lunedì 24 ottobre 2022

L'antieroe della DC: Black Adam

 Domenica sera di coppia: "Dai, guardiamoci un film leggero, un bel film action per passare la serata in modo divertente al cinema". E così ci ritroviamo a vedere Black Adam.

Gli stessi muscoli di The Rock proprio

Date le premesse, non mi aspettavo altro che un film d'intrattenimento e intrattenere il film intrattiene, non benissimo (a me è risultato noioso in molti punti, la sequenza di scontro iniziale sembrava un videogioco e ogni pochino c'era uno slow-motion), ma lo fa. Un po' di action c'è insomma, anche divertente in qualche momento con esplosioni e smembramenti, ma né emozionante, né particolarmente spettacolare e nemmeno divertente (a parte qualche scambio di Adam con il personaggio del ragazzino). Preoccupazione per la sorte dei personaggi, tra l'altro, nessuna, perché sono introdotti diversi personaggi nuovissimi, dagli eroi, Adam compreso, ai passanti, a cui non ci fanno affezionare minimamente.

Il film infatti inizia con il racconto di chi sia questo schiavo, Thet-Adam, divenuto eroe del popolo di Kahndaq, oppresso da un malvagio sovrano 5.000 anni fa. E già qui il racconto a me è parso confusionario (!!!SPOILER: avendo capito dalla prima scena che Dwayne Johnson era il padre, non mi tornava che il figliolo sparisse di sotto, gli dessero i poteri, e poi non si vedesse più. Nel trailer Adam dice che il figlio è morto e così sono stata convinta tutto il tempo che lui credesse alla morte del figlio, in realtà sparito chissà dove. Quando appare l'eroe credevo fosse fin da subito Johnson con conseguente confusione di dove avesse preso i poteri. Non avevo capito -e ci ho messo parecchio anche dopo il plot-twist- che era il bambino diventato eroe, perché sapevo che quello coi poteri era il padre e non ero caduta nel gioco di farmi convincere che il bambino diventa Johnson da adulto SPOILER!!!).

Insomma, parecchia confusione nell'esposizione. Qui e anche coi personaggi introdotti dopo.

Di colpo ci ritroviamo nella Kahndaq di oggi dove quattro tizi stanno uscendo dalla città, assediata da paramilitari (notizie più precise non ne ho) su un furgoncino colorato. Ho durato una fatica incredibile a seguire i fatti, pensavo continuamente "ma chi sono questi" e "ma perché ce li stanno facendo vedere". Infatti questi non sappiamo chi siano, non sono proprio introdotti, e solo dopo un po' (per qualcuno anche a metà film) scopriamo come si chiamino. Ma non sapremo mai esattamente chi siano e come avessero fatto a ritrovarsi insieme (imparentati a parte). 

Di fatto si recano a degli scavi o a delle rovine, che evidentemente erano stati esplorati male o mai esplorati, entrano dentro e gironzolano un po' e si imbattono in questa corona di Eternium (variante dell'unobtanium o della spezia di altri franchise) che era appartenuta al re malvagio. Gli cala proprio dall'alto gratis, non si sa perché a loro e non ad altri a caso che si erano persi mentre andavano a funghi, perché non fanno assolutamente NIENTE alla Indiana Johns o alla Relic Hunter per capire dove fosse e come si prendesse la corona. Nemmeno negli anni Novanta poteva esserci una costruzione così a caso degli eventi: in quel periodo, infatti, semmai gli veniva una trama con qualche tamarrata, ma è proprio negli ultimi 5-10 anni che le trame le scrivono così brutte e senza logica. Questo è proprio un frutto del nostro tempo. Tra le molte scene ridicole e senza senso contiamo la morte di uno dei quattro tizi, buttato giù (ma poi perché cade dall'alto se questi sembravano "a piano terra" o sotto) da uno degli altri, che è una talpa nel loro quartetto e che si riconosce subito come cattivo dalla faccia inquietante, ma la studiosa (è una studiosa? è una scienziata? è una storica? una ribelle? non lo sapremo mai) del gruppo non lo sgama; e altra scena inutile l'esitazione prima del saltino che fa questa componente femminile della spedizione, non meglio identificata. Ritrovatasi con le spalle al muro, perché non si era accorta prima che il tipaccio la guardava con gli occhi di un serial killer, non le viene in mente niente di meglio da fare che sparare parole come se ne conoscesse l'effetto sopra la prima tomba che trova e risveglia così Thet-Adam, che comincia a fare quello che farà nel resto del film: uccidere male tutti, tranne quelli che gli stanno simpatici. Da questo momento in poi la vicenda va avanti così, con pretesti inutili perché Dwayne Johnson possa menare malamente tutti i cattivoni.

Uno dei problemi che ho riscontrato è questo dualismo buono-cattivo che i personaggi dichiarano nel corso del film: contrapposizione -solo dichiarata appunto- tra gli eroi ufficiali, che non fanno troppa bua ai nemici, e Black Adam, definito cattivo perché invece li massacra. Agli occhi miei e di quelli degli abitanti di Kahndaq in realtà si tratta di pappamolle contro quello che risolve i problemi in modo fattivo. Perché per non farlo passare da cattivo, non gli possono attribuire mire malvage come uccidere innocenti o dominare il mondo (anzi, appena siede sul trono lo trova sbagliato, quindi ha una morale assolutamente retta e disinteressata), ma l'eccesso di violenza non me lo fa passare nemmeno da anti-eroe. Un esempio di anti-eroe, forse, può essere il Loki della Marvel nelle sue fasi 3 e 4, quando fa la cosa giusta ma per proprio tornaconto personale. Questo tizio invece salva donne e bambini e, in senso lato, la popolazione di Kahndaq senza altro motivo se non che non gli scoccia troppo farlo. Quindi questa costruzione dell'anti-eroe è solo di nome, fallisce, perché Black Adam viene fuori come un eroe un po' sfavato e con una pessima gestione della rabbia, ma non come anti-eroe e tantomeno come cattivo. Sono gli eroi canonici che ci sfigurano con delle motivazioni che non reggono.

Altro problema è con i personaggi, che non hanno una personalità, fanno solo cose. Sono introdotti troppo rapidamente e troppo tutti insieme perché si riesca a capirli un minimo. Infatti dopo l'immersione prima nei personaggi dell'antico Egitto, poi in un sacco di altri personaggi del nuovo Egitto, facciamo un bagno in una serie di altri eroi DC nuovi di pacca che compaiono tutti insieme, mai rammentati nei film precedenti (anche se non li ho visti tutti, dato il discorsino didascalico iniziale, sono quasi certa della mia affermazione). Compare così, di punto in bianco, questa Justice Society, che deriva? discende? c'entra qualcosa? con la Justice League, ma non si sa come sia nata e non si sa che fine abbiano fatto gli eroi fighi, quelli di serie A, del ciclo precedente. Ho odiato questa presentazioncina forzata dei quattro nuovi personaggi: veloce, parlata, confusionaria. Non ne ricordo uno di nomi. Non ho capito da dove hanno preso i poteri e a volte nemmeno di preciso quali sono questi poteri e come funzionano. E poi sono anonimi e poco sensati. "Quello che diventa alto" lasciamo perdere proprio, serve come spalla comica e di carino ha solo lo zio, che è il primo Atom Smasher (non so cosa dovrebbe essere un atom smasher, qualcuno me lo spiega?) Fonzie. "Quella che fa vento" è molto bella e fa quell'effetto variopinto un sacco carino nelle battaglie. Fine. Non parla mai, ma viene descritta come un sacco dotata perché fa comodo che a un certo punto ci sia un chirurgo a bordo. Il "Falcon con le ali dorate" è detestabile, ancorché belloccio, perché rinfaccia a Black Adam che uccide i cattivi (questa è la DC, cicco, gli eroi che fanno il loro lavoro sono quelli della Marvel e questi sono gli anni del buonismo di nome, niente violenza in schermo, please) e non si sa che altri poteri abbia a parte le ali e quel mazzuolino con le punte in pendant. Poi c'è Pierce Brosnan che fa Dr. Fate, altro personaggio di cui non si capiscono i poteri perché fa un sacco di cose diverse (parla col vocione profondo, prevede il futuro, fa muri e gabbie fatte di materiale invisibile, si sdoppia, comunica telepaticamente e altre cose) ma non se ne conosce il legame a una specifica capacità che le giustifichi. Di lui si può dire che sia figo, recitato bene, carismatico (datemi un uomo con la barba bianca e non avrò da lamentarmi di nulla...quasi).

Ma a parte l'assoluta mancanza di interesse con cui me li hai rappresentati, non mi dai abbastanza tempo per conoscerli e per affezionarmi a nessuno di questi altri eroi tirati fuori perché non hai quelli costruiti nei film precedenti. Non c'è il tempismo giusto per fare quello che decidi di fare: mi dovevi dare almeno questo film e anche un altro mezzo abbondante per farmi conoscere i personaggi prima di poterti aspettare la reazione che vuoi evocare nel pubblico. 

Il cattivo poi peggio dell'Atom Smasher: è brutto proprio, in ogni possibile senso del termine. Brutto visivamente, con quelle corna che pare proprio un diavolo (ma poi tutti con le corna me li devi fare i cattivi della DC?), e brutto creativamente.

Cosa mi è piaciuto (e dunque salvo): il ragazzino con lo skate funziona, sia quando va in skate con quella colonna sonora, sia quando interagisce con Black Adam; le citazioni di Sergio Leone; gli easter egg sugli altri eroi della DC nella stanza del suddetto ragazzino e quando nel combattimento tra Adam e "Quello con le ali dorate" fanno a pezzi tutti i gadget (è un messaggio preciso? mi vuoi dire che il loro tempo è finito? ma poi mi metti la scena post-credit che contraddice questo suggerimento!); il loro jet che si può smontare in due componenti è figo; Karim; la frase a effetto di Black Adam che si costruisce nel film (è così che si fa, Thor: love and thunder, non quella cringiata assurda).

Cosa non mi è piaciuto: costruzione casuale degli eventi senza una trama logica; personaggi costruiti malamente; è una cagata.

Giudizio: mamma mia, pessimo proprio, noioso in troppi punti per un action e senza senso ⭐

domenica 23 ottobre 2022

L'adattamento cinematografico del Colibrì

Domenica scorsa sono andata al cinema a vedere il film di Francesca Archibugi, presentato alla Festa del Cinema di Roma, di cui avevo apprezzato molto Il nome del figlio (2015), che stavolta metteva in scena l'adattamento cinematografico del libro Il Colibrì di Sandro Veronesi.

Libro che, per altro, avevo fatto in tempo a finire quella stessa mattina, nonostante lo avessi in casa da un paio d'anni. La lettura mi aveva travolto e mi era piaciuta immensamente, come ho già raccontato. Poiché era stato proprio il trailer del film a farmi salire l'hype per le due opere, cartacea e cinematografica, spingendomi a leggere il libro in un paio di settimane, arrivavo in sala con attese altissime, emozionatissima.

E questo è sempre un male.


La trama e i fatti sono quelli del libro: il racconto della vita di Marco Carrera, oftalmologo che sposa Marina Molitor, da cui avrà l'adorata figlia Adele, ma che è sempre innamorato del suo grande amore di gioventù, Luisa Lattes. C'è una grande aderenza al romanzo, almeno all'apparenza. Quello che è sembrato a me è che si siano scelte le scene clou del libro e le si siano riprodotte quasi tal quali, ma che si sia perso il senso generale di quanto narrato e soprattutto la sua profondità.

Nel libro si sente costantemente una tensione emotiva e l'incombenza di qualche tragedia che spazzerà via di nuovo ogni equilibro ricreato dal personaggio del Colibrì, Marco Carrera appunto, interpretato da Pierfrancesco Favino. Naturalmente ognuno di noi leggendo un romanzo interpreta certi passaggi e certe storie a modo suo, nel suo intimo, nella sua immaginazione, quindi l'affermazione che seguirà è puramente personale. Non ho rivisto in questo adattamento i legami tra personaggi che ci avevo "letto" io, in particolare il rapporto tra Marco e Luisa. Nel libro sembra un amore travolgente, ma nel film lei sembra molto più distante e meno interessata. Ma tantissimi aspetti li ho trovati appena accennati e non gestiti con la dovuta intensità. Anche il personaggio di Marina non l'ho trovato così approfondito come era nel libro, dove il suo dramma interiore e la sua distruzione risultavano così sfaccettati. Inutile parlare poi di Miraijin, così fondamentale nel libro, così cruciale nella vita di Marco Carrera, che qua invece rimane solo superficialmente nel gioco dell'amaca e non riveste il ruolo salvifico a cui Veronesi l'aveva destinata, cosa in parte comprensibile perché in un adattamento sarebbe molto difficile da restituire. Di più, quel capitolo sembra uscire del tutto dall'atmosfera (e quasi dal genere) che fino a quel momento aveva contraddistinto il libro, assumendo una connotazione quasi fantascientifica: questa estraneazione in un film costruito sul dramma avrebbe forse stonato ancora di più. Mi ero anche domandata come avrebbero potuto rendere l'aspetto così particolare della ragazza, ma eliminando del tutto il significato di "uomo nuovo" che doveva avere, anche metterle una lente a contatto azzurra sarebbe stato a quel punto superfluo.

Anche la recitazione mi è sembrata molto costruita e non passionale: mi sembrava l'esecuzione di un esercizio di stile, ma non mi ha trasmesso niente. Questa potrebbe anche essere solo una mia sensazione derivante dal confronto diretto col romanzo, che mi aveva invece inondato di emozioni. Il cast è composto di grandi attori: Favino e Kasia Smutniak, che mi piacciono molto, Bérénice Bejo che mi era piaciuta in The artist, Nanni Moretti, che nella prima scena mi è sembrato il più rigido di tutti, ma poi si è sciolto un po' di più, Laura Morante, Sergio Albelli, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, che ha fatto uno dei suoi personaggi in tutto e per tutto. Nessuna delle loro interpretazioni mi è parsa brutta in senso assoluto, ma nessuna mi è arrivata dritta al cuore, nemmeno quella di Favino, che ritengo uno dei nostri più capaci attori.

Giudizio: ⭐⭐ ma se non avessi letto il libro (e così da poco tempo) il giudizio sarebbe stato lo stesso?

sabato 15 ottobre 2022

La crisi climatica (e non solo) secondo Virzì

 È una Roma distopica, quella che mette in scena Paolo Virzì nel suo ultimo Siccità, fuori concorso a Venezia, in cui non piove da così tanto tempo ("giorno 367 della crisi idrica" annuncia il telegiornale) che il letto del Tevere è diventato uno scavo archeologico e le case dei romani sono invase da orde di blatte. In questo scenario apocalittico si sta diffondendo un'epidemia di una strana febbre del sonno che colpisce gli abitanti e di cui i medici stanno cercando di capire l'origine.


È in questa cornice che si sviluppano e si intrecciano tra loro le storie corali di molti protagonisti: famiglie che si sfasciano, ma lasciano una facciata di rispettabilità esterna e "social" (perché nel mondo di oggi contano solo il numero di like e si cambia format in base a quello più adatto a moltiplicarli, compresi tutorial sul risparmio idrico), ipocrisie, coppie non riconosciute, amori segreti, attrazioni adolescenziali, carcerati dimenticati chiusi fuori da Rebibbia, disgraziati che hanno perso tutto, tassisti con le visioni, lotte per affrancarsi, lotte per sopravvivere, Madonne nere che attraversano il deserto del Tevere, piantine che cercano di non morire assetate.

Le storie raccontano anche lo scontro di classe, la disparità che nel nostro paese è sempre presente: mentre manca un bene primario per tutti, che viene razionato, con tanto di provvedimenti e persecuzioni (polizia al seguito) se un qualunque poveraccio di strada cerca di fare il furbo e di arraffare più di quanto gli spetta, mentre i giovani scendono in protesta, i ricchi hanno sempre di più e per qualche misterioso motivo godono di scorte insospettabili che sperperano in inutilità come le piscine, l'idromassaggio e le beauty farm.

È un film di denuncia, coi suoi paradossi e le sue parodie, al cambiamento climatico (e ai modi in cui lo affrontiamo) che somiglia un po' a Don't look up: il personaggio di DiCaprio sembra impersonificato in tutto e per tutto da quello del Professor Del Vecchio (idrologo, evoluzione 2.0 del virologo dei nostri giorni), anche nell'evoluzione da esperto super partes a uomo corrotto dal sistema.

Io l'ho visto al cinema del mio paese nella seconda settimana di uscita e una mia amica, che aveva fatto in tempo a vederlo subito, mi aveva detto che non le era piaciuto perché sembrava troppo "alla Sorrentino". Adesso posso dire che, se anche fosse, non mi è dispiaciuto (forse alludeva a citazioni e a rimandi a una simbologia molto vicina a quella del napoletano, come la Madonna o la parata danzante in strada o la preghiera al papa che sembra latrice di salvezza), ma io ci ho trovato molto Virzì, nei personaggi, nella loro miserabile umanità, che è raccontata così bene e in modo così coinvolgente. Gli attori, anche i più giovani, sono bravissimi. Mi è piaciuta tantissimo l'interpretazione di Emma Fasano, che pure forse ha un minutaggio inferiore ad altri personaggi.

Il ritmo è davvero scorrevole, le storie sono tante e non un minuto è sprecato: ogni scena racconta quel tanto che basta a volerne sapere di più di ciascun personaggio per subito passare a un altro racconto ugualmente interessante e quelle due ore o poco più passano velocissime, lasciandoti ancora con un senso di incompleto.

Cosa mi è piaciuto: tutto, attori, regia, vicende, rimo serrato

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

Orsi che non esistono e registi incarcerati

 Ieri sera sono stata al cinema d'essai del mio territorio (il cinema Garibaldi di Scarperia) a vedere il nuovo film del regista iraniano Jafar Panahi, attualmente incarcerato in Iran, di cui avevo sentito parlare, ma del quale (ammetto le mie lacune) non conoscevo la filmografia.

Dopo questa serata penso però di andarmi a recuperare altre sue opere, perché è davvero un maestro, come lo chiamano nel film.

Il film era stato insignito del premio speciale della giuria a Venezia circa un mese fa e c'era chi si era lamentato che non avesse ottenuto di più.



Cosa ne penso io, che non sono un critico ed esprimo pareri più di pancia che di sostanza?

Premettendo che non è il genere che preferisco (amo più il film d'intrattenimento che il film di riflessione), l'ho trovato molto interessante e pure geniale in molti modi. Sì, è un pochino lento, ma lento nel raccontare più che nel ritmo (che in realtà è abbastanza coinvolgente): ci sono scene molto lunghe e statiche, movimenti di macchina al minimo, qualche campo lungo, più di un piano sequenza, poco montaggio, un po' di più verso la fine quando si intensificano un po' gli eventi. Questo per valorizzare i dialoghi, che sono la narrazione stessa. I movimenti della camera coincidono col cambio di scena quasi come una struttura teatrale. Ogni scena ha senso nell'economia della storia e questo lo apprezzo tantissimo.

Anche da profana riconosco la mano autoriale di un regista di grande esperienza, che vuole raccontare a parole sue (col cinema suo) la sua storia che si intreccia ad altre storie di un paese così lontano dal nostro e costretto, come sappiamo, in un regime cieco, tirannico e molto anacronistico, di cui peraltro si parla molto in queste settimane.

Il film si apre con un piano sequenza, che dopo pochi minuti si rivela essere un film nel film.

Panahi, nei panni di sé stesso, sta infatti dirigendo un film, quello della scena che ci viene mostrata, ma a distanza. Lui si trova infatti in un villaggio al confine turco, dove ha preso in affitto un alloggio. Ed è in questo villaggio che il suo aver (o forse non aver) scattato una fotografia a una coppia di giovani sarà pietra di uno scandalo sentimentale, che metterà a soqquadro la calma superficiale di questo luogo sperduto in cui tradizioni antiche, miopi e, ammettiamolo, misogine (come il regime del paese natio di Panahi) si ripetono immutate negli anni.

C'è un incastro complesso e ingegnosamente architettato di storie di ambiguità, che vertono sulla foto (Panahi l'ha scattata o no quella fotografia?), sul confine (vuole o non vuole varcare il confine e fuggire infrangendo il divieto di lasciare l'Iran?) e sul film stesso, che è sì film nel film, ma in realtà in un articolata giostra di scambi è invece realtà nel film - che è dentro il film- (e questo è puro genio secondo me).

I personaggi sono molto credibili, tramite loro c'è una descrizione di un mondo intero (la facciata di tradizione e gentilezza che nascondono il vero animo che c'è sotto), e c'è questo mescolarsi straordinario di personaggi reali e di fiction che in realtà sono reali che io ho adorato.

Cosa mi è piaciuto: il film dentro il film che in realtà non è film, la regia

Cosa non mi è piaciuto: è un genere fuori dalla mia confort zone, ma ne sono uscita volentieri e ne è valsa la pena; ma gli orsi chi sono?

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

sabato 8 ottobre 2022

Il Maigret di Gérard Depardieu: confronto libro-film

 <<La conosceva?>>

<<Sono arrivato a conoscerla abbastanza bene.>>

 


Il 15 settembre scorso è uscito Maigret, film francese del regista Patrice Leconte, che ho visto al cinema del mio paese al modico prezzo di 3,5 euro, poiché era in corso la promozione "Cinema in festa".

Il celebre commissario, interpretato da Gérard Depardieu, è stanco e non si sente bene, tanto che il suo medico (legale) gli chiede di non fumare finché non avrà fatto una radiografia dei polmoni. E in astinenza completa dal fumo si ritrova a indagare, costantemente circondato da gente che gli fuma di fronte, in un caso molto triste: il ritrovamento, in Place Vintimille, del cadavere di una ragazza giovanissima, di cui non si sa niente, se non che indossava al momento della morte degli abiti presi a noleggio.

Maigret fa di tutto per risalire alla sua identità, a come è morta e per mano di chi, prendendosi a cuore questa povera ragazza (e in realtà anche una seconda, ennesima anima che cerca in Parigi la svolta, vivendo intanto di espedienti, in cui il commissario rivede forse la morta e in qualche modo la figlia, e che lo aiuterà a concludere l'indagine). 

Il film è molto lento e malinconioso e gravato da questa assenza, allusa più volte, della figlia di Maigret. La fotografia però è pulita, la storia piuttosto asciutta e si risolve in un'ora e mezza, in qualche momento c'è una piacevole ironia (il divieto di fumare, il rapporto coi collaboratori...).

Poiché i gialli di Simenon mi piacciono, ma prima di averlo visto al cinema non avevo letto che altri cinque libri del commissario francese, ho voluto recuperare il testo da cui è tratta questa pellicola, per farmi un'idea dell'aderenza alla trama del film. Tra l'altro la storia mi aveva ricordato tantissimo uno di quei cinque che avevo letto, ovvero Il morto di Maigret (1931). Anche in questo caso, il commissario si prende a cuore la storia di uno sconosciuto di cui viene rinvenuto il corpo e di cui, poco alla volta, si scoprirà la storia personale e le ragioni dell'assassinio.

La parte grassettata in rosa è l'unica traccia che hanno in comune il film e il libro (Maigret e la giovane morta, 1954), oltre ai nomi delle due ragazze che compaiono nella vicenda: la morta e la sua amica. Sono molto contenta di aver visto prima il film, perché altrimenti avrei passato il tempo della visione a chiedermi: "ma quando accade questo" o "ma quando entra in scena quest'altro". 

Il libro è stato snello (185 pag) e rapido da leggere. Non mi è piaciuto come altri della stessa serie (per pochi, appunto, che ne abbia letti), ma ho trovato interessante e gradevole questa ricostruzione che Maigret fa della storia della giovane morta, dalle origini alla fine, e a cui si dedica il libro quasi nella sua interezza. La risoluzione finale (chi l'ha uccisa e come) è gestita nell'ultimo capitolo, nelle ultime 25 pagine circa, mentre i primi otto capitoli sono dedicati a conoscere chi fosse la sconosciuta, così bene che è questa "intima conoscenza" a cui arriva Maigret nell'indagine a permettergli di risolvere il caso, seppure il suo "quasi rivale", lo Sfortunato, l'ispettore Lognon del II Distretto a cui Maigret (e dunque il Quai des Orfèvres) soffia l'indagine, fosse qualche passo avanti al nostro prima della risoluzione.

<<Tecnicamente non aveva commesso nessun errore e nessun corso di polizia insegna a mettersi nei panni di una ragazza educata a Nizza da una madre tutt'altro che normale.>>

Mi è piaciuto tantissimo che sia stato proprio questo sforzo, a cui si dedica Maigret, di immaginarsi la sconosciuta e di capirne i modi di fare, i pensieri e il carattere (come un profiler, basando tutto sulla vittimologia) a consentirgli di capire tutto.

Segue adesso un'analisi di alcune differenze tra le due opere (cartacea e visiva), pertanto -pur limitandoli- non sarà possibile evitare completamente gli SPOILER su almeno una delle due, quindi non proseguire oltre se non si è visto/letto l'opera in questione, a meno di non essere indifferenti alla cosa.

1) La vicenda (come la giovane morta sia stata uccisa) è completamente distinta: cambia proprio sia come è avvenuta la morte, sia chi sia stato, sia il movente.

2) Anche molti dettagli di contorno sono diversi: dove la morta alloggiava, se usava sonniferi, quante volte aveva noleggiato l'abito, il mezzo con cui si era recata alla festa (che non era il fidanzamento, ma il matrimonio dell'amica), il carattere (nel libro mi è rimasta più antipatica che nel film, ma rimane la miserevolezza commovente del personaggio e si sente, per me, di più nel libro), il retroscena familiare (nel film non lo si conosce, nel libro sì), il rapporto con Jeanine, etc...

3) Il personaggio di Jeanine Armenieu ha una rilevanza e un ruolo del tutto diversi: nel film è molto presente e molto coinvolta nella vicenda, nel film neppure si vede di persona (si sa di lei dagli interrogatori dei vari testimoni e parla con Maigret solamente al telefono).

4) Nel libro il marito di Jeanine è italiano e non francese e non se ne conosce la madre.

5) Il personaggio di Betty nel libro non compare.

6) Nel libro non si fa riferimento alla figlia dei Maigret.

7) Nel libro Maigret non ha problemi di salute e non conduce tutta l'inchiesta con la stessa bevanda - cosa che però risulta molto simpatica nel film.

8) Il personaggio di Lognon, che nel libro è un personaggio comico, suo malgrado, che quasi gareggia con Maigret per arrivare primo alla soluzione del caso, nel film non c'è.

Mi sono piaciuti? Abbastanza. Il film un po' meno, l'ho trovato molto lento, anche se la malinconia di fondo ricorre molto nei romanzi di Maigret e quindi ci sta (ho visto gli adattamenti con Rowan Atkinson, ma non per esempio quelli storici con Gino Cervi o quelli di Castellitto o di Jean Gabin, etc, e quindi non sono in grado di dire quale versione per me rispecchi di più l'anima del personaggio di Simenon). Il libro di più, per l'analisi psicologica che compie il commissario, ma in generale le due storie non mi piacciono tantissimo (né nella versione cinematografica, né in quella cartacea).

Quale ho preferito: il libro

Giudizio

Leconte - Maigret (2022) ⭐⭐

Simenon - Maigret e la giovane morta (1954)⭐⭐ 1/2

martedì 4 ottobre 2022

Avatar Riedition e finalmente l'ho visto per la prima volta

 Quando nel 2009 uscì in sala lo mancai. E me ne infischiai pure per due motivi: non mi attraevano gli omini blu e mio zio mi disse che era una figata visiva se lo potevi vedere in 3D, ma che per la storia era identico a Pocahontas. Era l'epoca in cui stavo in fissa con i film degli anni Quaranta e col cinema di Hitchcock, quindi mi stava bene così.

Anni dopo mi dispiacque essermi persa un film considerato un capolavoro visivo, vincitore di tre premi Oscar (fotografia, scenografia, effetti speciali), però mi scocciava vedermelo non in 3D. Poi annunciano l'uscita del sequel a dicembre 2022 e la riedizione tre mesi prima e capisco di non poter perdere l'occasione. Dunque cosa dire dopo tredici anni dall'uscita in sala?



Non molto, poiché l'intero mondo avrà avuto ampio margine di esprimersi nel frattempo, però di pancia pure io voglio dire la mia. In un mondo in cui il pubblico è diviso tra chi lo ama e chi lo odia, io vi trovo sia pregi, sia difetti. Naturalmente non parlo da fan (si vede dalla latenza della visione dall'uscita e anche dal fatto che me ne è importato poco sia prima sia adesso), però gli trovo più pregi che difetti. Parto da questi ultimi:

La trama è un'americanata.

Sì, non ci si può girare troppo intorno: gli americani invadono un nuovo pianeta per appropiarsi della materia prima chiamata unobtanium (=oro); l'ex marine Jake Sully (=John Smith, anche se è più antipatico pure di quello originale), che ha perso l'uso delle gambe, è disposto a rimpiazzare il fratello morto, con cui condivide il DNA, ricercatore in un progetto di studio sul mondo naturale di Pandora, per utilizzare uno di questi avatar fatti su misura e comandabili con collegamento neuronale. Inizia come ricercatore per la dottoressa Grace Augustine, innamorata della cultura e della natura di Pandora, passa però a fare la spia per il cattivone simil-Terminator-Clayton-di-Tarzan che vuole far fuori tutti in quanto si ritiene di una razza superiore, pur di arrivare al metallo agognato da Parker Selfridge (=Ratcliffe). Poi ci ripensa perché si innamora a sua volta del mondo dei Na'vi e della figlia dei capi, Neytiri (=Pocahontas), promessa sposa del futuro capo della tribù, Tsu'Tey (=Kocoum). C'è anche un pizzichino di Jurassic Park perché ci sono i dinosauri volanti da cavalcare, che sono bellissimi. In generale è proprio Pocahontas con contaminazioni varie, ma in salsa americana e meno tarallucci e vino, perché va un po' più a schifio che nella storia Disney. Il tutto però non è un difetto, manca solo di originalità, è un "gia sentito".

Ricorda altri film semplicemente perché i personaggi sono molto stereotipati.

"Gl'è" lungo e in certi momenti palloso.

Questo è il problema più grosso del film: questo, non la trama. Tutta la parte in cui il protagonista esamina la sua coscienza e tutta la parte incentrata sui rapporti degli americani che litigano (buoni vs cattivi) è lentissima e noiosa. Poteva essere saltata tutta questa parte (o perlomeno accorciata molto) per lasciare spazio ai lati positivi del film:

Visivamente è spettacolare.

Il mondo di Pandora, con le sue piante colorate e fluo e gli animali "fantastici" (adattamenti dei nostri cavalli, uccelli, lupi, etc) è una figata.

Il 3D è incredibile (soprattutto considerato che di solito mi dà un sacco noia e non mi dà mai soddisfazione).

A tratti è emozionante: non da lacrime, ma la scena dell'albero casa e anche quella dell'albero sacro hanno un impatto notevole.

In conclusione: la storia non è un granché, ma è un film che ha fatto la storia degli effetti visivi e che, nonostante sia noiosino nel primo tempo abbondante, riserva qualche scena che appassiona.

Giudizio: ⭐⭐⭐