giovedì 21 dicembre 2023

Wonka: un prequel che fa sognare

 Uno dei libri più famosi per l'infanzia e l'adolescenza è La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl, che ammetto di non aver ancora letto. Probabilmente il motivo di tanto successo si deve all'ambientazione curiosa, fantastica del romanzo e anche al personaggio di Willy Wonka e a quelli degli Umpa Lumpa.

Wonka ha affascinato, conquistato e divertito numerosi spettatori nel mondo grazie alle interpretazioni memorabili e sui generis, in modo totalmente diverso, di Gene Wilder prima (1971) e di Johnny Depp nel 2005, sotto la regia di Tim Burton. Avevo visto entrambe le pellicole, pur non diventando fan di nessuna delle due in particolare: ne Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart, Wilder è maggiormente sarcastico, mentre nell'accezione che conferisce Depp, Wonka è soprattutto tocco. Entrambi sono un po' cinici e decisamente bizzarri. 

Queste due raffigurazioni hanno contribuito a creare una certa idea del personaggio di Willy, con cui si è scontrato il nuovo film di Paul King (regista dei film di Paddington).


Wonka
è un prequel della storia della fabbrica di cioccolato, che nel film non si vede mai, anche se una certa ambientazione la ricorderà in piccolo, e sarà solamente immaginata dal giovane creatore di cioccolato.

Qua il cioccolatiere in erba è interpretato da Timothée Chalamet ed è giovane, inesperto del mondo e, fondamentalmente, un po' ingenuotto. Si tratta di un Wonka per niente cinico, bensì interessato al bene del prossimo e molto sicuro dei suoi ideali. Stravagante, ma dolce e gentile e anche sognatore, ma risoluto nel raggiungere i suoi obiettivi.

Del resto la frase che potrebbe essere la tag line del film è:

“Tutte le cose belle a questo mondo sono cominciate da un sogno.
Perciò tu non mollare il tuo.”

Non avendo letto il libro, non so dire se questo personaggio di Chalamet somigli o meno al "vero" Willy Wonka, che del resto è molto più grande e dunque può essere benissimo cambiato nel corso degli anni, rendendo del tutto lecito rappresentarlo in modo diverso da quello che hanno fatto Stuart-Wilder e Burton-Depp. A ogni modo ha conquistato la mia simpatia.

Riguardo la trama, Wonka approda nella città più famosa per la produzione di cioccolato, dove i più importanti venditori di dolci hanno i loro negozi alla Gallerie Gourmet. Il nostro cioccolatiere ha già maturato una certa esperienza nella sua arte ed è pronto a stupire la piazza, ma dovrà scontrarsi con due problemi: loschi individui che approfittano delle altrui difficoltà per sfruttarli per sempre e il cartello del cioccolato, che intende impedire a chiunque di inserirsi nel mercato e fare concorrenza.

Quest'ultimo aspetto mi è parso geniale, paradossale e divertentissimo. Willy si ritrova prestissimo sotto le grinfie di questa straordinaria congrega di cattivi, ma non si perde d'animo e cerca anche di aiutare altre persone in difficoltà come lui. Ne risulta una storia vivace, divertente, cosparsa di brillanti piani per sventare le diaboliche mire dei cattivi, ma anche di tanta dolcezza, soprattutto nel legame che si crea tra Willy e la piccola Noodle. Leggero e musicale, mi è parso il perfetto film di Natale.

Era veramente un pezzo che non vedevo un film di avventure così carino, fresco e ben fatto. Pensa e ripensa non sono ancora riuscita a trovargli un difetto. 

Non è appesantito dalle canzoni, che sono graziose e alcune già note. La comicità è giusta, senza battute di dubbio gusto. Molta parte del cast ha contribuito egregiamente al successo del film. Tra i volti più noti abbiamo: Olivia Colman, Rowan Atkinson, Sally Hawkins, Keegan-Michael Key, Jim Carter. Una menzione speciale è per l'Umpa Lumpa di Hugh Grant, così compassato e straripante di British humor, da connotarlo in modo unico.

Giudizio: delizioso 🍫🍫🍫🍫

domenica 10 dicembre 2023

Ken Loach ci parla di integrazione: The Old Oak

 Conosco il regista inglese Ken Loach solamente attraverso il film Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà del 2014, che mi piacque, mi commosse e che cito ancora a memoria nello scambio (per me) più bello di battute dei due protagonisti, Jimmy e Oonagh.


Non posso dirmi dunque una fine conoscitrice della sua poetica e della sua cinematografia, ma senza dubbio posso testimoniare che due volte su due Loach è arrivato col suo cinema, che parla di persone svantaggiate, dritto nelle corde del mio cuore e mi ha toccato molto. Prometto dunque di recuperare la mia colpevole lacuna dei suoi film più celebri.

Questo film ha concorso per la Palma d'oro all'ultimo festival di Cannes.

The Old Oak è un vecchio pub nell'Inghilterra del Nord, in una cittadina un tempo sede di una comunità di minatori che ha visto la morte ingiusta di molti di loro, la loro povertà e gli scioperi degli anni Ottanta.

Adesso che la miniera non è più in attività il paese si è spopolato, le case non valgono più nulla e le persone rimaste sono frustate dalle pessime condizioni di vita. Anche il gentile proprietario del pub, TJ Ballantyne, è costretto a fare buon viso a cattivo gioco davanti ai pochi avventori che gli sono rimasti (molti dei quali razzisti e fomentatori di odio nei fatti e sui social media) per tirare avanti.

Tutto si complica quando (siamo nel 2016) nel paesino giunge una comunità, sempre più numerosa, di profughi siriani, che scappano dalla guerra civile in corso. L'arrivo di un perfetto capro espiatorio straniero fomenta il malcontento e causa numerosi episodi di scontro verbale e non fra i locali e i siriani.

TJ è tra le poche persone gentili che cerca di accogliere i profughi e di aiutare i volontari che si occupano di loro (aiuta per esempio la giovane Yara e le diventa amica), ma cerca di non schierarsi contro i suoi concittadini meno illuminati. Tuttavia è proprio l'Old Oak che diventa il punto di incontro di dibattiti razzisti e di iniziative che favoriscono invece l'integrazione delle due comunità.

Il film descrive il lento processo di incontro, scontro e integrazione tra inglesi e migranti che avviene nel pub e nel paese. Alcuni cittadini rimarranno razzisti, hater, leoni da tastiera, mentre altri cominceranno ad ammorbidire e poi a cambiare le proprie posizioni: uno scenario immaginario, ma perfettamente verosimile di come è avvenuto e può avvenire questo incontro-scontro di mondi, separati dalla geografia, dalla cultura, dalla religione, dal colore della pelle. Ogni svolta nel film è costruita prima, così che il corso degli eventi è predeterminato dagli antefatti, proprio come la realtà.

In più occasioni è il sedersi a tavola a consumare cibi e bevande (la convivialità) che unisce i personaggi di questo film, nell'integrarsi o nell'aggregarsi (nel bene o nel male): forse è per questo che il perno di tutte le vicende è proprio il pub.

Meno di due ore, eppure questo processo graduale è descritto molto bene e la sceneggiatura è costruita magistralmente per raccontare tutti i punti di vista di questo incontro tra culture, rappresentando i punti di vista ambivalenti degli autoctoni e le molte sfaccettature della fusione delle due comunità.

TJ e Yara sono i protagonisti del film e gli artefici di questo cambiamento: di loro conosciamo le storie personali, che sono raccontate e recitate con tanto trasporto da farmi immancabilmente versare delle lacrimucce. Entrambi hanno un passato difficile, per ragioni molto diverse, ed entrambi perdono qualcosa nel corso della storia e imparano a starsi vicini nel rispetto l'uno dell'altro, nella differenza culturale e di età, eppure nell'universalità dell'affetto che si prova spontaneamente per coloro che soffrono, seppure per ragioni diverse.

Lo dice molto bene Yara a un certo punto e riassume in modo così semplice l'incontro e il capirsi, l'essere vicini: 

"Comprendiamo la perdita."

Perdita che tuttavia non perdonerò mai a Mr Loach.

Mi sono molto piaciuti gli attori che hanno interpretato i personaggi principali, che insieme all'ambientazione (le riprese nel pub sono state fatte in un pub in disuso e quella lettera dell'insegna che continua a cadere ci dice già tutto delle condizioni in cui versa l'attività di TJ) hanno saputo dare quest'atmosfera molto verosimile, di piccola comunità dove tutti si conoscono e dove crescono malesseri, ripicche, ma anche solidarietà.

TJ è Dave Turner, che ha già lavorato ad altri due film con Loach; Ebla Mari invece lavora in questo film per la prima volta in Europa, ma insegna recitazione nel Golan. C'è anche Trevor Fox, volto un po' più noto (ultimamente era anche ne L'imprevedibile viaggio di Harold Fry).

Giudizio: ⭐⭐⭐ 3/4 (la perdita di cui sopra abbassa il voto)

Raccomando questo film per la scrittura estremamente abile nel presentare un tema complesso nelle sue molte sfaccettature e soprattutto perché è un film che riesce a essere allo stesso tempo dolce e crudo, ma lasciando un po' di speranza nel genere umano, che coi tempi che corrono non è poco.

giovedì 7 dicembre 2023

La Chimera di Alice Rohrwacher: ancora film italiani a Cannes

Quarto lungometraggio della regista Alice Rohrwacher, La chimera (che ha nel cast anche la sorella Alba) è una storia che parla dei ladri di tombe etrusche nell'Italia degli anni Ottanta.


Il titolo si riferisce, infatti, alle visioni che il protagonista Arthur (il bravissimo Josh O'Connor - Carlo nella serie tv The Crown, che non ho visto), mancato archeologo inglese, ha nei pressi di una sepoltura etrusca. Nel paesino dove vive ha messo su una banda di tombaroli, che si basano sulle sue epifanie per far quattrini, rivendendoli a un ricettatore misterioso. Arthur ha anche l'appoggio di una gentildonna decaduta, Flora (Isabella Rossellini), la cui nipote scomparsa era fidanzata proprio con l'inglese. Presso Flora prende lezioni di canto Italia (Carol Duarte), immigrata brasiliana, che nasconde segreti e ideali diversi da quelli di Arthur.

Gente ignorante e violenta, che vive di espedienti e imbrogli, ben al di là della legge, ho detestato con tutta me stessa i protagonisti di questo film, Arthur compreso, scostante, taciturno, lunatico e pure manesco. In una certa scena mi sono quasi fisicamente sentita male al pensiero di cosa non avranno portato via, privandoci di immensi tesori da ammirare, questi criminali.

Come ci ha spiegato la regista, ospitata alla prima del film al cinema Fiorella di Firenze, il fenomeno, sul quale ha condotto un'inchiesta per la realizzazione di quest'opera, è stato molto diffuso fra gli anni Settanta-Ottanta del secolo appena passato, specialmente in Toscana, anche se questo film sembra ambientato piuttosto nel Lazio. Ancorché esecrabile, spiega ancora Rohrwacher, era ben difficile poter spiegare a gente povera e rozza, che stentava nelle campagne ma che vedeva pienamente compiersi il consumismo, che rubare nelle tombe etrusche era sbagliato, poiché il mondo che li circondava era già profanato. La regista inquadra infatti una spiaggia inquinata e la centrale a carbone di Civitavecchia, sui sottostanti resti romani.

A livello tecnico, il film è senza dubbio interessante: girato in pellicola e in diversi formati; i movimenti della macchina da presa sono studiati per rendere determinati effetti. Inoltre i riferimenti all'archeologia, al mondo etrusco e al filo di Arianna, che ritorna nel film più volte, sono molto interessanti.

Tuttavia la storia non ha suscitato in me interesse, salvo la scena con Alba Rohrwacher, parte della storia narrata dai cantastorie, la svolta nella storia di Italia e il finale. Il film è anche troppo lungo e in un preciso momento mi è parsa interminabile.

Giudizio: ⭐⭐

domenica 3 dicembre 2023

Ma come gli è venuta a Ridley Scott di fare Napoleon?

 Non lo so. Non lo so cosa aveva nella testa quando ha pensato di mettersi su questo progetto, che poi ha scritto David Scarpa.


Napoleone è una figura estremamente complessa da inquadrare, questo lo sappiamo tutti: è stato il più grande stratega militare di sempre o assetato di battaglie e di conquiste ha passato tutto il suo governo a muovere guerra al prossimo? Era un dittatore assolutista che ha preso il potere con un golpe militare o il più liberale dei sovrani, che faceva votare tutto il suo popolo per plebiscito (salvo far sparire i risultati più scomodi)? Ha portato la rivoluzione francese in tutta Europa oppure ne ha distrutto i valori? 
Era cattolico, mussulmano o ateo (o quel che preferivi sentire)? Ha portato via opere d'arte dall'Italia, eppure ha dato vita al primo Regno d'Italia. Sognava anche un'Europa unita, purché la Francia la guidasse.

Un uomo contraddittorio, forse il più grande di tutti, tanto che anche i nemici lo lodavano, oppure semplicemente l'ennesimo ambizioso assetato di potere. Visto dai francesi come uno straniero (era un corso -e non basso come lo dipingevano gli inglesi- che sicuramente parlava meglio l'italiano del francese, al contrario per esempio di Cavour che nacque a Torino proprio sotto il regno napoleonico e dunque parlava meglio il francese che l'italiano), fu sempre acclamato e protetto dai militari, dai suoi soldati.

Immaginando un film su questa figura, la prima cosa che viene in mente sono proprio le battaglie napoleoniche: centinaia di migliaia di soldati sui campi di battaglia e decine di migliaia di morti (oggettivamente il finale del film riassume proprio questi numeri: 61 battaglie e un totale di 3 milioni di caduti). 

La seconda cosa che viene in mente è la politica interna che Napoleone condusse in Francia da console e imperatore, seguendo anche personalmente la redazione delle costituzioni.

Ecco, in Napoleon se si vede qualcosina del primo aspetto (sarebbe ben stato difficile fare un film senza Austerlitz e Waterloo o senza la campagna di Russia), il secondo è proprio completamente assente, a eccezione del colpo di stato.

Delle battaglie se ne vedono poche, tutte molto accorciate (durano una notte - Tolone - o un pomeriggio, - Austerlitz - anziché giorni) e "sguarnite" di soldati. Non si può neppure dire che siano visivamente maestose (accurate sì, spettacolari forse) perché sono liquidate in cinque-dieci minuti. Non ho il tempo di godermi la scena diciamo. Del resto non era la priorità del regista, che forse a questo punto avrebbe potuto anche risparmiare qualcosa.

La campagna di Russia ha una messa in scena totale di otto minuti cronometrati (veramente, mi stavo annoiando e scrivevo a mia sorella quando accadeva qualcosa), a fronte di due minuti in cui il condottiero apre un sarcofago. Come si fa a rendere in così poco il rigore dell'inverno, gli stenti a cui erano sottoposti i soldati e il malumore che accompagnò le numerose morti e la disfatta della spedizione?

Il film dura in totale due ore e quaranta minuti, quindi se non sono stati spesi nelle battaglie (la campagna italiana non esiste, tanto per dire, ma fu con quella che Napoleone divenne celebre) e non sono stati spesi nella politica napoleonica e nemmeno nel descrivere tutta la vita del condottiero interpretato da Joaquin Phoenix (infanzia, adolescenza, etc), poiché il film parte dall'assedio di Tolone (o precisamente dallo sdoppiamento della sua presenza a Tolone e a Parigi, perché in realtà Scott lo voleva nello stesso momento anche ad assistere alla decapitazione di Maria Antonietta), allora come sono stati utilizzati tutti quei minuti di pellicola?

Certo questo non è il film giusto per sostituire il manuale scolastico, ma si potrebbe contestare che ci sono talmente tanti altri prodotti su Napoleone che non occorreva una nuova biografia dettagliata su pellicola. E un singolo film non può rappresentare integralmente una figura, quindi occorre trovare un punto di vista.

Il focus di tutta la narrazione di Scott, il nuovo punto di vista, è Giuseppina (Vanessa Kirby), rappresentata in modo chiaramente moderno, perché ormai non è di moda fare altrimenti, attendibilità storica o meno.

La trama è dunque così riassumibile: Napoleone fa cose, Giuseppina fa cose. I due sono ossessionati l'uno dall'altra. Fine.

Oltretutto il loro rapporto sembra girare solo su un'ossessione puramente sessuale: una noia terribile dopo la seconda scena. I due interpreti mi sono anche sembrati parecchio inteccheriti, non concedendomi neppure soddisfazione sotto l'aspetto recitativo.

Sicuramente il focus che sceglie Scott potremmo considerarlo meno importante ai nostri occhi. La vita privata di Napoleone ha avuto un impatto minore delle guerre e della politica interna sui destini europei, che sono quelli che contano di più per le nostre vite. Ma l'ipotesi di Scott è contraria a questa prima impressione: forse l'amore (anche se quella che ho visto sullo schermo mi è parsa più un'ossessione reciproca) ha condizionato l'uomo in ogni sua decisione? Forse non è stato Nelson, ma Giuseppina a far abbandonare a Napoleone la campagna d'Egitto. Forse non è stata l'idea dell'impero, ma della sua ex moglie a farlo fuggire dall'Elba. Perché se la sua vita privata ci riguardava così poco, per quell'uomo era invece la cosa più importante del mondo (come lo è per ciascuno di noi).

Del resto le ultime parole di Napoleone (vere o romanzate) si dice che siano state: "Francia, esercito, Giuseppina".

La colpa di questo film è dunque di aver gingillato troppo (e in modo troppo noioso) sulla terza delle ossessioni di Napoleone, trascurando le altre due, tanto da aver fatto capire a stento alcuni passaggi cruciali di cosa era successo nel ventennio napoleonico in Francia. Il problema non è neppure la poca verità storica (anche se la domanda che sorge sempre in questi casi è "cosa c'era di così brutto in com'era andata davvero"? oppure "ma che senso aveva cannoneggiare le piramidi a fini strategici?"), ma saltano alcuni passaggi logici incomprensibili per chi non conosce già o non ricorda cos'ha studiato a scuola. Per esempio non si vede niente dopo il colpo di stato: che fine fanno gli altri due consoli? Gli propongono di fare il re...allora come giunge all'idea di impero (repubblicano)?

Giudizio: In sostanza questo film non ha senso di esistere (a prescindere dalle numerose inesattezze e sbavature storiche, sulle quali si poteva chiudere un occhio), offre un punto narrativo quasi esclusivo e con un'interpretazione piuttosto personale del regista della quale forse sentiva solo lui l'esigenza⭐⭐