martedì 25 luglio 2023

Mission Impossible: prima parte della resa dei conti finale

 La saga di Mission Impossible, che ormai va avanti dal 1996, collezionando un successo dietro l'altro, cercando di eguagliare o superare gli episodi precedenti e senza mai commettere un passo falso, vuole arrivare a una conclusione della storia, come ci dice il titolo (Dead Reckoning) di questa dilogia al cardiopalma, diretta nel suo primo capitolo da Christopher McQuarrie, già regista di Mission Impossible: Rogue Nation e Mission Impossible: Fallout, da cui ormai sono passati cinque anni.


Le minacce nei film di Mission Impossible sono sempre piuttosto importanti, come virus mortali, bombe atomiche o giù di lì. Stavolta, però, il pericolo proviene da un'Entità virtuale, ossia un'Intelligenza Artificiale. Quasi precorrendo i tempi, poiché la sceneggiatura era stata scritta prima della pandemia, la quale ha ritardato le riprese del film, questo cattivo appare molto attuale e ben contestualizzato. Questa Intellighenzia fuori controllo è più potente di qualunque arma tecnologica del mondo, compresi i sottomarini invisibili, come vediamo in apertura, e tutti i governi del mondo vogliono poterla controllare. Solo Ethan Hunt intuisce che sarebbe un eccessivo potere nelle mani di chiunque e coinvolge la sua squadra in una nuova missione non autorizzata dal suo governo, ma sarà ostacolato nella ricerca della chiave che pare portare all'Entità da Eugene Kittridge (ve lo ricordate?), che è il nuovo capo della CIA e gli sguinzaglia dietro degli uomini per fermarlo, e dagli agenti dell'Entità stessa. Inoltre si imbatte in una ladra di nome Grace (Hayley Atwell), che complicherà ulteriormente la faccenda.

Il film si sviluppa in circa sei macro-sequenze e complessivamente dura poco più che due ore e quaranta minuti di film. Questo rappresenta al contempo un merito e un demerito: nel primo caso perché la storia non ha momenti di stanca, fila via a un ritmo serratissimo, pieno di scene d'azione e non mi è pesata la durata; nel secondo caso perché si vede benissimo che alcune scene sono state dilatate, in maniera magistrale ma superflua, perché il film arrivasse a tale lunghezza. Si vede benissimo nelle scene romane, che ho detestato di cuore e che per me rappresentano il punto di massima debolezza della pellicola, e in quella dell'Orient Express, a situazione ormai in conclusione. In sostanza non sarebbe un eccessivo numero di sequenze, ma alcune sono di durata ottimale, come quella del sommergibile, davvero ben scritta e ben diretta, e altre, invece, sono così lunghe da costituire dei filler per arrivare a un minutaggio stabilito a tavolino. Almeno il materiale è limitato, non come in Indiana Jones e il quadrante del destino, talmente tanto imbottito di luoghi, scene, eventi da far venire il mal di mare.

Ci ho trovato alcuni rimandi al primo film della saga e non è solo per il ritorno di Kittridge: abbiamo un déjà vu con la sequenza del treno, le atmosfere di Venezia, che mi hanno ricordato quelle di Praga, l'allusione ai punti di incontro, che non era più stata fatta, e alla possibilità di abortire una missione se qualcosa va storto.

Inoltre, fin dall'avvio, le tinte sono state abbastanza cupe: la classica scenetta dell'ingaggio, col corriere e il messaggio di incarico che si autodistrugge è scura e i dialoghi dei personaggi danno un volto nuovo e stanco al personaggio di Cruise. Capisco che stiano introducendo alla conclusione e che forse sarà triste o addirittura devastante, ma m'era presa male subito!

Il registro, oggettivamente, poi cambia e si torna alle atmosfere dello spy e dell'action, ma è disseminato di momenti molto difficili per i membri ormai canonici (rispettivamente da sette, cinque e tre film) della squadra, anche perché non sono più appoggiati dai loro governi. Non mancano attimi di tensione o parti di comicità (sempre la dannatissima sequenza romana dove anche quando i nemici sono ostacolati nella loro caccia all'Ethan, pure lui perde tempo in siparietti di dubbio spirito), ma, tendenzialmente, il taglio è più pessimista rispetto ad altre pellicole di questa saga.

Luther e Benji sono più lucidi e cercano di alleviare il peso che si porta dietro un provato e non più giovanissimo Ethan. Ilsa è sempre criptica e ci si domanda che senso abbia avuto ricevere le consegne che ha ricevuto nel precedente film (dire di più comporterebbe spoilerare sia questo film, sia Fallout, quindi guardate i film e poi ponetevi la mia stessa domanda). Grace è il nuovo personaggio, da introdurre, conoscere, capire: migliora nel corso della storia, ma all'inizio la sua inaffidabilità risulta un po' antipatica. 

In ogni caso le interpretazioni di Hayley Atwell, Pom Klementieff e Vanessa Kirby mi sono molto piaciute.

Ultimo problema di questo film, ci ho trovato almeno un buco di trama. Essendo talmente tanto fitta di inseguimenti, botte e colpi di scena, avrei bisogno di una seconda visione a carte scoperte per approfondire quest'aspetto, però salta all'occhio che gli inseguitori di Tom Cruise sono un po' troppo informati dei suoi spostamenti, anche quando non dovrebbero esserlo, e nessuno si prende la briga di spiegarci come abbiano fatto.

In conclusione...

Cosa mi è piaciuto: trama, recitazione, regia, montaggio, atmosfere veneziane, ottime scene d'azione, buonismo di Ethan Hunt, altissimo ritmo, mai momenti di stanca

Cosa non mi è piaciuto: un tantinello cupo, orribilmente non sense la sequenza ambientata a Roma, alcune scene e, in generale, il film di eccessiva lunghezza, buchi di trama

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ -

lunedì 3 luglio 2023

Fast X: cominciare le saghe dall'ultimo capitolo

 Cominciare le saghe dall'ultimo capitolo potrebbe rivelarsi una mossa vincente. Perché? Perché se l'ultimo capitolo non fa schifo, allora bisogna decidersi a vedere i primi capitoli, che, di norma, gli sono sempre superiori.

Non è vero, non seguite il mio modello, generatore di confusione. Però per Fast X di Louis Leterrrier devo ammettere che, ora che non mi è dispiaciuto per niente il decimo episodio, mi viene la voglia di vedere anche tutti gli altri e non solo per riempire i vuoti che la visione mi ha ovviamente generato, ma perché se l'ultimo è stato così carino, forse i primi sono una bomba.

Sono un'amante dei film d'azione, mi piacciono quando intrattengono; apprezzo le scazzottate (soprattutto alla Bud Spencer e Terence Hill -il mio genere cinematografico preferito è il western-) e gli incidenti spettacolari con automobili, motociclette, camion, quello che volete (infatti adoravo Squadra speciale Cobra 11).

Ma perché allora mi sono decisa così tardi ad approcciare questa saga di film? Facilissimo: non mi interessano i tamarri che fanno le corse in automobile ed era questa l'idea preconcetta che mi ero fatta del franchise. Non so se è cambiato il genere negli anni, ma Fast X mi ha restituito un'altra immagine: è una trashata, sia chiaro, esattamente come mi aspettavo, su larga scala in un piano internazionale di quelli assurdi e ridicoli in cui si rincorrono con le macchine facendo cose fighe con molte esplosioni, incidenti e qualche scazzottata (piccola in realtà). (Ma non è così anche Mission Impossible?) Potrei concludere la recensione qui, perché è il riassunto preciso del film.

Il trailer mi era piaciuto (avevo visto una macchina buttarsi giù da una diga), poteva essere sufficiente, ma l'elemento che ha pesato sulla bilancia per farmi vedere Fast X è stato Jason Mamoa e qui mentirò dicendo che è perché è un attore che ammiro e che desideravo vedere cimentarsi in un ruolo da cattivo schizzato (tra l'altro nella parte c'è stato tutto e mi sa che si è pure divertito a interpretarlo).


La trama, che sono riuscita a seguire, malgrado naturalmente non sapessi chi fossero i personaggi e come fossero arrivati dove li stavo vedendo, è grosso modo questa: il protagonista, Dominic Toretto, celebra la felicità di avere una bella famiglia allargata (tra moglie, figlio e amici), fino a quando non scopre che il figlio dell'antico nemico Hernan Reyes cerca di vendicarsi di lui. Dante Reyes, che si rivela essere potentissimo, riesce a isolare Dom dai suoi amici e dai suoi appoggi, l'Agenzia, ma soprattutto cerca di mettere in atto una vendetta incrociata.

Il resto sono solo inseguimenti ed esplosioni. Non ho individuato buchi di trama, non si sono complicati la vita, pur lasciando qualche piccolo colpo di scena. Ci sono diversi riferimenti ai film precedenti, alcuni dei quali sono stata in grado di contestualizzare abbastanza, altri meno. Dovrò fare un lungo ripasso prima di tornare a vedere il proseguo delle vicende (eh, sì, questo film si interrompe a metà, lasciando in sospeso più di qualcosa e non si esaurirà con una seconda parte, ma è previsto pure un dodicesimo film).

Ho trovato, però, molta retorica sulla famiglia  (famiglia, famiglia, famiglia, sì, questa tamarrata non sembrava avere fine), i propri valori, le proprie radici e su quanto assolutamente perfetto e inarrestabile sia Dominic Toretto. Questo accento un po' mi è pesato e un po' l'ho trovato di cattivo gusto, però ammetto che me l'aspettavo.

Mi aspettavo una trashata action ed è quel che ho avuto. Il film si è fermato al rispetto pieno delle mie aspettative, questo significa che non è il film più bello che abbia visto (né quest'anno, né mai), anche perché mi aspettavo davvero davvero poco, ma è un prodotto molto ben confezionato e che vola altissimo per quel che riguarda la spettacolarità.

Mi sono piaciuti fotografia, effetti speciali, esplosioni, sorprese ad alta quota ben oltre il limite del credibile (però sono impazzita per i giochi di prestigio del personaggio interpretato da John Cena, cioè Jackob, fratello di Dom e ho adorato il suo personaggio, anzi è senz'altro il mio preferito). Mi sono piaciute le uscite gradasse a parole e con armi un po' di tutti e, in particolare, dei camei Statham-Johnson. Le scene di scontro (con auto, cazzotti, armi o quel che volete) erano chiare, pulite e molto divertenti e sono state l'elemento più piacevole e meritevole del film, il motivo ultimo e vero per cui questo film dovrebbe essere visto. Se sono trite e ritrite ancora non lo so, devo fare una full immersion per scoprirlo.

Ho storto il naso invece sull'arco narrativo dei personaggi della squadra di Dominic, ovvero Ramsey, Tej, Roman e Han, che si sono prestati a vignette di colore e nient'altro, più tendenti al cringe che alla simpatia. Non mi è piaciuto particolarmente nemmeno il siparietto Charlize Theron-Michelle Rodriguez, che mi è sembrato un po' troppo vecchio cliché di voler vedere per forza la scazzottata tra pupe nel classico film per uomini, un po' come la necessità di mettere modelle sculettanti in minigonna quando devono far correre due macchine. Queste cose non appartengono ormai agli anni Duemila? Suvvia, evolviamoci, andiamo avanti.

In generale i personaggi sono abbastanza definiti dal loro ruolo e personalmente, non sono in grado di capire se hanno subito un'evoluzione di qualche tipo nel corso degli anni in cui si è svolta la saga. Toretto ha l'aria di essere nato direttamente così, mono-espressione, e lui e sua moglie sono simili: nemmeno per un secondo frignucolano o si autocommiserano, sono sempre molto tosti, molto più dell'umanamente possibile, considerando di essere separati dalla loro famiglia. Lo stesso vale per il personaggio di Brie Larson, che ormai interpreta solo donne con ovaie grosse così. Più "umani" e morbidi Jackob Toretto e il team intrattenimento, le cui dinamiche prevedono addirittura uno scontro con risoluzione, discussione sui propri sentimenti e conseguente miglioramento di sé (è un po' già visto, probabilmente hanno strappato le pagine a qualche copione che era già stato usato da qualcun altro, però almeno c'è stato un tentativo di movimentarli un po').

Concludendo, mi sono trovata davanti un buon film d'intrattenimento, che ha sfruttato bene il suo budget di 340 milioni di dollari (N.B. il film ne ha poi incassati 695) regalandoci scene action di grande impatto visivo e molto divertenti. ⭐⭐⭐ e 3/4

Il quadrante del destino: il ritorno del settantenne Indiana Jones sugli schermi

 Diciamolo subito, partendo dalla conclusione, così ci togliamo tutti il pensiero: non è un brutto film, ma la sceneggiatura è un colabrodo.


Il quinto film di Indiana Jones era in programma per Lucas già dal 2008, ovvero ai tempi de Il regno del teschio di cristallo, il contestatissimo (e rinnegato dai più) quarto film della saga, anche da me dimenticato e mai più rivisto. Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora e la Lucasfilm è stata acquisita dalla Disney, che però è stata impegnata a rovinare la saga di Star Wars nei primi sette anni e non aveva modo di mettere mano su quella di Indi. A produrre un quinto film Disney non ci ha pensato realmente prima del 2015. Una serie infinita di vicissitudini ha poi caratterizzato la genesi del film, fra cui l'abdicazione di Spielberg alla regia, che è passata a James Mangold, conosciuto per un buon numero di film di successo (Ragazze interrotte, Kate & Leopold, Quando l'amore brucia l'anima 💖, il remake di Quel treno per Yuma, i due film stand alone di Wolverine, Le Mans '66). Steven Spielberg e George Lucas sono invece diventati produttori esecutivi.

Quando finalmente i motori si sono messi in moto e la pellicola è uscita, tra il quarto al quinto film erano passati quindici anni e nella storia ne passano invece dodici. Nel 1969, nel giorno del ritorno dell'Apollo 11 dalla luna, un Indiana Jones che si sta separando da Marion Ravenwood sta anche per andare in pensione. Nel suo ultimo giorno da professore universitario succedono però due cose: va a trovarlo la figlia di un suo vecchio amico e collaboratore, Basil Shaw, che studia, come il padre, il quadrante del destino, l'orologio dai magici poteri di Archimede, e, al contempo, la CIA e degli scagnozzi nazisti che lavorano per un tale Professor Schidmt, si mettono a darle la caccia perché vogliono il meccanismo.

Il film inizia, però, con una scena ambientata nel passato, al termine della Seconda Guerra Mondiale, con un Harrison Ford ringiovanito di oltre trent'anni (in teoria ne sono passati solo 24, Ford ha dieci anni più del suo personaggio, anche se a volte ce lo fa dimenticare), che insieme al collega Basil sta cercando di impedire ai nazisti di impadronirsi di una serie di manufatti storici e artistici. In questo momento scoprono per la prima volta metà del quadrante, l'Antykytera, che diventerà l'oggetto principale delle ricerche, da parte di buoni e cattivi, nel film.

Il soggetto del film è buono e interessante e ha il sapore della ricerca proprio della saga di Indiana Jones. Anche alcune sequenze sono molto riuscite da questo punto di vista, in particolare la prima, quella svolta nel passato, anche perché la tecnologia ha permesso quello che l'età anagrafica di Ford non consente più: inseguimenti, corse, botte da orbi, peripezie. Mi è dispiaciuto che debba essere l'elemento nostalgia a piacere di più, ma mentirei se dicessi che non ho apprezzato e, per me, ha funzionato anche dal punto di vista tecnico del ringiovanimento. Anche l'inseguimento a Tangeri, per quanto inutile, mi è piaciuto molto e così la sequenza col cavallo e tutta la parte archeologica. In generale ho percepito le sensazioni che avevano dato i primi tre film della saga: c'era la colonna sonora di Williams, c'era il senso dello humor onnipresente di Indi e, in generale, il tono leggero e scanzonato, le scene slapstick, la violenza velata, i continui capovolgimenti delle situazioni, avere la peggio fino alla fine coi cattivi. Insomma, le scene in sé per sé mi sono piaciute e anche il gusto complessivo del film, i sentimenti che lo reggono e che lo inquadrano. Mi è piaciuto anche il finale, che sembra andare verso una direzione e un certo picco di pathos, ma poi lo risolvono in modo divertente e opposto, il che mi è sembrato un colpo di genio, anche se potrebbe sembrare piuttosto che gli sceneggiatori non sapessero come trarsi dagli impicci o che si fossero accorti dell'ora che si era fatta nel frattempo.

Perché lungo lo è stato certamente: non finiva più e non è sempre passato bene il tempo. Ci sono stati alcuni momenti un po' lunghi, un po' lenti, soprattutto all'inizio, e hanno messo sul fuoco decisamente troppa roba. Ci sono troppi personaggi, molti dei quali inutili (il tizio dell'aeroplano, anche se è splendido nella sua totale illogicità e e nel suo non avere perplessità riguardo quanto gli sta accadendo oppure il tizio con le stampelle, ma anche il buon Sallah, anche se questo è semplice fan service) o quasi (per esempio Banderas o la tizia della CIA, che si perde un certo tempo a introdurre per poi non farsene molto); ci sono troppe ambientazioni, troppe scene e molte di queste sono lunghe e di dubbia utilità, anche se capisco perché abbiano tenuto l'inseguimento di Tangeri, visto che è una delle cose più riuscite del film.

Il problema più grosso, però, sono i buchi mastodontici nella sceneggiatura. Alcune motivazioni dei personaggi per fare quello che fanno sono quanto mai dubbie: Indi a un certo punto sarebbe accusato di omicidio, ma non si capisce perché mai, cosa lo inchiodi, perché trovare il quadrante lo scagionerebbe, né soprattutto come diamine fa a prendere un aereo col suo passaporto se è ricercato per omicidio! Del resto è qualcosa di assolutamente inutile perché dopo se lo dimenticano e non se ne parla più. Perché i cattivi se lo portano appresso a un certo punto se non sanno nemmeno chi è. Come fanno a non sapere chi è!? 

Per non parlare degli errori di traduzione che hanno quasi fatto venire una sincope a mia sorella classicista, come definire un codice invece che un alfabeto la lineare B o far coincidere la biblioteca e il museo di Alessandria. Dobbiamo farcene una ragione: sono americani (anche se alla sceneggiatura ci sono pure due inglesi su quattro, ma avranno contato come il due a briscola). Non è una giustificazione, solo un dato di fatto.

Al termine del film ci sono quasi più dubbi che risposte per quanto riguarda l'Antykytera, anche perché si era fatta una certa e non c'era più tempo di chiarire il funzionamento dei varchi spazio-temporali e il loro collegamento con le scoperte precedenti di Shaw. Il finale sembra un po' "veloce", forse proprio per l'abbondanza di altro materiale prima. Non si conclude nemmeno lo scontro con l'antagonista, che è stato buono, ma non buonissimo. Forse Mads Mikkelsen è stato scelto più per il physique du rôle che per le sue doti di performer, perché è stato credibile, ma non mi sembra si sia sforzato troppo.

Eppure, dal trailer, dal soggetto, dallo scopo del film quel momento probabilmente sarebbe dovuto essere la parte principale del film, ma pure io ci sono arrivata stanca, quindi mi immagino gli sceneggiatori, stremati poverini, che han tirato via per forza di cose.

Devo inoltre trattare un'altra spinosa faccenda: la spalla femminile, Helena Shaw, interpretata da Phoebe Waller-Bridge, che dalla regia mi dicono sia notissima per Fleabag, che non conosco perché non seguo molte serie tv. Ho trovato il personaggio assolutamente odioso e per tutto il tempo a Tangeri ho sperato finisse molto male. Ho precedentemente affermato che apprezzo i personaggi femminili forti che non si curano di essere sociopatici o antipatici, come Captain Marvel, ma qua si tratta di un'antipatia completamente diversa: qualunque personaggio, maschile o femminile, così presuntuoso e approfittatore risulterebbe solo detestabile. E non è che il personaggio di Teddy sia proprio adorabile: la sua scena culmine era telefonatissima, da quando Indi entra nell'Hotel L'Atlantique; gli riescono un po' troppo bene al volo le cose, anche se non le ha mai fatte. L'unica scena che gli lasciano per caratterizzarlo un minimo è una di quelle parti del tutto inutili per la storia, pur non riuscendo a conferirgli questo grande spessore. lo stesso. La sua caratteristica principe è "sono un sacco in gamba". Fine.

Concludendo...

Cosa mi è piaciuto: vibes alla Indiana Jones, scene d'azione molto belle, colonna sonora di John Williams,  finale geniale e un po' dolcino

Cosa non mi è piaciuto: sceneggiatura colabrodo, Helena, finale tirato di furia, troppo materiale, personaggi inutili a bizzeffe, costumi

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ -

domenica 2 luglio 2023

Elemental: un recupero della Pixar buono, ma non buonissimo

 Il 27° film di Pixar Animation Studios, Elemental, diretto da Peter Sohn (regista de Il viaggio di Arlo), ha esordito malissimo al botteghino, con un incasso di meno di 30 milioni di dollari, pur recuperando un po', arrivando, a due settimane esatte dall'uscita, a 131 milioni, ma è un film che mi è piaciuto molto e assolutamente non da buttare.


È la storia di due opposti che si attraggono: a Elemental City vivono in armonia persone appartenenti agli elementi dell'acqua, della terra e dell'aria. I "Fuocherelli", invece, hanno più problemi a integrarsi in città e vivono nel loro quartiere (l'idea è quella del ghetto, ma rappresentato in modo molto più allegro). Non sono davvero discriminati, perché ormai è una cosa di cui "fa brutto" parlare apertamente, tuttavia non si amalgamano bene con gli altri elementi, che li guardano un po' male, perché l'aria e l'acqua potrebbero spegnere il fuoco e questo potrebbe bruciare gli elementi di terra-erba o far evaporare l'acqua.

In questo quadro si situa Ember, figlia di due immigrati che hanno aperto una "fuocheria", che vende cibo e articoli ad hoc per i Fuocherelli. Fin da bambina Ember sogna di prendere un giorno il posto del padre nella gestione del negozio di famiglia, che ritiene essere "tutta la vita" del padre. Per tutta la prima metà del film fa a gara con lui a chi è più bravo nelle consegne e nella preparazione delle specialità e non vede l'ora che l'uomo passi il testimone, salvo poi virare abbastanza bruscamente obiettivi nella seconda metà. Durante una delle sostituzioni in negozio, si rompono dei tubi nelle cantine e, prima che Ember riesca a riparare la perdita, dalle tubature esce Wade, un ispettore comunale "Acquatico". Il rapporto tra i due è inizialmente teso, poiché Wade multa il negozio dei genitori di Ember e la ragazza cerca di impedirglielo. Scopriranno insieme successivamente qual è la falla che determina il problema degli allagamenti nella fuocheria e nel quartiere dei Fuocherelli e anche l'attrazione per l'elemento opposto.

I temi del film riconducono chiaramente a tematiche politiche, anche se mascherate da elementi naturali: una sorta di Aparthaid edulcorata, l'incompatibilità tra elementi diversi (che possono simboleggiare le etnie) e l'inaccettabilità delle unioni tra appartenenti a esponenti di diverse etnie/elementi. Cosa potrà mai succedere se ci tocchiamo? È sbagliato? Ci accetteranno? Inoltre rispetto agli attribuiti canonici del gender, nella caratterizzazione della coppia protagonista si è scelto di operare all'opposto: è Ember che è peperina, è allo stesso tempo mente e braccio, si arrabbia facilmente, ha un carattere forte, mentre Wade è sensibile e sempre prossimo alla commozione e al supporto emotivo. Per questo aspetto devo dire Alleluja, anche se scivolare nello "stabilito d'ordinanza" ormai in casa Disney è questione di un istante.

A questo si aggiunge, secondo me un po' forzato, il concetto di voler seguire i propri desideri, anziché quelli proiettati dai propri genitori per il futuro dei figli. Poiché, come accennato, per metà film sembra che si vada in una direzione diversa, l'ho percepito quasi come un elemento aggiunto in corsa nella sceneggiatura, un rimaneggiamento in buona sostanza. Inoltre c'è almeno un buco di trama grosso come una montagna: Ember a un certo punto si reca ad Elemental City, scende dal motorino apparentemente in un punto casuale e, per l'appunto, esce da un palazzo Wade, che la invita ad aspettare con lui una telefonata, mentre lei chiede "oh, ma vivi qui?". Dovrei credere che è stata una super casualità che lei senza saperlo si sia fermata sotto casa sua e lui sia uscito proprio nel mentre? No, credo che gli sceneggiatori non si siano applicati abbastanza.

Pur essendo, quelli che ho elencato, tutti nobili temi da affrontare, si torna al problema che i film Disney e Pixar stanno affrontando in questi ultimi anni, ovvero mettere nelle loro storie troppo cervello e poco cuore. In questo particolare caso di cuore ce ne ho visto tanto, a essere onesta, ma è comunque un film taaaaanto psicologico, tanto cervellotico: cosa provi tu, cosa provo io, perché lo provo, cosa voglio realmente, cosa penseranno i miei genitori, ho troppo peso sulle spalle e così via. Non andrebbero male singolarmente, ma diventa un pochino troppo nel suo insieme, anche perché porta via tantiiiiissimo tempo ad altro. Per esempio, Elemental City è bellissima! È disegnata da favola, i creatori Pixar hanno fatto un lavoro altissimo e raffinato, ma non ho abbastanza tempo per vedere tutte le cose meravigliose della città e dei loro abitanti (soprattutto quelli di terra che non esistono quasi, essendo meno utili alle dinamiche del film), perché mi psicanalizzano i personaggi in continuazione. Disney-Pixar continua a dimenticare che si va al cinema per emozionarsi, soprattutto se non è un film drammatico, ma è un film d'animazione che ha per target anche dei bambini e degli adulti sognatori.

Ultimissima cosa e la smetto con le critiche, che poi si fermano solo a cercare qual è il motivo per cui il film forse non è stato attenzionato, almeno all'apertura, anche perché da adulta razionale ho riconosciuto anch'io l'universalità dei temi affrontati, anche se troppi per un solo film da cento minuti: la pubblicità. Non mi sembra che questo film ne abbia avuta così tanta, esattamente come non ne aveva avuta Un mondo misterioso, anzi, poverino, lui pure meno. Sapevo del suo arrivo perché seguo canali dedicati al cinema, ma altrimenti me ne sarei accorta? È uscito poco dopo, anzi diciamo pure troppo a ridosso de La Sirenetta, che mi sono ben guardata dall'andare a vedere. Devo dedurre che la casa madre punta più sui live action? Punta più al pubblico degli adulti, relegando l'animazione a un pubblico di bambini che dunque non meritano nessuna attenzione? Non sarebbe vero nemmeno questo, perché non potete farmi credere che Elemental sia una storia per bambini. Il target è più quello degli psicologi clinici. Come non mi farete mai credere che ci fosse bisogno di inserire un consenso verbale da parte di Ariel a ricevere un bacio di Eric, considerato il fatto che anche un treenne sapeva che la sirena si era fatta togliere la coda e mandare sulla terra al solo scopo di farsi baciare entro tre giorni, pena la morte.

Bando alle ciance. Adesso arriva la parte che mi è piaciuta: io ho trovate sviluppate molto bene le relazioni tra i personaggi, con passione genuina e grande attenzione ai sentimenti. È un film che mi ha commosso più di una volta. La relazione tra Ember e Wade è molto bella, anche se costruita col solito cliché di tutti i film romance americani per cui la coppia a tre quarti della storia deve litigare per forza per un qualunque motivo, anche se prima non sembravano essercene. Alcune scene sono veramente molto toccanti. Stesso identico discorso del cliché a mezza corsa anche nel rapporto padre-figlia, ma anche in questo caso è un rapporto bellissimo e che emoziona fortissimamente nella parte finale. Il tutto ammantato di colori e luci assolutamente splendidi, che riempiono gli occhi, insieme ai disegni che ho già elogiato. Quindi, in conclusione...

Cosa mi è piaciuto: il cuore. 💓💙 Ho riso e pianto con gusto. Disegni meravigliosi, animazioni fluide. Storie toccanti.

Cosa non mi è piaciuto: il cervello. 🧠 Basta psicanalisi o comunque diminuiamola nei film d'animazione. Più avventura, più città e mondi bellissimi, approfondimento di un numero maggiore dei personaggi a discapito delle elucubrazioni junghiane dei protagonisti.

Giudizio: non vedo l'ora di rivederlo ⭐⭐⭐⭐ 1/2