Educazione Fisica, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è un film di Stefano Cipriani per il quale i fratelli D'Innocenzo hanno adattato lo spettacolo teatrale scritto da Giorgio Scianna, La palestra.
E in effetti l'impostazione è profondamente teatrale, per via dell'ambientazione ristretta alla fatiscente palestra di un grande istituto comprensivo e per i dialoghi, il numero, la mimica e gli spostamenti molto limitati dei personaggi nello spazio.
La trama presenta subito alcuni problemi e la motivazione da cui origina il dramma è così debole e così mal funzionante che sembra solo un pretesto per portare in scena le emozioni e le reazioni dei protagonisti, che diventano preponderanti. In effetti si tratta proprio di questo, un semplice dare il là, senza aver pensato troppo alla plausibilità degli antefatti.
La preside dell'istituto comprensivo convoca i genitori di tre ragazzini tredicenni: si presentano quattro genitori, una madre, un padre e una coppia, tutti spaesati e perplessi riguardo la motivazione di quella richiesta. Quando la preside si presenta nella palestra è sola (senza uno straccio di collaboratore che gli faccia da testimone) ed espone ai genitori un grave fatto che sarebbe stato compiuto dai loro tre figli. L'intreccio è solo questo: una convocazione, un colloquio e le reazioni che ne derivano. Al centro del riflettore vie è solo il modo in cui queste persone ricevono la notizia, la elaborano e rispondono alla preside e alla destabilizzazione del loro mondo, quasi in una elaborazione del lutto: negazione che sia stato il loro figlio o che sia proprio sua la colpa, rabbia verso chi accusa -ingiustamente- e in parte contro sé stessi, patteggiamento con la propria coscienza e con la preside, depressione e, infine, almeno in parte accettazione.
La parte che riguarda i genitori, quello che provano e come agiscono funziona abbastanza: è una rappresentazione esagerata e grottesca della leonina caparbietà con cui i genitori giustificano e coprono i figli davanti a tutto e tutti, cercando di scaricare la responsabilità su altri (la preside, il sistema, le vittime...) o di diminuirla ai propri occhi prima che a quelli del mondo. Si tratta anche di allontanare dalla coscienza le proprie mancanze e propri sbagli nel crescerli. Il senso della pellicola è provocatorio, chiedendo a personaggi e pubblico fin dove può spingersi un genitore per parare le colpe dei figli.
Se quest'aspetto resta in piedi, anche per via di un'ottima recitazione degli interpreti (in primis Sergio Rubini, ma anche gli altri tre, Angela Finocchiaro, Raffaella Rea e Claudio Santamaria, che fa la parte del leone per numero di battute e carattere del personaggio, se di carattere si può parlare, trattandosi puramente di ruoli tagliati con l'accetta), tutto quello che riguarda la struttura della storia, riassumibile nel personaggio della preside (nelle sue azioni e motivazioni) è un buco nero.
Non si comprende perché convochi i genitori in una palestra e non in presidenza e lo faccia nel tardo pomeriggio, senza avvertire nessuno delle sue intenzioni e senza essere affiancata dalle figure necessarie per una comunicazione del genere. Non si comprende perché li metta a conoscenza in anteprima di fatti non ancora divulgati né perché prima non li abbia comunicati a chi di dovere (forze dell'ordine e diretti interessati). Non si capisce perché si ritenga autorizzata a farlo e quale scopo, soprattutto, abbia per farlo, mettendo a rischio gli interessi delle vittime e i procedimenti che dovevano seguire all'accaduto. Lascia, di fatto, i genitori liberi di alterare delle prove. Nel corso del colloquio, inoltre, sembra schierarsi in una determinata posizione, ma il suo ruolo forse le imporrebbe di restare super partes e, soprattutto, di non prendere iniziative personali.
Chi scrive (non so precisare se anche il testo originale o solo l'adattamento) sembra ignorare il funzionamento di una scuola e i ruoli dei suoi dipendenti, forse volutamente. La preside assurge a una posizione di potere del tutto immaginaria e non verosimile. Inoltre la equipaggiano di una parlata affettata, che persino il personaggio di Santamaria canzona nel corso del film, e che rende l'interpretazione di Giovanna Mezzogiorno la meno riuscita dell'esiguo cast.
In conclusione...
Cosa salvo: interpretazioni di quasi tutto il cast, intento di portare il tema "protezione dei figli al pari di una leonessa" che è stato grottesco, ma interessante
Cosa non salvo: il film manca di una struttura che abbia senso
Giudizio: ⭐⭐
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