martedì 17 gennaio 2023

Le otto montagne: la trasposizione del Premio Strega che ha incantato anche all'estero

I registi belgi (compagni nella vita) Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch hanno trasposto, fornendo anche la sceneggiatura, il libro di Paolo Cognetti Le otto montagne, che era uscito nel 2016 ed aveva vinto l'edizione 2017 del Premio Strega. Il film, produzione italo-franco-belga, ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes 2022. Con onestà, devo ammettere che il genere -film drammatico estremamente introspettivo- non rientra nei miei preferiti, ma sentendone dire molto bene ed essendo stato proposto praticamente in tutti i cinema vicino a casa mia, mi sono sentita in obbligo di andare a vederlo anche io e mi sono accorta con grande piacere che la sala, al secondo giorno di proiezione in quello specifico cinema, era abbastanza gremita (molto più del solito comunque e lo dico con una certa cognizione di causa perché è la sala che frequento più spesso, anche se ovviamente non presenzio a tutte le proiezioni). In effetti gli incassi italiani (alla data odierna) superano i 4,5 milioni di euro, battendo per esempio The Fabelmans, che è uscito nella stessa data, ma anche Tre di troppo e Megan.


Premesso che non ho ancora letto il libro, la trama deriva dunque direttamente dalla visione e non so se ci sono significative differenze rispetto all'originale. La storia è quella di un'amicizia nata tra due bambini sulle montagne di Grana (che presumo sia in Val d'Aosta, dove è stato girato il film), dove la famiglia di Pietro, il protagonista, si reca ogni estate perché il padre, ingegnere alla Fiat, è appassionato di scalate, in cui si fa accompagnare anche dal figlio. Nel paesino dove alloggiano Pietro conosce e stringe amicizia con Bruno, che vive con gli zii e al cui destino i genitori di Pietro si interessano perché né il padre muratore, spesso assente, né gli zii sembrano volergli fornire un'istruzione e, anzi, vogliono avviarlo al mondo del lavoro. Durante le estati della sua infanzia, Pietro apprende dal padre e dall'amico l'amore per la montagna, ma i due ragazzi saranno allontanati dalla propria condizione sociale. Il legame di Pietro con Bruno e con la montagna si cementerà quando riceverà molti anni dopo il lascito di una (quasi) casa sui monti dell'infanzia.

La storia è molto bella e, coprendo un arco narrativo decennale, riesce ad affrontare molti temi, non solo legati all'amicizia, anche se questa, il rapporto con un luogo a cui si sente di appartenere, la ricerca del proprio posto nel mondo sono i fili conduttori del racconto. La passione per la storia e per gli straordinari paesaggi che le fanno da sfondo (ripresi con ogni condizione meteo, conferendo molto realismo) sono stati rappresentati con grande cura: pare che i registi siano stati così conquistati dal romanzo di Cognetti, che abbiano imparato l'italiano per poterlo trasporre e che scrivere questa sceneggiatura assieme abbia salvato la relazione dei due registi. Di sicuro hanno trasmesso anche a me la voglia di leggermi il libro.

Sono stata un po' meno soddisfatta dalla trasposizione in sé. Per me la distribuzione degli eventi dell'arco narrativo non è stata calibrata benissimo, non per il ritmo, che non è nemmeno eccessivamente lento, poiché il film è veramente denso di contenuti. La lunghezza (2 ore e mezza), che è comprensibile per la mole di vicende da narrare, si sente tutta e stanca già dopo la ripresa dall'intervallo. In buona sostanza, non si vede la fine del film. I registi si sono presi molto tempo per raccontare l'infanzia dei ragazzi e il loro riavvicinamento da adulti, troppo tempo. Quando termina la prima parte del film, è già successo così tanto che lo spettatore (io) è convinto manchi poco alla chiusura, invece ci sono ancora molti sviluppi da raccontare e il film sembra non finire mai. Il mio parere è che dovesse essere snellita la prima parte, accorciando la durata complessiva e bilanciando i tempi delle tre fasi della vita dei protagonisti: risultano molto dilatate le prime due parti, meno dense di avvenimenti, a discapito dell'ultima, molto più concitata, in cui invece si succedono rapidamente notizie e cambiamenti. Inoltre alcune scene le ho trovate superflue e non funzionali.

Questo e il sonoro più disturbante di cui abbia memoria sono le uniche pecche del film, che compensa con l'evidente passione che ha animato troupe e cast. La fotografia è discreta, ma soprattutto all''inizio è fissa, anche se è sicuramente un effetto voluto, come il formato quadrato. Alcune canzoni della colonna sonora sono molto belle. La recitazione dei protagonisti è stata molto sentita e mi è piaciuto molto Alessandro Borghi, che non avevo mai visto alla prova. Ha colpito anche il suo accento valdostano, che immagino sia stata una sfida, date le origini romane dell'attore, e pare abbia imparato a mungere le mucche prendendo lezioni in un alpeggio vero.

Cosa mi è piaciuto: recitazione, storia

Cosa non mi è piaciuto: regia

Giudizio: ⭐⭐⭐

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