venerdì 8 marzo 2024

Waiting Academy Awards: un film spiazzante, La zona d'interesse

 Il film dell'inglese Jonathan Glazer, La zona d'interesse, Grand Prix Speciale della Giuria al festival di Cannes, è stato candidato ai premi Oscar di quest'anno non solo nella categoria dei film internazionali (rappresentando il Regno Unito -paese di produzione, insieme alla Polonia-, nonostante sia girato in tedesco), ma anche come miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura non originale e miglior sonoro (per un totale di 5 nomination).


Diciamo subito che il sonoro del film è una delle cose più particolari, rappresentando addirittura un elemento narrativo, disturbante, come nelle scene "buie", una delle quali, molto lunga, apre il film, nelle quali non si vede praticamente niente, se non un indistinto nero-rosso, e durante le quali, invece, si sente un rumore indefinito piuttosto forte, che potrebbe essere un vocio oppure qualcos'altro. L'interpretazione potrebbe essere da ricercarsi nel contesto, ma lo spettatore è libero di farsi la propria idea, considerando come sono state concepite. Di certo, l'impatto all'inizio è spiazzante, anche perché dura così a lungo che è inevitabile domandarsi se ci sia un problema tecnico, tanto più che l'ho visto al cinemino del mio paese, una piccola sala-teatro che poteva presentare degli inconvenienti.

La storia stessa, adattata dallo stesso regista dall'omonimo romanzo di Martin Amis, turba moltissimo. Siamo di fronte all'agghiacciante indifferenza e, non troppo velata, crudeltà di una delle famiglie che abitano di fianco, letteralmente al di là dello spinato, al campo di concentramento di Auschwitz. Il comandante Rudolf Höß è stato davvero il costruttore e il primo direttore del campo, chiamato poi ad altri compiti, come istruire altri nello stesso lavoro (rendiamoci conto di cosa significa). Vivere, però, in quella zona di interesse, così definita, rappresentava per lui e la moglie una condizione così favorevole, che la moglie, Hedwig, non seguì il marito quando i suoi incarichi lo allontanarono dal campo. Nel film Hedwig Höß dichiara che fa una bellissima vita in campagna e che spostare i suoi figli da lì è un dispetto: di certo godeva dei privilegi di poter prendere i beni confiscati ai prigionieri del lager.

Hedwig Hösse è interpretata da Sandra Hüller, che alla grande notte dell'Academy sarà presente non solo per questa pellicola, dove è stata magnificamente algida e cattiva, ma anche per Anatomia di una caduta, dove, con tutto un altro personaggio, è candidata per la sua performance da protagonista.

Risulta difficile non citare il titolo dell'opera di Hannah Arendt, La banalità del male: azioni mostruose commesse da persone normalissime, solo che, come vediamo nel film, discutevano dell'ampliamento dei forni crematori come se si trattasse della velocizzazione tecnologica di un processo industriale. Di fatto era proprio questo: rendere la distruzione di migliaia di vite efficiente come una fabbrica. Impossibile pensare a qualcosa di più aberrante, perché gli individui che hanno commesso tutto questo nella più cieca indifferenza erano identici a me o voi. Erano noi.

Ecco perché il punto di vista del film è così originale: non vediamo le atrocità commesse, ma solo chi le commetteva, nella comune, banale monotonia della loro vita: è come guardarsi allo specchio e vedere l'abisso, senza nemmeno fare lo sforzo di affacciarcisi sopra.

Il film, però, forse proprio per restituire la normalissima condizione di una qualunque famiglia, è indicibilmente lento. Malgrado la durata di solo un'ora e quaranta, mi è sembrato claustrofobico, probabilmente anche in virtù della raffigurazione così diretta di tanta indifferenza e cristallizzazione in una normalità delle barbarie che quella famiglia stava commettendo.

Riguardo la regia, ho trovato curiosa, forse significativa, l'introduzione ai personaggi fatta "da lontano". Nelle primissime scene gli attori sono sempre in secondo piano e, in generale, i primi piani sono rari, come se la macchina da presa si distaccasse volutamente da questa rappresentazione. Ho successivamente scoperto che il regista si è avvalso di molte camere nascoste, ma non so se quelle riprese iniziali sono state realizzate così. Molto particolare anche la scelta di spezzare la linea narrativa, mentre inquadrano Höß, in una sorta di flash-forward, che mostra il museo del campo di Auschwitz nel futuro.

In questo flash-forward si affiancano due normalità banali come quella degli Hösse e quella della manutenzione di un museo; eppure, per quanto possa spiegarmi alcune cose, dargli un significato, e per quanto riconosca che un simile punto di vista sia necessario e significativo, non posso non trovare il ritmo davvero un grosso problema, un punto sfavorevole.

Di certo si è trattato di un film molto ostico, per le tematiche ad alto impatto e per il suo ritmo, veramente molto difficile da affrontare. Riconosco la sua importanza, capisco il suo linguaggio, ma non mi è piaciuto.

Giudizio: ⭐⭐

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