La mini-maratona che ho fatto al cinema questo martedì sera è esemplificativa di come le aspettative che possiamo generarci sui film prima di entrare in sala sono assolutamente inutili: per me sono state ribaltate.
Che aspettative avevo su Beau ha paura, terzo film di Ari Aster, che lo ha anche scritto e sceneggiato?
Sicuramente desideravo vederlo per Joaquin Phoenix (la presenza alla macchina da presa o nel cast di chiunque mi sia già piaciuto altrove è sempre il primo motivo che mi trascina al cinema), tanto più per il fatto che lo avremmo visto recitare in tre-quattro variazioni dello stesso personaggio (altro elemento imperdibile). Era un film atteso dal pubblico che aveva apprezzato i due precedenti lungometraggi di Aster, che non ho visto. Mi preoccupava molto l'appartenenza al genere horror e il fatto che fosse vietato ai minori di 14 anni, cosa che mi ha spinto a cercare almeno una recensione per capire quanto dovessi temerne la visione. La recensione in cui mi sono imbattuta era lusinghiera, ma ammoniva lo spettatore medio che avrebbe potuto trovarlo ostico alla comprensione e addirittura odiarlo. Quel che temevo maggiormente, però, era la durata di tre ore, precisamente tre ore che potevano rivelarsi un incubo. Addirittura, sedendomi al mio posto in sala, ho sentito i commenti degli altri spettatori che avevano letto di persone a cui erano comparse crisi d'ansia durante la visione.
A cosa mi sono trovata davanti in realtà?
In un passato distopico Beau vive in un quartiere malfamato e pericolosissimo di una metropoli e sta per partire per andare a trovare la madre in occasione dell'anniversario della morte del padre. Ha un contrattempo al momento della partenza e avvisa la donna. Da questo momento si innesca una spirale di avvenimenti che, come in un domino, non si possono arrestare e che condurranno Beau in un tortuoso viaggio, fatto di personaggi assurdi e avvenimenti incredibili, fino a una resa dei conti che prima pensi di aver compreso, ma poi si ribalta di nuovo e realizzi di non aver capito.
Questo film è la metafora di un viaggio, ma non è del tutto quello che sembra e io, tuttora, non sono sicura di aver compreso tutto quello che è e tutto quello che voleva significare.
Ruota sicuramente intorno al rapporto madre-figlio: il film si apre con quello che lo spettatore intuisce possa essere un parto dal punto di vista del feto. La figura della madre predomina nei pensieri di Beau e nelle motivazioni che lo spingono nella vita. Il "confronto finale" è paradossale, ma neppure tanto.
Il caso vuole che nel periodo precedente e successivo alla visione del film, mi fossi cimentata con due libri della psicologa Stefania Andreoli che molto hanno a che fare con la maternità e con la crescita degli individui nell'ambito della famiglia. Mi risuonava dunque molto il concetto di madre che sacrifica tutto per l'accudimento del figlio, legandolo a doppio filo e stringendo di fatto un contratto che prevede poi la restituzione di tutto il ricevuto con gli interessi: dal momento che ha rinunciato alla propria vita con la maternità, ora non le resta altro che la vita del figlio e diviene una madre castrante.
Mi è piaciuto?
Si è trattato di un film sicuramente lungo: non auguro a nessuno di stare tre ore seduto sulle poltroncine del Portico senza intervallo.
La parte finale è abbastanza contorta, mi ha lasciato spiazzata e fa intendere che tutto quello a cui avevo cercato faticosamente di dare un senso, era tutt'altro, anche piuttosto inaspettato. Ci sono frequenti cambi di prospettiva e svariate sorprese: ciò che sembra andare in un senso, a un tratto cambia completamente. Più di una scena sembra un incubo durante un trip di acidi. Malgrado questo ci sono state scene che mi hanno fatto ridere (l'ultima parte in cui Beau è a casa sua, dopo che ha detto a sua madre che non riesce a partire quel giorno) e la sequenza svolta a teatro è visivamente e poeticamente bellissima.
Ciò nonostante, non è un film che rivedrei volentieri: è assolutamente fuori dalla zona di comfort di chiunque, è davvero un film scomodo per lo spettatore, perché costretto spesso a rileggere e riconsiderare quel che sta vedendo sempre sotto una luce diversa. Non è neanche un film che consiglierei a chi mi chiede un consiglio su un bel film, però ha qualcosa che va visto e a chi cerca qualcosa di originale e nuovo e non ha paura di affrontare le angosce derivanti da storie di rapporti familiari malati, allora forse lo raccomanderei.
In conclusione: ⭐⭐ 1/2

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