domenica 23 ottobre 2022

L'adattamento cinematografico del Colibrì

Domenica scorsa sono andata al cinema a vedere il film di Francesca Archibugi, presentato alla Festa del Cinema di Roma, di cui avevo apprezzato molto Il nome del figlio (2015), che stavolta metteva in scena l'adattamento cinematografico del libro Il Colibrì di Sandro Veronesi.

Libro che, per altro, avevo fatto in tempo a finire quella stessa mattina, nonostante lo avessi in casa da un paio d'anni. La lettura mi aveva travolto e mi era piaciuta immensamente, come ho già raccontato. Poiché era stato proprio il trailer del film a farmi salire l'hype per le due opere, cartacea e cinematografica, spingendomi a leggere il libro in un paio di settimane, arrivavo in sala con attese altissime, emozionatissima.

E questo è sempre un male.


La trama e i fatti sono quelli del libro: il racconto della vita di Marco Carrera, oftalmologo che sposa Marina Molitor, da cui avrà l'adorata figlia Adele, ma che è sempre innamorato del suo grande amore di gioventù, Luisa Lattes. C'è una grande aderenza al romanzo, almeno all'apparenza. Quello che è sembrato a me è che si siano scelte le scene clou del libro e le si siano riprodotte quasi tal quali, ma che si sia perso il senso generale di quanto narrato e soprattutto la sua profondità.

Nel libro si sente costantemente una tensione emotiva e l'incombenza di qualche tragedia che spazzerà via di nuovo ogni equilibro ricreato dal personaggio del Colibrì, Marco Carrera appunto, interpretato da Pierfrancesco Favino. Naturalmente ognuno di noi leggendo un romanzo interpreta certi passaggi e certe storie a modo suo, nel suo intimo, nella sua immaginazione, quindi l'affermazione che seguirà è puramente personale. Non ho rivisto in questo adattamento i legami tra personaggi che ci avevo "letto" io, in particolare il rapporto tra Marco e Luisa. Nel libro sembra un amore travolgente, ma nel film lei sembra molto più distante e meno interessata. Ma tantissimi aspetti li ho trovati appena accennati e non gestiti con la dovuta intensità. Anche il personaggio di Marina non l'ho trovato così approfondito come era nel libro, dove il suo dramma interiore e la sua distruzione risultavano così sfaccettati. Inutile parlare poi di Miraijin, così fondamentale nel libro, così cruciale nella vita di Marco Carrera, che qua invece rimane solo superficialmente nel gioco dell'amaca e non riveste il ruolo salvifico a cui Veronesi l'aveva destinata, cosa in parte comprensibile perché in un adattamento sarebbe molto difficile da restituire. Di più, quel capitolo sembra uscire del tutto dall'atmosfera (e quasi dal genere) che fino a quel momento aveva contraddistinto il libro, assumendo una connotazione quasi fantascientifica: questa estraneazione in un film costruito sul dramma avrebbe forse stonato ancora di più. Mi ero anche domandata come avrebbero potuto rendere l'aspetto così particolare della ragazza, ma eliminando del tutto il significato di "uomo nuovo" che doveva avere, anche metterle una lente a contatto azzurra sarebbe stato a quel punto superfluo.

Anche la recitazione mi è sembrata molto costruita e non passionale: mi sembrava l'esecuzione di un esercizio di stile, ma non mi ha trasmesso niente. Questa potrebbe anche essere solo una mia sensazione derivante dal confronto diretto col romanzo, che mi aveva invece inondato di emozioni. Il cast è composto di grandi attori: Favino e Kasia Smutniak, che mi piacciono molto, Bérénice Bejo che mi era piaciuta in The artist, Nanni Moretti, che nella prima scena mi è sembrato il più rigido di tutti, ma poi si è sciolto un po' di più, Laura Morante, Sergio Albelli, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, che ha fatto uno dei suoi personaggi in tutto e per tutto. Nessuna delle loro interpretazioni mi è parsa brutta in senso assoluto, ma nessuna mi è arrivata dritta al cuore, nemmeno quella di Favino, che ritengo uno dei nostri più capaci attori.

Giudizio: ⭐⭐ ma se non avessi letto il libro (e così da poco tempo) il giudizio sarebbe stato lo stesso?

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