mercoledì 26 aprile 2023

Super Mario Bros. a metà tra film e videogioco con molto cuore

 Sono stata Super felice di trovare la sala del cinema di paese abbastanza gremita per trattarsi di una domenica pomeriggio alle 15.30, per di più nella seconda settimana di cartellone, quado la prima era stata quella di Pasqua, con molti giorni di proiezione. Di più, anche allo spettacolo delle 17.30 c'erano diverse persone in fila per entrare.


Super Mario Bros. della Illumination Entertaiment (quella di Cattivissimo Me) aveva ricevuto una bella campagna promozionale e, nonostante non fossi interessata al prodotto a priori, non avendo mai giocato a Super Mario (proprio mai, neppure una volta nella vita), non sono riuscita a evitare una clip mentre guardavo altro in tv. Clip così carina che mi ha convinto ad andare al cinema.

Pur non avendo mai giocato al videogioco, avevo visto qualcuno giocarci, dal vivo o in tv, come credo chiunque, almeno in Occidente. Le dinamiche del gioco sono note: Mario ha dei percorsi da affrontare, ricchi di incognite, ostacoli, potenziamenti, con vari boss da sconfiggere (una formula vincente che ha garantito alla serie un successo senza tempo).

Su questa riga si basa anche il film, disseminato di brevi percorsi e piccole quest da portare a termine in un piano un po' più grande. Il ritmo è rapido, in un susseguirsi di missioni e azione. La trama è semplice, ma funziona ed è adatta al tipo di film (adattamento di un videogioco in animazione, destinato a un pubblico universale: colori, forme e divertimento per i bimbi, riferimenti ai videogiochi -che io sicuramente ho colto solo in infinitesima parte- per il fandom del videogioco. Malgrado non appartenga né al primo, né al secondo target, il film è così delizioso che ha conquistato anche me, rimasta a bocca aperta per l'intera durata come, credo, i bambini della sala, che hanno guardato tutta la proiezione, seduti accanto ai genitori, in religioso silenzio (cosa decisamente insolita), probabilmente rapiti dal flusso. 

In una realtà parallela, il cattivone di turno, Bowser, intende conquistare il mondo col suo esercito di tartarughe. Riesce a conquistare la "super stella", il potenziamento massimo che lo renderebbe invincibile e intende servirsene per convincere la principessa Peach, del Regno dei Funghi, a sposarlo, poiché è segretamente (ma neanche troppo) innamorato di lei. Nel frattempo, nel nostro mondo, a Brooklyn, Mario e Luigi stanno aprendo la loro attività di idraulici, anche se non hanno il supporto della famiglia e stentano a ingranare. Quando un allagamento rischia di sommergere la città, i due fratelli si recano nelle fognature per cercare il problema, sperando, risolvendolo, di farsi pubblicità quali ottimi idraulici. Da qui, però, finiscono in un varco dimensionale che fa perdere la memoria alla sceneggiatura (non è così importante, ma nessuno ci spiegherà mai come si risolve la storia dell'allagamento) e trasporta prima Luigi nelle Terre Oscure, regno di Bowser, e poi Mario nel Regno dei Funghi, dove incontrerà Peach, con cui si alleerà contro Bowser e con cui andrà a cercare rinforzi anche presso i gorilla del Regno dei Kong.

Personalmente ho adorato questo film: per me funziona molto bene e quel piccolissimo buco di trama, poco significativo, non mi ha pesato nel bilancio con tutti i pregi di questo prodotto.

Il suo principale valore credo stia nel fatto che è un prodotto fatto più col cuore che con la testa. Credo che abbiano voluto restituire l'anima di un prodotto videoludico (anche se solo i fan di Mario possono giudicare se lo spirito del videogioco più famoso di sempre è stato colto). Il film è essenziale nella struttura (cattivo che vuole conquistare il mondo vs buoni che cercano di riunire le forze per impedirlo) e dinamico, dando importanza al divertimento e all'azione. Aiuta anche la durata perfetta di un'ora e mezza.

Ultimamente ho visto molti pochi film d'animazione che davano più importanza a un sano divertimento di pancia che al cercare di rispettare tutti i canoni del politicamente corretto (penso ai flop di Lightyear e Un mondo misterioso, ma anche a Il mostro dei mari). Ho trovato Super Mario Bros. più sincero di questi ultimi esempi.

Dal punto di vista del targert, trovo che possa soddisfare sia i bambini, sia gli adulti. Anche dal punto di vista del divertimento è universale, puntando a una comicità soprattutto fisica e meno verbale, quasi da slapstick comedy alla Tom & Jerry. Ne sono esempi la sequenza col cane o il rapporto Mario-Donkey Kong, il figlio del re dei Gorilla. I loro dispetti costituiscono parte del lato comico nel film. Anche Bowser, a sorpresa, è non solo il cattivo, ma anche uno degli elementi più divertenti, proprio col suo sentimento, che ci possiamo concedere di prendere in giro (una rarità al giorno d'oggi) quando fa le prove della dichiarazione d'amore, da solo o al mago travestito da principessa dei Funghetti, o quando si lancia in un'esibizione appassionata al pianoforte del suo singolo, "Peach" per l'appunto.

I personaggi sono semplici, ma non scontati. In particolare il rapporto Mario-Luigi viene tratteggiato con poche semplici scene: Luigi è sempre gentile e un po' ingenuo e, per questo carattere remissivo, rischia di farsi sopraffare da chi fa il gradasso con lui, mentre Mario, anche se piccolo di statura è coraggioso, un po' paladino delle cause perse e non si lascia scoraggiare né da avversari molto più grandi di lui, né da missioni che sembrano impossibili, né dai colpi presi. Mario è molto affezionato al fratello e sempre pronto ad aiutarlo (mi ha fatto quasi commuovere).

Peach probabilmente rischia di non piacere a tutti coloro che ritengono che le donne debbano essere gentili e sorridenti, esattamente come è successo al personaggio di Captain Marvel, che invece a me era piaciuta esattamente com'era. Iron Man piaceva anche perché arrogante, ma la stessa caratteristica volta al femminile ha fatto storcere il naso. In questo caso il rischio è lo stesso: Peach è impavida, abile, fortissima e si fa guidare solo da quello che crede giusto. Peach è la leader e l'insegnante. Non è rappresentata con difetti (e questo è sempre un problema), ma a differenza di Rey nella saga di Star Wars, che per questa mancanza risultava finta -e a tratti insopportabile-, Peach resta credibile e io l'ho apprezzata. Forse il mondo non è pronto per la raffigurazione del femminile che non si piange addosso, ma io ne ho abbastanza, invece, di donne che vacillano senza un appoggio. In sintesi, per me è "più Peach per tutti".

Una delle cose più straordinarie del film, però, sono i disegni, brillanti nei colori e curatissimi nei dettagli: le ombre che si allungano sul terreno, il chiaroscuro sui volti dei personaggi, i riflessi sul pianoforte, estremamente realistici, la luce del tramonto. L'animazione è fluida, il ritmo è altissimo. Questo è un film che non annoia e che mi ha completamente conquistata. Alcune scene, come quella sulla pista arcobaleno o lo Scontro Finale sono esaltanti. Alcuni momenti sono emozionati, come quando assistiamo allo scontro Mario-Kong in cui il nostro eroe le busca pesantemente, ma non si arrende, accendendo il nostro cuore; o quando il piccolo Toad non vuole abbandonare la sua principessa; o ancora quando Mario sembra perdere ogni speranza, ma i suoi amici stanno ancora combattendo e persino Luigi si lancia nella mischia; o quando i due fratelli si ritrovano perché niente può andare male quando sono assieme e questa è l'unica cosa importante.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

martedì 11 aprile 2023

Educazione Fisica di Stefano Cipriani: teatro al cinema

Educazione Fisica, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è un film di Stefano Cipriani per il quale i fratelli D'Innocenzo hanno adattato lo spettacolo teatrale scritto da Giorgio Scianna, La palestra


E in effetti l'impostazione è profondamente teatrale, per via dell'ambientazione ristretta alla fatiscente palestra di un grande istituto comprensivo e per i dialoghi, il numero, la mimica e gli spostamenti molto limitati dei personaggi nello spazio.

La trama presenta subito alcuni problemi e la motivazione da cui origina il dramma è così debole e così mal funzionante che sembra solo un pretesto per portare in scena le emozioni e le reazioni dei protagonisti, che diventano preponderanti. In effetti si tratta proprio di questo, un semplice dare il là, senza aver pensato troppo alla plausibilità degli antefatti.

La preside dell'istituto comprensivo convoca i genitori di tre ragazzini tredicenni: si presentano quattro genitori, una madre, un padre e una coppia, tutti spaesati e perplessi riguardo la motivazione di quella richiesta. Quando la preside si presenta nella palestra è sola (senza uno straccio di collaboratore che gli faccia da testimone) ed espone ai genitori un grave fatto che sarebbe stato compiuto dai loro tre figli. L'intreccio è solo questo: una convocazione, un colloquio e le reazioni che ne derivano. Al centro del riflettore vie è solo il modo in cui queste persone ricevono la notizia, la elaborano e rispondono alla preside e alla destabilizzazione del loro mondo, quasi in una elaborazione del lutto: negazione che sia stato il loro figlio o che sia proprio sua la colpa, rabbia verso chi accusa -ingiustamente- e in parte contro sé stessi, patteggiamento con la propria coscienza e con la preside, depressione e, infine, almeno in parte accettazione.

La parte che riguarda i genitori, quello che provano e come agiscono funziona abbastanza: è una rappresentazione esagerata e grottesca della leonina caparbietà con cui i genitori giustificano e coprono i figli davanti a tutto e tutti, cercando di scaricare la responsabilità su altri (la preside, il sistema, le vittime...) o di diminuirla ai propri occhi prima che a quelli del mondo. Si tratta anche di allontanare dalla coscienza le proprie mancanze e propri sbagli nel crescerli. Il senso della pellicola è provocatorio, chiedendo a personaggi e pubblico fin dove può spingersi un genitore per parare le colpe dei figli.

Se quest'aspetto resta in piedi, anche per via di un'ottima recitazione degli interpreti (in primis Sergio Rubini, ma anche gli altri tre, Angela Finocchiaro, Raffaella Rea e Claudio Santamaria, che fa la parte del leone per numero di battute e carattere del personaggio, se di carattere si può parlare, trattandosi puramente di ruoli tagliati con l'accetta), tutto quello che riguarda la struttura della storia, riassumibile nel personaggio della preside (nelle sue azioni e motivazioni) è un buco nero. 

Non si comprende perché convochi i genitori in una palestra e non in presidenza e lo faccia nel tardo pomeriggio, senza avvertire nessuno delle sue intenzioni e senza essere affiancata dalle figure necessarie per una comunicazione del genere. Non si comprende perché li metta a conoscenza in anteprima di fatti non ancora divulgati né perché prima non li abbia comunicati a chi di dovere (forze dell'ordine e diretti interessati). Non si capisce perché si ritenga autorizzata a farlo e quale scopo, soprattutto, abbia per farlo, mettendo a rischio gli interessi delle vittime e i procedimenti che dovevano seguire all'accaduto. Lascia, di fatto, i genitori liberi di alterare delle prove. Nel corso del colloquio, inoltre, sembra schierarsi in una determinata posizione, ma il suo ruolo forse le imporrebbe di restare super partes e, soprattutto, di non prendere iniziative personali.

Chi scrive (non so precisare se anche il testo originale o solo l'adattamento) sembra ignorare il funzionamento di una scuola e i ruoli dei suoi dipendenti, forse volutamente. La preside assurge a una posizione di potere del tutto immaginaria e non verosimile. Inoltre la equipaggiano di una parlata affettata, che persino il personaggio di Santamaria canzona nel corso del film, e che rende l'interpretazione di Giovanna Mezzogiorno la meno riuscita dell'esiguo cast.

In conclusione...

Cosa salvo: interpretazioni di quasi tutto il cast, intento di portare il tema "protezione dei figli al pari di una leonessa" che è stato grottesco, ma interessante

Cosa non salvo: il film manca di una struttura che abbia senso

Giudizio: ⭐⭐

lunedì 10 aprile 2023

Tutti film d'animazione candidati agli Oscar 2023 (e il vincitore)

 Quest'anno sono riuscita a vedere entro la data della cerimonia tutti i cinque film d'animazione candidati agli Oscar.

💗 Il secondo film d'animazione che ho visto in sala è stato Marcel the Shell (with Shoes On), della casa di produzione A24. Si tratta di un mocumentary, un finto documentario, in tecnica mista, che vanta un'animazione così innovativa da non riuscire quasi a distinguere realtà e finzione. Marcel e la sua nonna sono conchiglie e vivono in una bella casa che prima apparteneva a una coppia. Quando la coppia abitava lì, Marcel e la nonna condividevano le loro vite con tutti gli altri membri della loro grande comunità, ma adesso sono rimasti da soli e devono arrangiarsi a cavarsela per procurarsi il cibo e tenersi impegnati. La casa è affittata da un documentarista, che comincia a riprendere la vita quotidiana di Marcel e a pubblicarla su Youtube, regalando al mollusco un'inaspettata e improvvisa celebrità.


 Marcel è timido, ma deciso: è una piccola conchiglia molto educata che soffre molto per la perdita della famiglia e ha tante premure per la sua nonna. La storia è molto dolce: col suo ritmo lento ci conduce a scoprire le emozioni e la tenacia con cui affronta la vita il piccolo protagonista, attraverso dolori, speranze, scoperte, lutti, amicizie, nuove conoscenze e ripartenze, perché la vita è in continuo cambiamento, ma non deve per questo spaventarci. L'ultima scena in cui compare nonna Connie è pura poesia.

Giudizio: Il film mi è piaciuto e mi ha commosso, ma non non mi ha travolta nell'emozione come mi sarei aspettata, rimanendo comunque carino e piacevole, anche se piuttosto lento. ⭐⭐⭐ 1/2


🤎 Del primo film Il gatto con gli stivali 2 - L'ultimo desiderio ho già parlato. L'avevo visto al cinema sul finire dello scorso anno e l'avevo veramente apprezzato, soprattutto per la tecnica d'animazione rivoluzionaria, temi non proprio semplici affrontati con efficacia e, soprattutto, uno degli antagonisti introdotto davvero bene e terrificante.


Tutti gli altri film d'animazione sono disponibili sulle piattaforme di Disney Plus e Netflix.

🟥 Red è l'unico film Disney candidato, ma è un film di Pixar. Il 61° classico, Un mondo misterioso, l'unica uscita tutta Disney del 2022, è passata sotto silenzio, inosservata e dimenticata dopo poche polemiche sulla eccessiva inclusione, tolta la quale non restava più molto altro nel film. Quindi solo il film Pixar rappresenterà agli Oscar la major Topoliniana.



Red è un film un po' più divertente e giocoso di Un mondo misterioso, ma non è un granché e, dal mio punto di vista, il lato più debole è l'età delle protagoniste: l'adolescenza. Se è vero che mancava un film animato per quel target di età, al quale di solito sono più indirizzati i telefilm e i film live action, è anche molto difficile identificarsi nella protagonista se si è più grandi o più piccoli.

La storia è infatti quella di Meilin, questa ragazzina di tredici anni cinese che vive con la sua famiglia a Toronto, dove gestisce un tempio dedicato al culto del Panda Rosso, che da sempre protegge la famiglia Lee. Meilin è una bambina di rara antipatia. Completamente sottomessa alla madre, è Miss Perfettini, tutta scuola e tempio: ottimi voti e pomeriggi passati a pulire e a lavorare con la madre nel tempio - davvero il tipo di bambina più comune da incontrare e con cui identificarsi, insomma. Coltivando i suoi rapporti umani solo a scuola, ha tre amiche del cuore che sono macchiette monodimensionali. L'estetica della sua amica vestita di rosa è orripilante, sembra un mostriciattolo. E colgo così l'occasione per parlare dei disegni; veramente brutti, ma tanto proprio.

La storia si sviluppa intorno al menarca di Meilin, che è un'ottima idea, non solo perché parlare di mestruazioni, cercando di rompere un tabù, è buono e giusto (anche se non è così esplicitato -il momento più chiaro è quello in cui la madre piomba a scuola gridando che la figlia ha dimenticato a casa il pacchetto di assorbenti che sta sventolando di fronte alla scolaresca, segno che invece di essere argomento segreto, è diventato un argomento comico-), ma perché dà il là al cardine della storia. Tutte le donne di quella famiglia, infatti, al menarca si trasformano in giganteschi Panda Rossi. Nell'omissione della madre, terribilmente castrante, che temeva di affrontare l'argomento con Meilin, oltre che nelle sceneggiate (come quella degli assorbenti), in cui, senza rendersene conto, mette in imbarazzo la figlia, abbiamo il ritratto perfetto di questa donna, che è riuscita a chiudere il suo passionale panda per sempre. Ma Meilin è di un'altra pasta e di un'altra generazione e forse non vuole rinunciare del tutto a quella componente di sé stessa.

Giudizio: il tema dell'accettare i lati di sé che non sono quelli amabili e ben voluti dalla società mi è piaciuto molto ed è un po' più movimentato dell'ultimo film Disney che avevo visto, ma non mi è parso granché. Bene provare a parlare dei cambiamenti che l'adolescenza porta, affrontandoli sia dalla parte dei ragazzi che da quella dei genitori, ma non è un tema universalistico. Disegni tra i più brutti che ricordi. ⭐⭐

🔴 Il mostro dei mari era un titolo che mi lasciava ben sperare: avventure su navi pirata, navigatori rozzi ed esperti del combattimento corpo a corpo con gigantesche piovre od orribili kraken, cuore in gola e cieli cupi di tempeste marine.


Macché. Questo lungometraggio (due ore!) di Netflix e Sony Pictures è un prodotto dei nostri tempi e non poteva neanche lontanamente avvicinarsi alla mia immaginazione: inclusione e scrittura di infimo livello, non è altro. 

La presentazione dei personaggi non c'entra niente con la trama successiva. I pirati (no, questi marinai non sono fuorilegge, ma bravi dipendenti della Corona, anche se l'aspetto richiama i protagonisti di Pirates of the Caribbean) cacciatori di mostri, varianti dei balenieri, hanno una bella estetica con uncini, gambe di legno, nasoni, bende sugli occhi e sono gagliardi e dall'aspetto minaccioso, ma sono scritti malissimo. Il capitano Achab non è coerente con sé stesso; prima uomo comprensivo, che dimostra affetto nei confronti del ragazzino salvato da un naufragio anni prima, simpatia per l'orfanella che si imbuca a bordo, poi prevale il far rispettare gli ordini, infine è avvolto da un cieco desiderio di vendetta, che non ha redenzione. Lo stesso l'ufficiale Sarah Sharp, che sembra molto rigida, poi non lo è. La protagonista, Maisie, è mostrata per la prima volta in un orfanotrofio, mentre racconta le storie dei feroci e valorosi pirati agli altri orfanelli (una sequenza piuttosto abbondante per non avere quasi alcuno scopo nelle vicende), prima di fuggire per imbarcarsi a bordo della Inevitabile.

E qui possiamo cominciare a parlare di inclusione: nel giro di pochi secondi a bordo della nave cacciatrice abbiamo ben due donne di colore, più un'altra ufficiale che ha l'incarico di far eseguire i comandi del capitano. Ma questa è una società in cui non ci sono neppure i bucanieri, quindi è una società molto avanti a livello di diritti sociali. Mi sono, dopo poco, domandata come mai una società così sviluppata non fosse anche animalista e cacciasse le creature del mare, belle o brutte che fossero. E infatti il tema del film è proprio questo: i mostri non sono cattivi. La pellicola si incentra sulla caccia alla Furia Rossa, un mostro orribile, ma non in quanto spaventoso, bensì per il design ridicolo, come se Nessie (di un rosso monocolore, senza nemmeno una sfumatura) avesse inghiottito una gigantesca tavola da surf; occhi e naso sono molto simili a quelli di Sdentato, ma l'effetto non è comunque positivo. Ma il peggior momento della scrittura è il finale: a un tratto si interrompe, non ha conclusione, lascia il destino dei personaggi a sé stessi. Non è specificato cosa ne sarà della bambina e del protagonista; non è ben chiaro il costo del patto con la strega; non sappiamo che destino attende i cacciatori di mostri, l'Inevitabile, Sarah, il capitano, che non si merita (ingiustificatamente) un contatto con i protagonisti, né una possibilità di cambiare idea, di redimersi.

Giudizio: va bene che essere animalisti è una bella cosa, ma un tema simile merita una scrittura migliore, non basta solo l'idea; inoltre i film d'animazione dovrebbero anche essere divertenti da vedere. Se un film ha un nome che promette avventure in mezzo al mare, mi aspetto che ci siano, che sia movimentato. L'animazione iniziale del mare era anche interessante, ma si perde nei disegni e nella scrittura. ⭐

❤ Infine l'attesissimo Pinocchio di Guillermo del Toro, vincitore del Premio Oscar, ennesimo adattamento della fiaba di Collodi. Diciamolo subito, della storia originale non ha praticamente nulla, sono rimasti Pinocchio, il Grillo, Geppetto e il pesce cane, ma servono a una causa superiore, quella antifascista.


Durante la Grande Guerra Geppetto perde il figlio Carlo sotto un bombardamento. Accanto alla tomba del figlio pianta un pino, da cui una sera, ubriaco, ricaverà il pezzo di legno che sarà Pinocchio. In un buco nella corteccia si era appena trasferito il grillo Sebastian, che continuerà a vivere in quel buco, adesso in mezzo al petto del burattino, a cui uno strano mostro e strani spiriti daranno la vita. Pinocchio sorprende il suo ignaro neo-babbo e si dimostra indisciplinato e naive nei confronti del mondo esterno. Oltre a non conoscere niente della vita, è spinto a obbedire solo ai suoi istinti del momento e attirerà presto le attenzioni di molta gente problematica, in grado di raggirarlo a proprio piacere: il Conte Volpe lo vuole come attrazione principale del suo circo, per cogliere il favore di Mussolini, e il padre di Lucignolo lo vuole per renderlo il perfetto soldato per la Giovane Italia Fascista, poiché non può morire. In mezzo a queste peripezie Pinocchio maturerà molto e comprenderà il valore delle vite che lo circondano.

Giudizio: dal punto di vista della storia, sono rimasta spiazzata. Ha tinte velatamente horror, ma non è brutta. Solo che, essendo così diversa dall'originale, del Toro avrebbe potuto semplicemente crearne una propria. La parte straordinaria del film è l'animazione in stop motion e l'estetica molto caratteristica e coerente. Riguardo alle canzoni, mi pongo su una via di mezzo rispetto a quanto si legge in giro: ci stanno, anche se forse si stava meglio senza (mica è la Disney!) ⭐⭐⭐ 1/2

L'animazione non è un genere, è una tecnica.

Guillermo del Toro