martedì 6 febbraio 2024

Waiting Academy Awards: Maestro di Bradley Cooper

 Bradley Cooper torna una seconda volta alla regia nel lungometraggio Netflix Maestro, dopo A star is born. Il film è candidato a sette premi Oscar, tra cui miglior film, sceneggiatura originale e sonoro.


Si tratta della storia del maestro d'orchestra e compositore Leonard Bernstein (interpretato sempre da Cooper), dagli esordi giovanili all'età matura, passando per il suo matrimonio con l'attrice Felicia Montealegre (Carey Mulligan), la crisi di questo per le relazioni extraconiugali omosessuali e, infine, il lutto per la morte della moglie, che si ammala di cancro.

Questo film, che dura la bellezza di due ore e dieci minuti, non mi è piaciuto granché e mi ha annoiato tantissimo nella sua parte centrale (ancora una volta fatta di eccessi, alcol, sesso, etc, tutte cose di cui sono stufa).

La parte iniziale l'avevo gradita e mi sono divertita molto nella scena-musical che descrive l'indole di Bernstein nella composizione (di musiche per teatro, ma anche per Fronte del porto o West Side Story), malgrado fosse spinto verso la direzione: credo sia la parte che ho preferito anche per la tematica. Il maestro sentiva di non poter scegliere tra le molte anime che possedeva e provò a portare avanti tutti i suoi impegni e le sue inclinazioni per tutta la vita. È stata bella anche l'introduzione nelle vicende in medias res, con la chiamata all'ultimo per sostituire un collega, evento che lo farà scoprire proprio come direttore d'orchestra, e quell'ingresso nella sala concerti. Questa capacità di concentrare gli eventi scopare dopo questa prima parte e cambia totalmente il ritmo.

Il personaggio di Bernstein è anche scritto bene, è rappresentato in tutte le sfaccettature positive e negative, rendendolo dunque sì grigio, ma anche reale, tanto che, per oltre la metà del tempo, lo si odia un sacco, egoista e incurante dei sentimenti altrui, per quanto sotto pressione. Anche nella somiglianza (che dalla cancel colture in poi è considerata offensiva) i truccatori (altra nomination) hanno fatto un incredibile lavoro.

L'acme del film è la sequenza lunghissima in cui dirige la London Symphony Orchestra per sei minuti, performance a cui pare abbia dedicato sei anni di preparazione. Per quanto bella e per quanto Cooper abbia recitato benissimo (è poi arrivata la nomination a Golden Globe e Oscar, come del resto per Mulligan), io non sono stata così felice della sua durata.

Anche la terza parte del film mi è piaciuta abbastanza, affrontando la malattia di Felicia Montealegre, concedendo una grade opportunità (colta) a Mulligan e facendomi piangere come una vite tagliata per tutta la sua durata (argomento trigger). Le due performance attoriali mi sono piaciute, ma non al punto di considerarle favorite nella vittoria a marzo o di parteggiare per loro.

La lunghezza, però, complessiva e il tedio intermedio, fatto inizialmente di dialoghi pacati, che poi esplodono in vere liti (anche perché essere trattate così, proprio no!), non le ho proprio rette.

A essere sincera, la cosa che ho preferito di questo film è la sua fotografia, soprattutto nel bianco e nero, sempre curata nelle inquadrature e pulita. Anche Matthew Libatique si è preso la sua nomination, che è la terza, dopo Il cigno nero e (proprio) A star is born.

Giudizio: ⭐⭐⭐

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