mercoledì 30 novembre 2022

Glass Onion: quando la soluzione è in bella vista

Con un hype pompato al massimo per questo sequel di Cena con delitto - Knives out del 2019, brillante giallo che ha avuto tantissimo successo grazie a un cast di valore, a una trama ben congegnata e spettacolari colpi di scena, arrivo in sala domenica sera.


Aspettative altissime e il timore di essere delusa, mi sono ritrovata ad apprezzare notevolmente anche il secondo film, Glass Onion - Knives out, sempre con protagonista il detective Benoit Blanc di un Daniel Craig in formissima (la sua performance mi è piaciuta molto).

Dopo l'anteprima al Toronto International Film Festival, questo sequel è stato disponibile in sala per una sola settimana, dal 23 al 29 novembre, ma dal 23 dicembre approderà sulla piattaforma madre. Il film è infatti proprietà di Netflix, che si è acquistata i diritti nella primavera 2021 per realizzare due sequel, sempre scritti e diretti da Rian Johnson. Rimasti ai loro rispettivi posti anche il direttore della fotografia (che resta bella e pulita) Steve Yedlin, il compositore Nathan Johnson e il montatore Bob Ducsay. Squadra vincente non si cambia. Approfitto dell'elenco dei tecnici per fare subito un plauso al reparto costumi e trucco (bellissimi) e alla scenografia. Colori patinati, saturi, look glamour. Davvero alti livelli e molta cura per tutto l'aspetto tecnico. Il film è visivamente uno spettacolo.

E spettacolare è anche per i colpi di scena e per le astuzie nel condurre la trama, a partire dagli inviti che il magnate della tecnologia, che detiene il marchio Alfa, Miles Bron, di un ottimo Edward Norton, fa ai suoi quattro amici per un esclusivo week end con delitto sulla sua isola greca. Ognuno di questi amici ha anche un motivo economico per dipendere da Bron: l'ex modella Birdie Jay (una strepitosa Kate Hudson), l'influencer Duke Cody (complimenti anche a Dave Bautista), la governatrice Claire DeBella (un altro ruolo di grande visibilità dopo la serie di Wandavision della Marvel, molto valida in entrambe le interpretazioni) e il chimico Lionel Toussaint (Leslie Odom Jr., che ha meno spazio forse degli altri personaggi). Ma l'invito, costituito da una cassa di legno apparentemente compatta, che cela, in realtà, enigmi da risolvere per aprirla, arriva anche all'ex socia di Miles, Cassandra Brand, interpretata da una splendida Janelle Monae, bravissima proprio, che inaspettatamente accetta, e al detective Benoit Blanc.

Il film mi è piaciuto, tanto. Ero entusiasta all'uscita dalla sala, perché non annoia mai, ha un ritmo svelto, incalzante, rovescia le prospettive, come nel primo film. Certo, non posso ignorare che avessi chiaramente azzeccato l'assassino ben prima della parte in cui il detective svela le carte. E Blanc in effetti utilizza la metafora del Glass Onion: è fatto apposta, è tutto in bella vista, ma a me non è dispiaciuto. Sì, è una soluzione semplice, ma non diventa banale, perché viene posta molto bene. Inoltre premia l'osservatore attento. Non è quello che si vuole da un giallo? Io sì, voglio questo: il rispetto della prima regola posta da S.S. Van Dine, ovvero il lettore deve avere le stesse opportunità del detective per risolvere il mistero, quindi tutti gli indizi devono essere chiaramente indicati. Io sono stata contenta di giocare ad armi pari col detective e di vedere degli indizi (non tutti, ma buona parte) che mi hanno fatto capire la soluzione. In questo il film gioca in modo leale con lo spettatore e ciò mi piace da impazzire, lo preferisco alla presa in giro di svelare solo all'ultimo un particolare o un collegamento che solo l'investigatore poteva conoscere.

Ci sarebbe un piccolissimo buco di trama, dal mio punto di vista, un'incongruenza sul modo in cui una morte avviene (senza fare spoiler, diciamo che la vittima poteva accorgersi di qualcosa...chi ha visto capirà), che però può essere spiegata almeno in un paio di modi, che sono pronta ad accettare, perché niente può alterare il godimento che mi ha procurato il film, uno dei migliori, per me, del 2022.

Cosa mi è piaciuto: tutto (cast superbo, comparto tecnico curatissimo, dinamica del giallo classico rispettata alla perfezione, trama accattivante, colpi di scena, dinamicità del ritmo)

Giudizio: opera di intrattenimento ben realizzata, curata, più che godibile ⭐⭐⭐⭐⭐

Il principe di Roma: fantasmi dickensiani nella città eterna

 Credevo, dal trailer, si trattasse di un film a tema Halloween e non capivo perché uscisse con un mese di ritardo, dopo essere stato mostrato in anteprima alla Festa del cinema di Roma. Poi ho capito: è più natalizio che mistery, prendendo infatti spunto dal Canto di Natale di Dickens.

Dal trailer, sempre, mi sembrava potesse essere una commedia piuttosto simpatica (quando guardo i trailer me ne pento sempre, sono fuorvianti). Mi piace molto Marco Giallini (l'ho apprezzato tanto in Tutta colpa di Freud e Perfetti sconosciuti), adoro Filippo Timi (nella mia top three degli attori italiani insieme a Massimo Popolizio e Pierfrancesco Favino) e anche Giuseppe Battiston e Sergio Rubini, visti anche a teatro. Di fatto, anche solo per il cast, probabilmente l'avrei visto lo stesso.

L'idea, comunque, è carina: il signor Bartolomeo, ricco ma borghese romano, vuole diventare nobile, sposando la figlia del principe Accoramboni per prenderne il titolo in cambio di denaro, che al nobile manca. Ma gli scudi necessari a questo scambio vanno persi e, per ritrovarli, Bartolomeo tenta un contatto col mondo degli spiriti, che provocherà l'apparizione di alcuni fantasmi.

Mi è piaciuto il riferimento alle leggende che davvero circolano a Roma su certi fantasmi celebri (e io possiedo proprio un libro di Fabrizio Falconi che ne parla): Beatrice Cenci, Alessandro Borgia, John Keats, Percy Shelley, etc...


Mi è piaciuto molto Filippo Timi, molto meno Giulia Bevilacqua, ma per come è reso il personaggio (la solita serva sguaiata e irriverente), non perché non sia brava l'attrice. Molto apprezzata la durata di un'ora e mezza circa.

Mi è piaciuta meno la commedia: solite battute, che trovo sempre tristi, nessuno humor brillante, buonismo troppo stucchevole (scherzi che sembrano reati ma fatti "a fin di bene", naturalmente) e una morale scontata.

Cosa mi è piaciuto: Timi, idea dei fantasmi romani come sostituiti dei dikensiani fantasmi dei Natali passati, presenti e futuri

Cosa non mi è piaciuto: commedia all'italiana becera

Giudizio: ⭐⭐


martedì 29 novembre 2022

"Quando l'istinto ti dice di stare a casa, stai a casa" ovvero Bones and all

 No, non è un bel film.

E non è per le scene crude, è proprio un film inutile.


Facciamo un passo indietro e alcune premesse prima di parlare di questo film, tratto dal libro Fino all'osso di Camille DeAngelis, presentato in anteprima alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia.

Non ho ancora visto Chiamami col tuo nome (né altri di Luca Guadagnino) e, dopo questa visione, non sono sicura che lo farò. Ho sentito pareri contrastanti in merito, che vanno da "è noioso e lentissimo" a "è bellissimo e immersivo". E avevo sentito pareri contrastanti anche su questo nuovo film tra i conoscenti che lo avevano visto al cinema (mia sorella mi ha così abbandonata a vederlo da sola) e le recensioni che, probabilmente per la prima volta in vita mia, avevo cercato febbrilmente prima di andare a vederlo, spinta dalla necessità di appurare il livello di crudezza. Livello che non ho appurato, scoprendo invece che qualcuno considera spoiler anche ammettere che il film parla di cannibali. Non è spoiler, è la trama: è stato annunciato con chiarezza quando è stato presentato. Ne avevo sentito parlare su Sky prima ancora di vedere il trailer, a inizio settembre. Il genere con cui è classificato è quello dell'horror (e vietato ai minori di 14 anni -pure troppo poco, i ragazzi di oggi non hanno necessità di ulteriori livelli di violenza, che ormai sono "normalizzati"-), ma questo non è per niente un horror (o forse lo è in un paio di scene che non sono quelle del "pasto").

Gli unici generi cinematografici che non guardo (salvo sporadiche e motivate eccezioni) sono l'horror e i film comici. Per il resto sono onnivora. Non è un gioco di parole (anche se sono onnivora anche in campo alimentare), io guardo di tutto al cinema, senza focalizzarmi troppo su genere ed etichetta. Ma non sono un'esperta, sono una fruitrice: per me il cinema è intrattenimento, spettacolo, magia e lo giudico soprattutto con la pancia, con la prima impressione. Per me contano soprattutto l'aspetto visivo (spettacolarità inclusa) e, più di ogni altra cosa, la sceneggiatura. Adoro follemente i film di Hitchcock, adoro i dialoghi di quei film e il fatto che riuscisse a ottenere un capolavoro anche restando nella stessa stanza per tutta la messinscena, come a teatro, facendo reggere il film interamente alla sceneggiatura. Anche i suoi erano film autoriali e si distaccavano dal cinema classico, con le sue regole precise. Ma pure lui riteneva che i film dovessero avere durate contenute (amo la sua battuta "La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana") e che dovessero intrattenere lo spettatore. Il suo linguaggio cinematografico era sintetico: con una sola scena era in grado di riassumerti una premessa, di calarti nel contesto e, in generale, ogni scena era funzionale all'economia del film. Per me questo è il massimo che il cinema può dare. E infatti non mi piacciono quasi mai i film d'autore (a meno di non poter considerare tale anche Parasite).

E stavo pensando proprio a questo mentre ieri sera vedevo i primi fotogrammi del film, prima che si entrasse nel vivo della vicenda. Stavo calcolando il tempo sprecato in scene non utili e non funzionali e, soprattutto, non belle. 

Nei primi cinque minuti, la protagonista, Maren, è invitata per un pigiama party da un'amica, poi esce da scuola e trova ad aspettarla il padre, che le fa fare una prova di guida. Fin qui tutto bene: due scene per dirti che la ragazza è già maggiorenne, vive sola col padre e non ha nessun amico, tranne questa ragazza. Poi l'auto parte e li vediamo parcheggiare, scendere, prendere le buste della spesa ed entrare in casa (questo è stato l'esatto momento in cui ho pensato che Hitch avrebbe saltato tutta la parte sul vialetto di casa, risparmiando quasi un minuto, ma in realtà chissà come l'avrebbe girata lui questa parte...) e tutta una serie di lenti rituali (mangiare, lavarsi i denti, aspettare che il padre si addormenti per uscire di nascosto) che annoiano, che potevano essere riassunti molto più velocemente e che non hanno alcuna grazia estetica, quindi, in soldoni, sono scene ingiustificate. Il fatto che mi fossi distratta a pensare che c'era un intero minuto di troppo la dice lunga sul coinvolgimento generato dalla lentezza con cui scorrono le immagini.

Al pigiama party, dopo anni in cui non era mai capitato nulla, succede il primo incidente del film, di cui ho visto sprazzi sufficienti a ottenere due effetti: il primo è stato decidere all'istante che quella era la prima e ultima scena splatter che avrei visto del film (sì, le scene ancora più realiste non le ho viste e non posso giudicarle e mi sta bene così, anzi mi rammarico profondamente di aver visto anche solo la prima); il secondo è che, per addormentarmi, ho avuto bisogno del conforto generato da unicorni e arcobaleni (no, in realtà di Carlo Lucarelli che racconta il caso Marilyn Monroe e del primo capitolo di Harry Potter e la pietra filosofale letto da Giorgio Scaramuzzino, ma ognuno ha la propria comfort zone).

Sulla trama, ma il film in realtà non ha una vera trama -è più una serie di cose che succedono in successione-, l'effetto è di far partire la vicenda: da quel momento Maren sarà sola e vagherà alla ricerca delle sue origini o di sé stessa, incontrando -curiosamente- una serie di compagni cannibali.

"Curiosamente" significa che per me questo è un buco di trama o comunque una forzatura: il film lo giustifica col fatto che questi cannibali pare si riconoscano fra di sé, fiutandosi, ma questo non toglie che Meren scende dall'autobus e si trova un cannibale davanti, entra in un supermercato e c'è un cannibale (e così via). Il ritmo è discontinuo e a un certo momento il tempo si dilata come in un finale, ma non è la vera conclusione -che sarebbe stata pure carina se così fosse stato-. No, il film cambia ritmo e si svolge l'ultimo atto (che avrei preferito non vedere perché per me è ridicolo).

L'amica che ne aveva parlato male a mia sorella l'ha considerato una metafora di una vita da tossicodipendente e ci sta. Potrebbe esserlo su qualsiasi compulsione in effetti, dall'alcolismo al gioco d'azzardo, e su come queste dipendenze possono distruggere vite e famiglie. Il film dichiara che per questi cannibali si tratta proprio di una compulsione, un'irrefrenabile necessità di mangiare carne umana, non alla Hannibal Lecter, col Chianti e le fave, ma più alla DiCaprio in Revenant quando si mangia il fegato di bisonte. Io però non l'ho vista questa metafora e per me è stato solo cercare di rappresentare al cinema un viaggio per gli Stati Uniti con parti splatter, inutili, fini a sé stesse, che non c'entrano nulla con la storia in sé, che presa da sola, sarebbe soprattutto un racconto di formazione di questa ragazza sullo sfondo di sconfinati paesaggi americani. Ma l'abbagliarci con il cannibalismo fa un po' perdere il focus, rende il film confuso, né percorso di crescita, né horror, né on the road movie (quest'ultimo forse era l'ambizione di Guadagnino, ma ha trovato la sceneggiatura già scritta e si è inserito a progetto avviato). La fotografia non è abbastanza bella (non è come ne Il potere del cane) per un film in cui i paesaggi sono centrali. Non può contare sul lato visivo, perché rappresenta un mondo di emarginati, soli, poveri, miserabili. E ho già parlato male di regia e trama. 

Diciamo qualcosa di carino: ha una buona colonna sonora e un ottimo cast. Mark Rylance è meraviglioso, ma ho trovato molto bravo anche Michael Stuhlbarg e i due protagonisti. Trovo Mark Rylance uno dei migliori interpreti di questi anni: mi folgorò ne Il ponte delle spie, quando decisi dopo cinque minuti dall'inizio del film che quell'uomo doveva vincere l'Oscar, cosa che ha fatto per l'appunto, ma queste mie epifanie estemporanee sono di solito immotivate, come quando dissi la stessa cosa di Daniel Bruhl e del film dopo aver visto Rush.

Quando venti minuti prima della proiezione ho temuto di essere sola in sala a vedere un horror, ma per fortuna sono sbucate altre quattro persone e due conoscenti mi hanno invitata a vederlo con loro (grazie) 💗

E qui giungiamo al motivo per cui, a dispetto del fatto che sospettassi non fosse un film per le mie corde e non avessi voglia di andare a vederlo, alla fine ci sono andata: la mia compulsione. Tutti gli anni, da otto-nove anni a questa parte, faccio i salti mortali per vedere tutti i film nominati ai premi Oscar, prima della Notte degli Oscar. Ci sono state molte annate in cui ne ho potuti vedere pochi, a causa del lavoro, ma nel 2014 e quest'anno ero andata molto vicina a vedere tutte le candidature delle categorie principali. Così, fiutando che potessero esserci delle buone interpretazioni e conscia che a casa sul divano (santa sanctorum del relax e delle emozioni positive) mai avrei visto una tale pesantezza, ho cercato di avvantaggiarmi, traendone un insegnamento: se l'istinto ti dice di stare a casa, stai a casa.

Cosa mi è piaciuto: Mark Rylance, Michael Stuhlbarg, Timothée Chalamet, Taylor Russell, il cast in generale

Cosa non mi è piaciuto: regia, sceneggiatura, fotografia, scene splatter (ah, no, non le ho viste, ma non sono comunque funzionali alla narrazione)

Giudizio: ⭐ Film inutile e brutto

mercoledì 23 novembre 2022

Black Panther è morto, viva Black Panther

 Piccola premessa: non ho mai visto il primo film di Black Panther (non sono mai stata particolarmente invogliata a farlo, avendone sentito parlare maluccio), e mi ero riproposta di recuperarlo per andare a vedere il sequel, ma non c'è stato tempo. Nonostante non conoscessi i personaggi principali e gli eventi del primo film, avendo visto gli ultimi due Avengers, qualche concetto era noto e si entra abbastanza bene nella storia. In sostanza si riesce a seguire lo stesso.


 Come noto, l'attore Chadwick Boseman, che interpretava proprio il supereroe protagonista del primo film, è morto due anni fa di cancro del colon, all'età di 43 anni. La tragedia è stata affrontata nella pellicola sia dal punto di vista della trama, che riprende la realtà, poiché il film si apre proprio con l'imminente morte del re a causa di una non precisata malattia, mentre sua sorella prova affannosamente a salvarlo, anche se non ci sono speranze, rinunciando però a stargli accanto alla fine (cosa di cui naturalmente si pentirà), sia in omaggi offerti all'attore e al personaggio sul finire del film. Questa morte e il modo in cui i personaggi si rapportano con essa e con l'eredità di Re T'Challa è il perno su cui si sviluppa il film: la madre, la sorella e il resto del Wakanda cercano un modo per governare e proteggere il regno dal mondo esterno, che vuole ancora e sempre appropriarsi della loro risorsa esclusiva, il vibranio, fonte di una tecnologia estremamente evoluta. Si scopre però che il vibranio è presente in realtà anche altrove. Un'enfant prodige, che a tre anni costruiva robot e che ora è al college, ha infatti costruito per un progetto scolastico l'unico rilevatore in grado di rintracciare la preziosa risorsa per terra e per mare. Suona insensato perché lo è. Gli USA prendono il rilevatore e beccano una fonte di vibranio in qualche oceano, ma cercando di appropriarsene, tirano fuori dal proprio nascondiglio un nuovo popolo antichissimo che abita sott'acqua e che basa la sua vita sul vibranio, proprio come il Wakanda. Il leader di questo popolo, Namor, intende muovere guerra al Wakanda (e poi al resto del mondo) se la regina in carica, Ramonda, non proteggerà il segreto sull'esistenza del suo popolo.

 Ero giunta prevenutissima in sala, anche solo per le due ore e 40 minuti di durata, che per un film d'intrattenimento (ma anche in generale) è troppo: non so come farò a vedere Avatar 2 che durerà 190 minuti...Inoltre avevo sentito dire che fosse lento e noioso. Partiamo proprio dalla durata e dal ritmo, che secondo me incidono molto sulla godibilità di un film. Posso dire che m'aspettavo peggio: è scorso abbastanza bene, rallentando un po' nei momenti di dialogo quando sono troppo lunghi e fini a sé stessi (leggi "l'ennesima volta che rimuginano sulla morte di T'Challa"), ma in generale gli avvenimenti si susseguono abbastanza fittamente. Posso dire di non aver sofferto sulla sedia come mi era capitato in altre occasioni (l'ultima Amsterdam, che forse mi condiziona tanto sul giudizio in questo caso specifico, ma potremmo citarne diverse, Il filo nascosto, Transformers 5, etc).

 Passando alla trama, invece, siamo al disastro: tutta la parte riguardante questa ragazzina super intelligente, Riri, che sbuca fuori all'improvviso e sa replicare le tecnologie Stark, ritirando fuori il fantasma di Iron man è ridicola e l'ho odiata (ignoro se sia gestita così anche nei fumetti). Tra l'altro sia la nuova Ironheart, sia la nuova Black Panther (perché ci fanno aspettare due ore, ma tanto si sapeva che sarebbe risaltata fuori, chiamandosi il film Black Panther 2) non sono credibili: nascono già imparate, sanno già usare tutte le abilità e tutti i poteri alla perfezione al primo tentativo. Non c'è il classico approfondimento da origin story! Ma poi, se alla Marvel manca un Iron man, lo faccia risuscitare piuttosto: questo personaggio non ha credibilità ed è pure antipatico. Probabilmente manca il tempo di gestirla bene perché, come al solito, c'è troppa carne al fuoco. Ruri non è il solo personaggio antipatico: Shuri, la sorella di T'Challa, anch'essa super intelligente e superdotata, ma che non crede in sé stessa, è lagnosa e sembra un personaggio debole finché non si trasforma in Black Panther, quando sembra rinnegare ogni caratterizzazione precedente e diventare tostissima. E purtroppo è proprio la protagonista! D'altro canto mi è piaciuta molto la recitazione della sua attrice, Letitia Wright, molto credibile, e anche quella di Lupita Nyong'o.

 Di altre cose ridicole che accadono ce ne sono tante: penso alla cassa funeraria di T'Challa, tirata su come se fosse senza peso; agli scafandri che non si sa perché un popolo che cerca di restare nascosto dovrebbe avere pronte per consentire visite guidate a estranei; alla, per l'appunto, "visita guidata" del mondo sommerso di Talocan che sembra un video-spot di un'agenzia di viaggi per venderti una vacanza; alla goffaggine dell'agente della CIA, che pare un novellino (e, se vogliamo dirla tutta, il suo personaggio è assolutamente inutile, svolge una sola funzione all'inizio, dopodiché non entra nella storia, la sua vicenda è praticamente parallela, ma volevano mettere in cast anche lui)...e altre cose che fanno percepire quanto poco sia curata la sceneggiatura (pretendono di inserire di tutto un po', per accontentare tutti, e non riescono a dare giusto peso a niente). La sceneggiatura verte poi su un'altra cosa assurda: questo popolo pretende con la forza che il Wakanda lo aiuti a non far scoprire il suo vibranio al resto del mondo, sennò gli muove guerra. Niente ha senso in questo: se vuoi un'alleanza perché non me lo chiedi con educazione, mostrandomi quale sia anche il mio interesse ad aiutarti? Se invece sei capace di distruggermi, allora puoi distruggere anche gli altri invasori, quindi risolvitela da solo, senza chiedermi protezione, tanto il vibranio ce l'hai pure te. Perché non te la prendi da te la studentessa, visto che i tuoi scagnozzi erano già nel posto giusto al momento giusto (potevano nascondersi, pedinarla e aspettare che non ci fosse nessuno)? Perché non la sfrutti invece di volerla uccidere? Perché mi dai una conchiglia da usare per chiamarti se poi non aspetti che io la usi per venire a prenderti la ragazza (spreco di oggetti scenici e di scene proprio)? Sai già che non lo farò?

 Non è perché sono abituata al fatto che ormai scrivano con i piedi tutto, che me lo posso far andare bene. E non è giustificabile che ogni volta scrivano cose senza senso: i film possono essere spettacolari anche se chiamano degli sceneggiatori capaci a scriverli.

 E propriamente spettacolare, questo film, non è: ha delle scene action che non sono proprio indimenticabili e spesso, tra l'altro, poco illuminate, non solo sott'acqua, ma anche, per esempio, sulla scena iniziale della nave.

 Comunque complessivamente è un film abbastanza godibile, scorre e un po' d'azione c'è. Fa il suo, non egregiamente, ma il tempo lo fa passare: bisogna solo spegnere il cervello.

Cosa mi è piaciuto: ritmo (per lo meno "succedono cose"), interpretazioni

Cosa non mi è piaciuto: la trama non ha senso; personaggi poco credibili; fotografia buia, poco chiara; poco spettacolare, non emoziona

Giudizio: film d'intrattenimento mediocre con la classica sceneggiatura scritta coi piedi (tanto ultimamente sono tutte così, non c'è più gusto a produrre belle cose fatte bene, basta solo che la major di turno ci guadagni) ⭐⭐

Spy story ad Amsterdam: l'ultimo film di O. Russell con Christian Bale

 Non sono un'estimatrice di O. Russell, fin da quando vidi Silver Lining Playbook e lo trovai molto ma molto sopravvalutato. Ancora non ho accettato del tutto che quell'anno abbiano dato l'Oscar a Jennifer Lawrence. E non sono impazzita nemmeno per American Hustle, ma c'erano state le belle interpretazioni di Christian Bale e Amy Adams. Joy, poi, lo trovai proprio noioso. Ma quando ho saputo dell'uscita di Amsterdam, semplicemente sono andata a vederlo perché c'era proprio Christian Bale, che è uno dei miei attori preferiti. Non ho guardato nemmeno il trailer, non ho letto la sinossi, sono andata a scatola chiusa, senza avere la più pallida idea di cosa trattasse il film. Cert, è vero anche che questa cosa la faccio spesso, per non crearmi pre-concetti e perché scelgo molto sulla base di regia e cast prima che su genere e trama.


Comunque Christian Bale è sempre un buon motivo per andare in sala e anche stavolta, seppure il contorno non mi abbia convinta troppo, è stata una conferma. Si potrebbe riassumere il tutto in "non un granché, ma Christian Bale salva tutto" e credo che questa interpretazione potrebbe puntare a qualcosa di più di qualche nomination ai prossimi premi cinematografici invernali. Perlomeno, da fan, ci spero.

Il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma il 21 ottobre scorso, anche se era già uscito nelle sale americane. Tratta la storia di un'amicizia tra il medico Burt Berendsen (Christian Bale), l'infermiera Valerie (Margot Robbie) e l'avvocato Harold Woodman (John David Washington), nata in Francia durante la Grande Guerra quando i due uomini si salvarono la vita a vicenda in una spedizione del loro battaglione e lei salvò la loro. I tre vivono un idillio ad Amsterdam per un po' di tempo, finché eventi più grandi di loro li separano. Dodici anni dopo si ritroveranno coinvolti in un misterioso complotto che rischia di metterli in pericolo.

La storia è abbastanza interessante: un complotto, un'amicizia di lunga data, un giallo e misteri da risolvere, ma le vicende sono dipanate saltando in apparenza di palo in frasca e soprattutto con un ritmo discontinuo, che alterna alcuni momenti concitati a molti altri lunghissimi, lenti e anche ridondanti di scene e di battute, soprattutto sul finale con le spiegazioni. Il film durava due ore e un quarto circa, ma un'ora prima del finale avevo già cominciato a sentire la pesantezza del film: qualcosa si sarebbe potuto saltare. Alcune battute sono molto ben riuscite, altre non le ho comprese, forse a causa di un adattamento in italiano non ottimale. Registicamente troppi primi (quasi primissimi) piani che durano un po' troppo. Tra i lati positivi un cast ricchissimo (oltre ai protagonisti Robert De Niro, Rami Malek, Michael Shannon,  Zoe Saldana, Anya Taylor-Joy, Chris Rock, Mike Myers, Matthias Schoenaerts, Alessandro Nivola, Taylor Swift, Timothy Olyphant, Andrea Riseborough) e ottime recitazioni: mi sono piaciuti tantissimo Robbie, Shannon, Malek. Bellissimi inoltre alcuni costumi, soprattutto i vestiti da sera di Margot Robbie. Altra nota positiva una fotografia pulita e chiara, anche nel buio di un dietro le quinte.

Cosa mi è piaciuto: Christian Bale da Oscar, recitazione, costumi, fotografia

Cosa non mi è piaciuto: ritmo, regia, sceneggiatura

Giudizio: ⭐⭐⭐

lunedì 7 novembre 2022

Porta Julia Roberts e George Clooney a Bali per avere i Ticket to Paradise

 Se prendi Julia Roberts e George Clooney ti viene una commedia di tutto rispetto.

A prescindere.



A parte che sono due ottimi interpreti, quindi possono permettersi di recitare anche l'elenco telefonico, sono anche bellissimi e il passare del tempo non gli fa un baffo: in Ticket to Paradise di Ol Parker (Marigold Hotel e il sequel di Mamma mia!), lei è sempre bellissima, magrissima, luminosa; lui probabilmente è nel suo massimo stato di grazia, migliora addirittura nell'invecchiare.

Se me li metti a Bali, perché la loro figlia si è innamorata nel viaggio post-laurea e li invita al matrimonio, fai bingo, perché puoi mostrare degli scenari paradisiaci con poco sforzo, anche se girassi il film con la fotocamera del cellulare. E puoi permetterti anche di inserire qualche spunto di riflessione non sono nel merito della trama, sul rapporto genitori-figli-fiducia-libertà (gli lasci la libertà di sbagliare con la loro testa perché non è solo una questione di fiducia, ma forse vedono più in là di te?), ma anche sul contrasto tra la vita frenetica occidentale e quella orientale, più lenta. Il promesso sposo in questa storia non fa il classico avvocato, né l'uomo di successo, ma coltiva alghe, anche se ti viene subito specificato che non è campare di sussistenza, ma il commercio di questa nuova merce è globale. Per la serenità di spirito dell'americano medio, quindi, è comunque un'imprenditore, più slow life, ma sempre un businessman.

Se costruisci una solida base di contrasti che si possono sviluppare, anche se un po' cliché come quello tra due divorziati che si odiano, ma non del tutto, o quello tra la figlia che vuole cambiare vita e sposarsi giovane e i genitori che vogliono il suo bene e sanno per esperienza quanto sia sbagliato sposarsi presto rinunciando alla carriera, la dinamica funziona per forza. E comunque i cliché sono rinfrescati dall'aria esotica di Bali.

Infatti questa commedia fa il suo molto bene: intrattiene, è leggera, quasi divertente in certi momenti, ha un ritmo abbastanza sostenuto, non si perde troppo in ciance. Da menzionare anche i costumi: Julia Roberts sfoggia dei look favolosi, è proprio splendida.

Certo non è un filmone, ma per passare una serata in modo piacevole è perfetto e ti conquista la dinamica tra i genitori, che rubano la scena alla figlia assolutamente insipida e al suo fidanzato perfettino.

Cosa mi è piaciuto: ho passato il film a fare il tifo perché i personaggi di Clooney e della Roberts si rimettessero insieme, costumi

Cosa non mi è piaciuto: la comicità non è sempre super spassosa e il ritmo in qualche punto rallenta; figlia insipida

Giudizio: ⭐⭐⭐

La Stranezza di Roberto Andò

 Il film di Roberto Andò, La Stranezza, presentato alla 17° Festa del Cinema di Roma, è una commedia ambientata nella Girgenti del 1920, che ricostruisce in chiave romanzata la genesi dell'opera teatrale Sei personaggi in cerca d'autore da parte di Luigi Pirandello (Toni Servillo, sempre magnetico e calato nel personaggio), quando questi ritorna nella città natale per il compleanno di Giovanni Verga e, casualmente, anche per il funerale della sua vecchia balia. I becchini incaricati da Pirandello di occuparsi della funzione funebre, Onofrio Principato (Picone) e Sebastiano Vella (Ficarra), nel tempo libero si dedicano alla scrittura e alla recitazione amatoriali nel teatro della parrocchia e Pirandello, senza rivelare la sua identità, si interessa della tragedia in corso di allestimento.


La stranezza, a cui fa riferimento il titolo, è l'immaginazione del celebre autore siciliano di dare udienza ai suoi personaggi immaginari e di come gli compaiano di fronte pretendendo di essere "risolti" e rappresentati. Queste visioni si accompagnano a una crisi artistica e personale di Pirandello, confessata all'amico Verga, dovuta anche al quadro di salute della moglie Maria Antonietta. Sarà assistendo alla messa in scena dell'opera di Principato che Pirandello troverà la forma per dare vita ai suoi Sei personaggi. Nel frattempo, ai tormenti creativi di un autore si intrecciano i problemi di cast di un altro e le vicende dei personaggi coinvolti nella rappresentazione di La trincea del rimorso ovvero Cicciareddu e Pietruzzu. Si approfondiscono, infatti, i problemi matrimoniali di Principato e il suo timore che la sua tragedia finisca in una farsa, la gelosia di Vella per la sorella Santina, le difficoltà di recitazione di una compagnia sgangherata di attori principianti.

Gli attori sono molto capaci: oltre al sempre straordinario Servillo, il carosello di personaggi maggiori (il duo comico è molto bravo) e minori che sfila nel Comune e nel teatro consente a una serie di ottimi caratteristi di sfoggiare la propria abilità, cercando di restituire un ricordo di piccolo borgo siciliano di inizio Novecento. Una grande attenzione è posta anche nella ricostruzione di costumi, ambienti, arredi, carrozze. La fotografia inoltre è molto bella e curata, rendendo nel complesso il film visivamente ben strutturato e scenografico.

A me è piaciuto molto anche l'intreccio delle storie, la costruzione che porta dagli episodi comici di paese all'ideazione e alla Prima (il 9 maggio 1921) dell'opera rivoluzionaria che cambierà per sempre la concezione di teatro del Novecento e che contribuirà a condure Pirandello sulla strada del premio Nobel, che riceverà tredici anni dopo il debutto dell'opera "per lo schietto e geniale rinnovamento nell'arte scenica e drammatica". Il film, concludendosi la sera della Prima, mostra anche come quella genialità pirandelliana all'epoca divise il pubblico tra coloro che l'avevano colta e coloro che invece la giudicarono troppo cerebrale, portando allo scontro fisico delle due fazioni.

Ho trovato il film piacevole, ma non così leggero, con una comicità divertente che però lascia spazio alla denuncia di alcuni costumi e atteggiamenti radicati all'epoca (e ad oggi) nel Meridione (e non solo): la corruzione pubblica, il patriarcato, la gelosia morbosa, la rispettabilità ipocrita della facciata che nasconde verità meno onorevoli. L'unica pecca che gli ritrovo, pur avendolo comunque apprezzato molto, è la lentezza che rende a tratti la narrazione pesante e che, paradossalmente, mi ha fatto percepire la durata di un'ora e 43 minuti molto più lunga.

Cosa mi è piaciuto: fotografia, storia, molto sfaccettata, che rende il film più di una commedia, recitazione

Cosa non mi è piaciuto: ritmo lento

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐

domenica 6 novembre 2022

Un talentuoso e tenero coccodrillo: Lyle, Lyle, Crocodile

 Questo pomeriggio avrei avuto voglia di fare la pantofolaia e di restarmene in tuta sul divano, ma sapevo che al cinema del mio paese alle 17.30 davano per il secondo week-end di fila il film dei registi Will Speck e Josh Gordon, Il talento di Mr. Crocodile, e mi dispiaceva perderlo perché dal trailer pareva carino.

Infatti è stato carino e se non fossi andata avrei perso una commedia trascinante, divertente e a tratti commovente.

Lyle è un piccolo adorabile coccodrillo in grado di cantare come gli umani, che viene scoperto dal mago Hector P. Valenti (Javier Bardem, sempre in forma) quando in un negozio di animali cerca un aiuto per migliorare le sue performance dopo essere stato rifiutato per l'ennesima volta alle audizioni di uno show stile Got Talent. Il film cerca di portarti in modo molto rapido (e ci riesce) ad affezionarti al rettile dagli occhioni tristi che si raggomitola con la sua codina come un gatto e che Hector avvolge con una sua sciarpina, che da quel momento indosserà sempre, perché si accorge che ha freddo. Hector, guadagnatosi l'effetto dell'animale, lo allena per esibirsi in numeri musicali e tenta di farlo debuttare in teatro, ma la bestiola è timida e davanti al pubblico fa scena muta. Valenti, che aveva usato la casa di sua proprietà, eredità di una facoltosa nonna, come garanzia per affittare il teatro, è costretto a cederla, lasciando il suo amico coccodrillo nella casa, promettendo di tornare dopo aver cercato fortuna altrove. La scena dell'abbandono del cucciolo è strappalacrime e conclude l'introduzione del film.

A comprare la casa di Hector sarà la famiglia Primm, appena trasferita, che viene rapidamente presentata con una scrittura molto buona, evitando il didascalico: il padre (Scoot McNairy) è insegnante di matematica ed è stato appena assunto in una scuola di New York, la madre (Constance Wu) scriveva libri di ricette ma ora vuole dedicarsi di più al figlio, il ragazzino, Josh, è asmatico e insicuro e non sa come farsi nuovi amici a scuola. Ma poi incontra Lyle nella soffitta ed entrambi non si sentiranno più così soli come prima.

Ho trovato molto delicate e "confortevoli" (apprezzo molto anche i film che scelgono di non tirarti cazzotti sullo stomaco trattando temi leggeri invece di farti riflettere) un paio di scelte in questo film, che fanno sì di concentrarsi sulla favola che viene raccontata, senza deviare verso argomenti troppo complessi per essere gestiti in una commedia e senza scadere nei soliti temi: da una parte l'aver scelto di non trattare il tema del bullismo o comunque del ragazzino che è rifiutato nella nuova scuola (il film parla di altro ed evita un cliché da accennare marginalmente, glissando un po' la cosa) e dall'altra Hector non tratta Lyle come la gallina dalle uova d'oro, non lo scarica come inutile perché non è riuscito a vincere la timidezza e non gli ha permesso di diventare ricco e l'affetto che prova è sincero (e si scansa così un altro cliché).

La narrazione è deliziosa: è molto dolce, non scende mai nei conflitti classici, ma è proprio cozy, avvolgente; mi ha fatto storcere il naso un paio di volte (la scena in cucina con la mamma e non capisco perché verso il finale in momenti consecutivi il coccodrillo passi tra la gente nell'indifferenza generale -come quando era travestito da mascotte- e poi scateni il panico) ma starei spaccando il capello in quattro, perdendo il senso generale della cosa. Fa piuttosto ridere, soprattutto da dopo che si è avviata un po' la vicenda. I personaggi sono ben scritti e carini. Le canzoni (cantate in originale da Shawn Mendes e in italiano da Luigi Strangis) sono molto carine anche se le ho trovate non così riuscite (e meno coreografate) rispetto a The Greatest Showman, film che condivide con questo gli stessi autori musicali, Pasek e Paul. I costumi e le scenografie poi sono veramente belle, addirittura in certi momenti i primi risaltano la seconda e viceversa. E poi quanto è stato bravo Winslow Fegley, che interpreta Josh! In conclusione mi è piaciuto veramente molto, l'ho trovato un ottimo film per famiglie, tenero, commovente, divertente e fresco.

Cosa mi è piaciuto: storia, personaggi, canzoni, costumi splendidi, scenografia, Winslow Fegley

Cosa non mi è piaciuto: un buchetto di trama, una scena meno brillante, le canzoni non mi hanno fatto impazzire

Giudizio: complessivamente piacevole e molto carino ⭐⭐⭐⭐ 1/2