Il quasi ottantenne Wim Wenders, del cui cinema mi professo ignorante, con grande senso di colpa e dispiacere, torna alla regia di un film di produzione nipponica, scritto dallo stesso regista e da Takuma Takasaki: Perfect days.
Si tratta di un film dalla scrittura semplice, con un meccanismo di narrazione e una ricerca di significato che, sospetto, prenda ispirazione da concetti quali la mindfulness e, forse, le correnti buddiste zen.
"Un'altra volta è un'altra volta. Adesso è adesso."
Hirayama (Kōji Yakusho) tutti i giorni si sveglia al suono dell'uomo che in strada spazza le foglie, piega il suo fouton, indossa la tuta da lavoro, si prende cura delle sue piantine, si lava i denti, si fa la barba, esce di casa, prende un caffè in lattina dal distributore proprio davanti a casa, sceglie l'audiocassetta con cui accompagnerà il viaggio in auto e si reca a lavoro. Fa le pulizie per la Tokyo Public Toilet e prende il suo lavoro in modo professionale, aderendo ai principi (per noi tanto distanti) per cui qualunque cosa fai la devi fare al tuo meglio e come se fosse una missione (un ikigai), in cui migliorare ogni giorno, cercando di spingersi sempre un passettino oltre il tuo massimo. Ecco, Hirayama ci mette del suo: si crea degli strumenti da solo per fare le cose al meglio e compie il suo dovere come una vocazione, perfino quando viene lasciato solo a coprire i turni. A differenza del collega della generazione più giovane, che gli domanda perché metterci tanto impegno, se saranno sporcati nuovamente di lì a poco, non trascura i dettagli, non cerca di sbrigarsi, tirando un po' via, per rispetto prima verso sé stesso, che verso il pubblico.
All'ora di pranzo, l'uomo si siede vicino a un tempio, una bella zona verde a Tokyo, dove mangia il suo tramezzino. Hirayama torna poi a casa, inforca la sua bicicletta e va a lavarsi ai bagni pubblica, a fare qualche giro, a cena e poi prima di dormire, legge un po' del suo libro. Non usa il cellulare, se non per comunicare, è estraneo al mondo di internet. Le sue giornate riprendono quasi invariate, in un ciclo sereno e tranquillo, anche se, ovviamente, non è esattamente così. La domenica porta a sviluppare un rotolino di pellicola, seleziona le foto che gli sono riuscite bene, che gli trasmettono qualcosa; compra un nuovo libro da leggere la settimana successiva; cena in un posticino speciale.
Hirayama si porta dietro ovunque una macchina fotografica e, costantemente, presta attenzione a cosa ha intorno, per coglierne la bellezza. Così succede che ogni parte della sua giornata diventa bella da vivere e ha un suo perché. Ogni adesso è bello da vivere.
Ci sono personaggi, incontri ed eventi imprevisti che si inseriscono in questa routine, proprio come è per le nostre vite. Anche i nostri quotidiani si ripetono analoghi, ma non sono mai gli stessi.
Questo film mi ha dato tanto. Avrei bisogno di rivederlo in loop per sempre, soprattutto nel periodo in cui mi trovo adesso (ci sto provando ad applicare la filosofia-Hirayama, ci sto provando davvero e mi serve). Nella sua ripetitività semplice, nella sua serena lentezza, ambizione a cui tendo ormai da qualche anno, mi sono sentita bene: mi è arrivato Hirayama, il suo stile di vita, la ricerca dei suoi ideali, che condivido, anche se non sono i miei e sono tanto lontani dalla società in cui ci troviamo.
Eppure non sarebbe impossibile: anche lui vive nella super tecnologica e al passo col tempo Tokyo (che ha le pareti dei bagni trasparenti che si oscurano alla chiusura), ma lui vive nel suo mondo e, a giudicare da quanto rivelato, per sua volontà.
Mi è piaciuto tutto di questo film: la colonna sonora fatta di pezzi storici, la recitazione del protagonista (che per molte scene è stand alone, con minimi interventi delle altre comparse, e spesso è muto), l'averlo reso un uomo che sento vivo e vero, la regia, la fotografia. Si sente un goccio la ripetitività, che, però, è il suo plus, la sua piacevolezza (una sorta di mantra), ma il film è anche breve (due ore secche) e, dunque, ho non ho avvertito la noia.
Ho una sola cosa da dire, ma non è in negativo. Questo è un film diverso, che ha il suo senso pieno e compiuto così e mi piace da impazzire. Lo riguarderei subito una seconda e una terza volta. Tuttavia, per quanto riguarda la corsa all'oscar come film internazionale, gli preferisco ancora Io capitano. Trovo che dovrebbe essere premiato soprattutto per una sceneggiatura molto più complessa e, a suo modo, profonda, ricalcando il viaggio vogleriano dell'eroe.
Giudizio: ⭐⭐⭐⭐⭐
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