mercoledì 28 dicembre 2022

Un sequel superiore all'originale: il nuovo Gatto con gli stivali

 Appena terminata la visione de Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio di Joel Crawford, sono piuttosto entusiasta. I ricordi del primo spin-off di Shrek sono lontani, ma rammento distintamente di aver storto il naso all'epoca, quando lo vidi in sala. Il paragone è quindi presto fatto, ma sfrutterò i prossimi giorni di feste per rivedere anche il primo.

Oltre al Gatto (in italiano non più, ahimè, doppiato da Banderas, mentre in originale sì e a me è sembrato di aver visto anche una Rosita - ahimé solo per una questione affettiva, perché il nuovo doppiatore gli somiglia nella voce, oltre a essere bravo). torna in questo sequel Kitti Zampe di Velluto. Entrambi, insieme ai nuovi personaggi Big Jack Horner, Riccioli d'Oro coi tre orsi della fiaba e a un cagnolino bisognoso di amicizia che si incolla ai due felini, sono alla ricerca della Stella del desiderio. Al Gatto con gli stivali serve esprimere quell'unico desiderio per recuperare le sue nove vite: ha infatti perso l'ottava e gliene è rimasta dunque solo una, quando un cacciatore di taglie dall'aria sinistra si è messo sulle sue tracce, spaventandolo per la prima volta nella sue vite, inducendolo a nascondersi e ad abbandonare la sua vita da Leggenda che ride in faccia alla morte. 


Questo Lupo-cacciatore è una delle cose migliori del film: la sua introduzione spaventosa, l'aspetto, gli occhi, il fischiettare, le sue apparizioni a sorpresa sono state magistrali. 

Ho trovato un taglio molto maturo nell'esposizione delle vicende e dei sentimenti dei personaggi, specialmente nei sentimenti della famiglia di orsi e nel vissuto del Gatto, che si trova faccia a faccia con la paura, affrontando anche un aspetto psicologico in un modo interessante e presentabile con facilità a un pubblico di bambini. Invece, onestamente, non sono entusiasta di Perrito, anche se apprezzo la sua visione del mondo ottimista e la sua scena con Gatto spaventato, forse la più bella del film insieme a quella di Mamma Orsa con Riccioli. Mi son quasi commossa in questi momenti.

La trama mi è piaciuta, semplice, ma funzionale e non del tutto lineare, nel suo classico itinerario di avventure e ostacoli da affrontare per arrivare alla mèta. Ho apprezzato il finale, che dà anche il là a uno Shrek 5, e le morali e sotto-morali fornite dai vari personaggi con le loro sotto-trame.

L'umorismo è stato ben bilanciato e i dialoghi in generale sono piacevoli e non beceri.

Ma la cosa che mi è piaciuta di più è l'animazione, completamente diversa da quella classica usata finora dalla Dreamworks, perché alterna alle sequenze 3D scene d'azione in 2D, dando un effetto fumettistico. Le scene d'azione in genere, ma soprattutto la sequenza iniziale mi è piaciuta da impazzire (un'intro proprio perfetta).

Cosa mi è piaciuto: animazione, Lupo, trama, personaggi

Cosa non mi è piaciuto: Perrito

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐

Un mondo misterioso: la Disney ha bisogno di tornare alle avventure

 Dal trailer, il 61° classico Disney a me sembrava brutto.

Mi parevano brutti i disegni, i soliti brutti nasi a patata, le facce gommose e le forme o troppo tonde o troppo squadrate, ma irrealistiche (ma solo io ho nostalgia dei disegni bellissimi de Il Re Leone o de La Bella e la Bestia con le forme realistiche, i movimenti fluidi e sinuosi?). La primissima cosa che avevo pensato, per onestà, era che il personaggio protagonista era proprio identico nell'aspetto al personaggio di Mo (nome che ho dovuto ricercare perché non lo ricordavo nemmeno mentre stavo guardando il film) in LightyearE non avevo capito niente della storia, tranne che sarebbe stata ambientata in un mondo da esplorare molto originale, ma non aveva nulla di attrattivo.

Qualcosa deve essere fallito per forza nel marketing, perché all'indomani del week end di uscita si parlava di guadagni molto bassi al botteghino. Io ero comunque curiosa di vederlo, oltre al fatto che lo davano in uno dei cinema del mio paese, ma quante persone, oltre a me, andrebbero a vedere un film che dal trailer non ispira molto? Considerando che, esattamente un mese dopo l'uscita, il 23 dicembre, lo possono vedere comodamente a casa, se mai ne avranno sentito parlare bene.

Ed è proprio un peccato, perché il film era pure carino. A me, per esempio, è piaciuto più di Encanto, che, secondo me, è tranquillamente il più brutto di sempre della Disney.

La cosa che mi è piaciuta di più è senz'altro l'introduzione dei due personaggi di padre e figlio all'inizio del film: l'esploratore fortissimo e coraggioso, Jaeger Clade, e suo figlio, più interessato alla botanica (e dopo all'agricoltura) Searcher. In una spedizione per cercare un futuro per Avalonia, la terra da cui provengono, minacciata non ho capito da cosa, i due hanno un confronto sui loro differenti approcci al modo di risolvere il problema: Jaeger, come un instancabile Ulisse (la moglie si chiama -guarda caso- Penelope) crede che il futuro sia oltre la montagna, mentre Searcher vuole studiare le proprietà di una pianta appena scoperta, fosforescente e produttrice di energia. Padre e figlio si dividono: Jaeger continua, deciso a oltrepassare la montagna, Searcher resta col resto dell'equipaggio, tra cui Callisto. Venticinque anni dopo, la pianta misteriosa, ribattezzata Pando, è diventata la fonte di energia che manda avanti l'intera Avalonia e viene coltivata in molte piantagioni, tra cui quella di Searcher, ormai agricoltore felice, che ha sposato Meridian, da cui ha avuto Ethan. La famiglia vive felice col cane Legend, quando Callisto, divenuta sindaco di Avalonia, giunge un giorno a informarli che il Pando, collegato attraverso le radici in un essere solo (oddio, sembra un Mindflyer), sta morendo in tutto il paese. Callisto chiede l'aiuto di Searcher, che era un valido esploratore, per cercare e risolvere il problema del Pando, seguendo a ritroso il percorso delle radici. Col classico espediente del "mi nascondo a bordo" anche Ethan si unisce alla spedizione, seguito a ruota dalla madre che lo stava cercando e che assume il ruolo di pilota della missione. Le radici conducono a un mondo sotterraneo popolato da misteriose creature gommose e carine.


La trama, e in particolare il risvolto che prenderà la vicenda, mi è piaciuta e ha un bel messaggio ecologista. Le creature del mondo misterioso sono molto molto carine, gommose, colorate e simpatiche (ottimi gadget per bimbi). I disegni degli umani sono davvero brutti però. Di contro, l'animazione è avanzatissima, tanto da rendere l'espressività dei personaggi straordinaria, sembrano volti veri quando si emozionano.

Riguardo i personaggi dobbiamo parlare di un problema che ha attualmente la Disney un po' in tutti i prodotti (vedi la seconda stagione di Only murders in the building col personaggio di Mabel). Non è un problema grave, anzi, direi che stiamo molto migliorando, ma la Disney è passata da un quasi rifiuto, o perlomeno una totale indifferenza, ai temi dell'inclusione delle etnie, degli orientamenti sessuali e di tutte le possibili diversità alla necessità di dimostrare che non è né insensibile, né contraria. E, anche se è una cosa positiva e attesa da tempo, affronta la questione in modo goffo. Quello che si percepisce è un'ostentazione della bravura della casa di produzione. Non riesce a rappresentare queste tematiche in modo naturale, come se semplicemente facessero parte della nostra società e ci fossimo tutti abituati, che sarebbe appunto il modo di far abituare tutti. Insomma, non è spontaneità, è un dovere da assolvere! Prima o poi ci arriveranno, senza dover dimostrare che possono e vogliono rappresentare ciascuna di queste realtà. Al momento, invece, l'urgenza di sfoggiare la propria inclusività spinge gli sceneggiatori a concentrare in una manciata di personaggi tutte le caratteristiche che Disney doveva dimostrare di accettare: il matrimonio misto, donne non bianche in ruoli di potere, anche militari (wow!), il cucciolo con una menomazione, il figlio omosessuale che è accettato senza conflitto sia dai genitori, sia dal nonno (che per venticinque anni è stato lontano dalla società, ma evidentemente era una società già inclusiva da sempre, non come la nostra). E tutti i personaggi dicono costantemente la cosa giusta. Mi fa impazzire che litigano in modo così garbato! Sarebbe una cosa fantastica non avere problemi di dialogo, essere maestri della comunicazione consapevole di cui parla Marshall Rosenberg, ma a parte l'essere assolutamente inverosimile, non è funzionale alla trama e alla morale di una storia. E infatti un briciolo di conflitto sono costretti a inserirlo per forza, controvoglia. Come fai a far riflettere sul conflitto generazionale, sull'errore che si ripete di volere che i figli seguano la strada dei padri, se non li metti in contrasto, se si capiscono alla perfezione? Come fai a ottenere un ostacolo alla riuscita dell'impresa se non inserisci un malinteso o una differenza di vedute tra personaggi, che, anche quando sono in disaccordo, si parlano sempre con squisito garbo? Non c'è nemmeno un cattivo! Ma cosa sono le fiabe Disney senza un cattivo degno? Molti classici sono stati resi memorabili dai cattivi: Crudelia Demon (oddio, che scempio hanno fatto nel live action), Ursola, Scar, Malefica, il Principe Giovanni, Capitan Uncino, Gaston, Ade...ci hanno fatto anche un gioco da tavolo! Di più, le imperfezioni dei cattivi, la nevrosi di Paperino, gli scatti di Ade, i fallimenti del lupacchiotto spelacchiato de La spada nella roccia sono tratti che, oltre a essere simpatici, ci permettono di riconoscerci, di immedesimarci. Noi non siamo i tizi perfetti che la società vorremmo che fossimo senza veramente permetterci di esserlo (equilibrati e in meditazione ma in una corsa costante ai compiti da fare entro fine giornata). Non possiamo riconoscerci in questi personaggi finti, che non evolvono e quindi a noi non danno margine di miglioramento perché sono già perfetti. Non c'è sugo, non c'è avventura.

 Così non è progressismo, è una political correctness che fa più male che bene, a mio giudizio, e non solo perché scatena le polemiche dei conservatori, ma perché toglie il focus dalla storia. Un film d'animazione deve essere avventuroso, contenere personaggi affascinanti che non rivestano un semplice ruolo di rappresentanza. Tranne nella scena iniziale, il film non contiene nemmeno canzoni. Ma da cosa dovrebbero essere attratti i bambini? Persino il titolo non ha senso, non è accattivante, continuo a dimenticarlo, è aspecifico, brutto. Questo non è un film pensato per intrattenere, questo è un manifesto.

La mia critica non è dunque quella di contenere troppi riferimenti all'inclusione (obiettivamente sono tanti per un film solo), ma di non averli saputi gestire, renderli sensati per lo svolgimento della storia, inglobati in essa oppure al contrario il centro della vicenda, e soprattutto aver perso di vista lo scopo per cui nasce un film d'animazione: divertire, intrattenere, stupire, tenere i bambini (me compresa) incollati allo schermo a bocca aperta.

Cosa mi è piaciuto: trama, animazione, nuove bestiole coloratissime

Cosa non mi è piaciuto: inclusività non spontanea, ma politically corret fine a sé stessa, nasi a patata ovunque, assenza del cattivo

Giudizio: ⭐⭐⭐

lunedì 19 dicembre 2022

Un black thriller molto fresco: The menù

L'ultimo film che ho visto in sala mi è piaciuto. Temevo di bissare Bones and all, quando ho letto che il genere era horror, ma adesso comincio a sospettare che applichino le etichette a caso, perché, se appartiene a un genere, The menù di Mark Mylod è un thriller: tiene lo spettatore in tensione dall'inizio alla fine.


Il film presenta in primo luogo situazione e personaggi, inserendo fin da subito elementi di mistero, che si scopriranno nel corso della vicenda. Margot (Anya Taylor-Joy) sta aspettando con Tyler (Nicholas Hoult) il traghetto che li porterà sull'isola in cui è situato l'esclusivo ristorante dello chef di cucina molecolare Julian Slowik (un Ralph Fiennes che si è calato molto nel personaggio). Una serata di degustazione di un concept menù arriva a costare 1200 euro a persona e pochi possono permetterselo: la critica di una rivista e il suo redattore, un attore e la sua manager, un gruppo di loschi uomini d'affari, una coppia di habituées del ristorante. L'atmosfera del luogo è fin da subito claustrofobica e inquietante e sappiamo che i clienti sono abbandonati sull'isola. Regia e montaggio insistono subito su questo particolare: la barca che li ha condotti fin lì non resta ad aspettarli, ma torna verso la terraferma. Margot si accorge di questo ed è l'unica che subito trova strani i comportamenti dello chef e la messinscena delle varie portate, mentre gli altri clienti impiegano del tempo a capire che lo show di quella sera ha qualcosa di sinistro.

Ho trovato il film originale e ben costruito. È un film asciutto, in cui ogni scena svolge un ruolo preciso: o presenta gli eventi o serve a creare tensione. Ogni inquadratura che indugia su un personaggio, nel contesto della scena, ne mostra i pensieri. Ho apprezzato tantissimo la regia per tutto questo. Ho apprezzato molto anche la durata di un'ora e quarantasette minuti.

Il film stempera (ma in certi momenti accentua) la tensione con i toni della satira, del grottesco, del surreale, in un black humor che mi è piaciuto notevolmente. I personaggi sono costruiti proprio su questo aspetto (ho trovato Tyler il più agghiacciante dei personaggi). Il finale è stato anch'esso brillante e mi è sembrato in linea sia con la dinamica della storia, sia con il personaggio di Margot. Ho trovato il personaggio ben scritto e riuscito, anche grazie all'interpretazione di Anya Taylor-Joy, che ha sfoggiato un'altra bella prova di bravura dopo Amsterdam. Anche Fiennes, Hoult e l'attrice vietnamita Hong Chau sono stati notevoli.

Cosa mi è piaciuto: regia, trama, black humor e situazioni paradossali, finale, Anya Taylor-Joy

Giudizio: Sinceramente uno dei migliori film che ho visto quest'anno in sala ⭐⭐⭐⭐⭐