Alla seconda domenica di proiezioni sono rimasta non poco stupita di vedere un discreto (considerando il periodo) numero di persone in sala per assistere al primo film diretto da Paola Cortellesi: C'è ancora domani. Il motivo mi è stato chiaro ben prima della fine del primo tempo: passaparola positivo, senza dubbio.
Se Bisio ha scelto la Seconda Guerra Mondiale (e un argomento molto sensibile da trattare) per ambientare il suo primo film a Roma, la Cortellesi sceglie un periodo di poco successivo e la stessa città: il secondo dopoguerra e, in particolare, la vigilia del referendum monarchia vs repubblica e delle elezioni per l'assemblea costituente del 2-3 giugno 1946, le prime dopo il fascismo e la guerra e le prime aperte alle donne.
Anche Paola Cortellesi parte col piede sull'acceleratore, trattando della condizione femminile sotto multipli punti di vista, a partire dal diritto di voto: la storia della famiglia di Delia (Cortellesi protagonista, oltre a regista) dà l'occasione per passarli in rassegna.
Delia si è infatti sposata con un uomo violento (Valerio Mastrandea), che, come il padre Ottorino (Giorgio Colangeli), ne pretende i servigi e il silenzio. La donna all'epoca (e non solo) era reputata infatti solamente una nullità, da tenere sotto sorveglianza perché poteva comportarsi sempre in modo sconveniente e lascivo, e da malmenare per "istruirla". Inoltre l'educazione, indipendentemente da inclinazioni e merito, era riservato solo ai figli maschi: alle figlie femmine toccava trovarsi un lavoro per aiutare a mantenere la famiglia e, possibilmente, portare il prima possibile la propria bocca da sfamare a un marito in grado di mantenerle. Così è per Marcella (Romana Maggiora Vergano, che mi è molto piaciuta), la figlia più grande di Delia e Ivano, che spera, col matrimonio con Giulio, di allontanarsi presto dalla miseria e meschinità della sua famiglia. Anche Delia desidera che la figlia si emancipi, si salvi: desidera per lei una condizione migliore e spera che la trovi nel ragazzo che sembra volerle così bene (ma sarà così?). Per questo fa la cresta sui suoi guadagni, così da metterle da parte i soldi per acquistare uno splendido abito da sposa.
Già, perché i soldi guadagnati da una donna non appartenevano certo a lei, bensì al padre o al marito, che li spendeva a propria discrezione. Nel caso del marito di Delia nel gioco e nelle donne, oltre che nelle spese di casa. Inoltre lo stipendio delle donne era sempre inferiore a quello di un uomo, indipendentemente dall'esperienza e dall'anzianità lavorativa. Nelle classi più agiate, invece, la donna non doveva affatto lavorare, bensì farsi mantenere, per non far sfigurare il marito: in ogni caso l'indipendenza economica femminile non era contemplata per nessuna classe sociale.
Nel buio di questa situazione, l'unica cosa a cui aspira Delia è proprio tutelare la figlia (e nel corso del film capirà il modo migliore per farlo, in una soluzione che ho adorato), finché non scopre che il suo amore di un tempo, Nino (Vinicio Marchioni, eccezionale come sempre, anche se per poco più di un cameo), sta per lasciare Roma, offrendole una possibilità di vita diversa.
Venendo alla regia di Paola Cortellesi, sono rimasta molto favorevolmente colpita, a partire dai tempi comici, orchestrati alla perfezione, a volte anche a tempo con la musica, che spesso gioca grande parte nella scena, fino a essere parte stessa della narrazione (cose che ho adorato), come nel delizioso finale, parzialmente aperto. La principale scena di violenza di Ivano è infatti mascherato da ballo, riuscendo al contempo a edulcorarla per portarla al tono della commedia, sia a far comprendere comunque la gravità di quanto accade, rafforzata anche dalle reazioni degli altri personaggi che vi assistono o che notano i segni su Delia.
Inoltre ho apprezzato che il contesto della rappresentazione non rimanesse mero sfondo delle vicende: già nei titoli di testa scorrono infatti immagini della Roma del dopoguerra e dei suoi abitanti, ritratto di quel periodo e delle sue abitudini, e successivamente vediamo altre abitudini di vita e di lavoro: il mercato, il bar, l'attacchino dei manifesti elettorali, la corte, il servito buono, la fabbricazione manuale degli ombrelli, le riparazioni della biancheria.
E che dire della mia scena preferita? La condivisione con Nino della cioccolata che un soldato americano regala a Delia, dona a noi una scena romantica e dolcissima, ma anche comica, mentre i due si guardano e si sorridono.
Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2
Le interpretazioni sono buone, anche nei personaggi secondari, i costumi e le acconciature mi sono piaciuti e hanno contribuito a connotare i personaggi, mostrandone con chiarezza il livello sociale. L'uso della musica, come ho già detto, l'ho trovato brillante. Ma soprattutto adoro come la storia, che è molto coinvolgente, è stata usata come strumento di racconto sociale e di memorandum di cosa la donna si è conquistata nel corso del tempo, poiché no, non abbiamo sempre avuto le libertà e le possibilità di cui godiamo oggi e questo lo dobbiamo a quel voto del 1946 che per la prima volta ci ha permesso di dire la nostra sui nostri diritti. Da qui il finale, il riferimento al titolo e il fatto che il momento dell'attesa di quel momento cruciale sia proprio la locandina del film.
Ricordiamocelo.
Nessun commento:
Posta un commento