Un'opera d'arte non dà risposte alle domande, le suscita.
Mi tocca citare Bernstein proprio nell'apertura del film di Bradley Cooper per parlare invece del dodicesimo film di Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l'airone.
Pur non essendo una delle sue fan più accanite ho sempre apprezzato i film che ho visto del regista giapponese: La città incantata, Il castello errante di Howl, Kiki e posso dire lo stesso di questa ultima opera.
L'introduzione alla storia è, tra quelli che ho visto, la più classica e occidentale: durante la seconda guerra mondiale un ragazzo, Mahito, perde la madre nell'incendio dell'ospedale in cui lavorare a Tokyo. Tempo dopo deve fronteggiare alcuni cambiamenti: lui e il padre si trasferiscono nella casa natale della madre, di cui il padre sposa la sorella minore, Natsuko, che aspetta un bambino. L'avventura scaturisce dalla presenza di un airone cenerino che cerca di comunicare con Mahito e che lo condurrà in altre realtà spazio-temporali parallele.
I disegni e l'animazione sono molto curati e spesso (quei fondali pastello straordinari) nettamente superiori ai più moderni disegni di quasi tutte le case di produzione che puntano tutto sul 3D. Le creature e gli animali che compaiono sono originali e ben fatti.
Al pari delle altre produzioni che ho visto del regista, la storia è ricca di poesia, probabili riferimenti che non riesco a cogliere e magia. Per esempio, le varie specie di uccelli (pellicani, parrocchetti) che compaiono hanno un significato specifico? Da occidentale posso dire di averci provato a rintracciare una metafora sull'elaborazione del lutto, la depressione e del senso di colpa, ma appunto, sono solo un'occidentale iper razionale. Sono ancora qua a riflettere sui significati di quanto ho visto e, probabilmente, questo è il risultato di un lavoro ben riuscito.
Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2
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