sentita: ogni scena era carica di contenuto e il film ha avuto un ritmo molto intenso, senza però correre e alternando momenti più divertenti e solenni. La regia e la sceneggiatura sono brillanti: nelle prime scene, mentre il racconto si snoda, pochi elementi tratteggiano chiaramente anche i retroscena in modo sa rendere edotto lo spettatore anche su quanto non viene detto. I personaggi sono molto intensi, vivi, soprattutto la madre, Mitzi, anche grazie all'interpretazione di Michelle Williams: il suo personaggio è molto complesso e non risulta simpatico, ma lei è stata molto capace e le ha donato profondità. Mi sono piaciute le storie, l'evoluzione dei personaggi. La colonna sonora di John Williams, candidata come l'interpretazione della Williams, il film, la regia e la sceneggiatura ai Golden Globes, esalta ad hoc i momenti più intensi del film.

Giudizio: un film molto bello e un elogio al cinema ⭐⭐⭐⭐

Nominations ai Golden Globes 2023: mancano solo sei giorni alla premiazione

Con le nomination ai Golden Globes, lanciate lo scorso 12 dicembre 2022, ha inizio la nuova stagione di premi cinematografici che saranno assegnati nella prima parte del 2023, dal 10 gennaio al 12 marzo, partendo dai Golden Globes e concludendo con gli Oscar (con le candidature che saranno annunciate il 24 gennaio), ma passando anche attraverso i BAFTA e una serie di premi di categoria (produzione, regia, montaggio, interpretazioni, sceneggiatura).

Io che tutti gli anni mi faccio la lista con i candidati, poi mi spunto i film visti, seleziono i miei preferiti e mi segno i vincitori dopo la premiazione

Di seguito le candidature per il cinema, quali film (corredati di data di uscita in sala in Italia, effettiva o prevista alla data attuale, oppure di info sulla piattaforma che li ospita) sono riuscita a vedere e quali mi mancano.


Miglior dramma                                          Miglior commedia/musical
Avatar 2 (14/12/22)                                      Babylon (19/01/23)
Elvis (22/06/22)                                            The Banshees of Inisherin (02/02/23)
The Fabelmans (22/12/22)                           Everything Everywhere All at Once* (06/10/22)
Tár (09/02/23)                                              Glass Onion - Knives Out (su Netflix dal 23/12/22)
Top Gun: Maverick (25/05/22)                      Triangle of Sadness (27/10/22)

Miglior regista                                              Miglior sceneggiatura
Cameron – Avatar - La via dell'acqua             Todd Field – Tár
Luhrmann – Elvis                                            Sarah Polley – Women Talking (uscita ignota)
McDonagh – The Banshees of Inisherin         McDonagh – The Banshees of Inisherin
Spielberg – The Fabelmans                            Spielberg, Tony Kushner – The Fabelmans
Kwan, Scheinert – EEAaO                              Kwan, Scheinert – EEAaO

Tra questi ho visto Top Gun: Maverick, e Glass Onion The Fabelmans, su cui posso esprimere pareri positivi. Attendendo le uscite del nuovo anno, giovedì 5 gennaio ho intenzione di vedere, eccezionalmente in una sala IMAX, Avatar 2. Ho mancato in sala *Everything Everywhere All aOnce, che devo accorciare a EEAaO, e Tiangle of Sadness, che cercherò di recuperare. In cima alla lista dei film che voglio vedere al più presto, in queste categorie c'è anche Elvis, che mi sono lasciata sfuggire colpevolmente quest'estate, ma che è già approdato su Sky Primafila. Diverso il discorso per Women Talking, di cui non ho trovato la data di uscita.

Migliore attore in un film drammatico              Migliore attore in un musical/comedy
Austin Butler – Elvis                                               Diego Calva – Babylon
Brendan Fraser – The Whale (02/02/23)               Colin Farrell – The Banshees of Inisherin
Hugh Jackman – The Son (09/02/23)                    Daniel Craig – Glass Onion - Knives Out
Bill Nighy – Living (23/12/22)                                 Adam Driver – Rumore bianco (ignota)
Jeremy Pope – The Inspection (ignota)                 Ralph Fiennes – The Menù (17/11/22)

Migliore attrice in un film drammatico             Migliore attrice in un musical/comedy
Michelle Williams – The Fabelmans                       Margot Robbie - Babylon
Olivia Colman – Empire of Light (23/02/23)           Michelle Yeoh - EEAaO
Viola Davis – The Woman King (01/12/22)            Emma Thompson - Il piacere è tutto mio*
Ana de Armas – Blonde (su Netflix dal 28/09/22)  Lesley Manville - Mrs Harris goes to Paris* 
Cate Blanchett – Tár                                               Anya Taylor-Joy - The Menù             

Migliore attore non protagonista                        Migliore attrice non protagonista
Brad Pitt - Babylon                                                   Kerry Condon - The Banshees of Inisherin
Brendan Gleeson - The Banshees of Inisherin        Jamie Lee Curtis - EEAaO
Barry Keoghan - The Banshees of Inisherin            Dolly de Leon - Triangle of Sadness
Jonathan Ke Quan - EEAaO                                    Carey Mulligan - She Said (19/01/22)
Eddie Redmayne - The Good Nurse (su Netflix dal 26/10/22) Angela Bassett - Black Panther 2

Ho purtroppo visto pochissime recitazioni per poter esprimere giudizi, soltanto quelle nei film The menù, in Black Panther: Wakanda Forever e The Fabelmans. Posso sicuramente dire bene delle prime due (soprattutto di Anya Taylor-Joy, come ho già avuto modo di dire), mentre nel secondo caso non posso dirne male, ma ammetto che non mi aveva colpito così tanto, ma il minutaggio del personaggio non è così generoso; nel terzo film, riconosco che Michelle Williams ha dato una buona interpretazione per un personaggio molto complesso, rendendolo molto approfondito e credibile. A parte le già citate mancanze, molti film devono ancora uscire e spero, come sempre, di fare in tempo a vedermeli tutti. Tra quanti già usciti, due pellicole* erano nella mia lista delle cose da vedere: nel primo caso, Il piacere è tutto mio, uscito il 10 novembre scorso, non incastrai bene gli impegni del week end e mi dichiaro colpevole di non aver approfittato dell'uscita nel cinema del mio paese; nel secondo caso, La signora Harris va a Parigi, uscito il 17 novembre, stavo aspettando con trepidazione il suo arrivo, perché avevo visto il trailer proiettato in sala molte volte e mi ispirava tantissimo, ma non è mai giunto dalle mie parti.

Miglior film in lingua straniera                           Miglior film d'animazione
All Quiet on the Western Front (Germania)              Pinocchio di Guillermo del Toro (4/12/22)
Argentina, 1985 (Argentina)                                      Inu-ō (uscita ignota)
Close (Belgio, Francia, Paesi Bassi)                         Marcel the Shell with Shoes On (9/2/23)
Decision to Leave (Corea del Sud)                           Il gatto con gli stivali 2 (7/12/22)
RRR (India)                                                               Red (disponibile su Disney Plus)

Migliore colonna sonora originale                        Migliore canzone originale
Justin Hurwitz – Babylon                                          Hold My Hand - Top Gun: Maverick
Carter Burwell – The Banshees of Inisherin             Carolina - La ragazza della palude (13/10/22)
John Williams – The Fabelmans                               Lift Me Up  - Black Panther 2
Alexandre Desplat – Pinocchio                                Ciao Papa - Pinocchio
Hildur Guðnadóttir – Women Talking                        Naatu Naatu - RRR

Ancora devo vedere tutti i film stranieri e ho già sentito parlare bene sia di Niente di nuovo sul fronte occidentale, sia di RRR (disponibili su Netflix). Close uscirà in sala il 4 gennaio 2023, mentre Argentina, 1985 è disponibile su Prime Video. Ho appena visto il sequel del Gatto con gli stivali, che mi è piaciuto moltissimo, ma sono ansiosa di vedere il Pinocchio di Guillermo del Toro e posso recuperare a breve sulla piattaforma Disney Plus Red. Ancora tutte da gustare le colonne sonore candidate, eccetto quella di John Williams, molto efficace nell'evidenziare i momenti clou del film, mentre sulle canzoni posso dire che Hold my hand è veramente una canzone bellissima.