lunedì 6 ottobre 2025

Andate a vedere La voce di Hind Rajab

 A un anno (e poco più) dall'ultima recensione di questo blog, torno con un film che mi ha chiesto prepotentemente di diffondere il verbo. 

Volevo già tornare, perché mi mancava raccontare, anche, di cinema, dire la mia su quello che guardo, dopo una stagione che ho passato a vedere film, ma tenendomi tutto dentro. Ecco, già mi mancava qualcosa, ma stanotte proprio non ho chiuso occhio dopo aver visto La voce di Hind Rajab di Kawthar ibn Haniyya (già Leone d'argento per la giuria a Venezia e che tra i produttori ha anche Brad Pitt e tra gli esecutivi  Alfonso Cuarón, Joaquin Phoenix e Roney Mara).


Premetto che sapevo perfettamente cosa stavo per andare a vedere (una delle rarissime volte), essendo un fatto di cronaca del gennaio 2024 (non mi preoccuperò di fare spoiler infatti) e sapendo che il film sarebbe stato in arabo per mantenere i file audio originale delle telefonate tra vittime e centro di coordinamento della Mezzaluna Rossa Palestinese.

Sì, lo sapevo che sarebbe stata la voce di quella bambina di cinque anni che chiedeva aiuto mentre le sparavano addosso, nascosta dentro la macchina degli zii e dei cugini con intorno i cadaveri dei sei parenti morti e appena fuori i carri armati israeliani, ma non ero veramente pronta a sentire la voce minuta di una bambina dell'asilo chiedere:

"Vienimi a prendere."

"Ho paura."

"Morirò presto."

"Mi sparano."

"Venitemi a prendere."

"Sono sola."

"Ho paura del buio."

Non è un'attrice, è proprio la voce di Hind e per noi sono solo un'ora e un quarto di audio su 90 minuti totali di pellicola, ma gli operatori del centro di Ramallah della Mezzaluna Rossa (loro sì, interpretati da attori, salvo nei momenti in cui si vedono o si sentono le registrazioni di quella folle giornata del 29 gennaio 2025) passano tre ore al telefono con la bambina, tentando di rassicurarla e nella paradossale situazione di non poter inviare soccorsi perché nelle aree sotto assedio sparano anche sulle ambulanze.

Oltre alla straziante conversazione fra la bambina terrorizzata e gli operatori telefonici, frustrati dall'impotenza, annichiliti da una tragedia più grande di loro e che non sanno come non far trasparire la loro disperazione affinché Hind resti calma, c'è un interessante punto di vista sviscerato in ogni dettaglio dal film, che riesce a scrivere ogni passaggio molto bene, non didascalico, ma chiaro: i soccorsi della Mezzaluna Rossa sono schiacciati dalla burocrazia militare e in grave pericolo.

Gli operatori che tengono impegnata la bambina al telefono implorano, urlano, si arrabbiano, litigano furiosamente e crollano, emotivamente sfiniti, perché i soccorsi non possono partire, altrimenti finirebbero uccisi come altri colleghi prima di loro, se non viene concordato un percorso sicuro e non è ricevuto un via libera (green light). Il percorso sicuro deve essere ottenuto attraverso la mediazione di un intermediario (uno alla volta o Croce Rossa o Ministero della Salute) e poi di un ulteriore intermediario con l'esercito che risponde al secondo intermediario, che risponde al primo, che comunica alla Mezzaluna. Folle? Certo. E se si interrompe per qualche ragione questa catena? Si ricomincia daccapo. E se la bambina non risponde per dieci minuti? Si ferma tutto. E se nel frattempo le strade intorno sono crollate? Va aggiustato l'itinerario chiedendo nuovi consensi. E come si risponde a una madre o a uno zio che urlano al telefono perché ovviamente non capisce per quale motivo non si può inviare un'ambulanza? No, nelle altre zone le mandiamo, ma a Gaza non si può fare, ci sparano addosso.

Non è un segreto come finisce questa storia: ha fatto il giro del mondo, ripresa proprio perché fosse mostrata sui social, così da spingere l'opinione pubblica e ottenere il percorso sicuro per mandare un'ambulanza dalla bambina. 

Il cinema (tunisino, ma in coproduzione con Francia, Regno Unito e USA,) apre la porta al documentario quando nello schermo del telefono che riprende la scena compaiono proprio i personaggi ripresi in quel 29 gennaio al telefono con Hind: le riprese reali si sovrappongono agli attori palestinesi che recitano, con le stesse movenze dei veri Umar, Rana, Mahdi, Nisrin, gli stessi abiti e volti molto somiglianti. Sono bravissimi gli attori e partecipiamo al dolore e alla rabbia dei protagonisti, che non sanno come affrontare né le difficoltà organizzative, né lo stress psicologico proprio e il loro terribile compito di mentire per tre ore a una bambina di cinque anni sul fatto che l'avrebbero portata via da lì molto presto. La regista tunisina (il film è il candidato della Tunisia per il miglior film internazionale agli Oscar del 2026) ha cercato di rimanere esterna e asciutta, affinché protagonisti fossero quei file audio e quella voce.

Vuoi una definizione di bambino? Ecco: è quella creatura che ti chiede mentre le sparano perché non puoi chiedere a tuo marito se ti accompagna a prenderla per portarla via. 

Vuoi una definizione di guerra? Ecco: è quella situazione in cui morirai se vorrai andare a salvare la bambina; è il finale di questo film (te lo spoilero anche se non lo vai a vedere, quindi, ti prego, vai al cinema perché lo dovrebbe vedere tutto il mondo questo film, anche se non sei pronto, come non lo ero io), ovvero dei soldati che hanno visto benissimo agli infrarossi che in quella macchina è rimasto un corpicino vivo, forse hanno pure visto gli appelli social, ma aspettano l'arrivo dei soccorsi, faticosamente inviati richiedendo un percorso sicuro che è stato burocraticamente avvilente da ottenere, per sparare, così se ne possono uccidere altri due, mentre per tre ore hai psicologicamente torturato la bambina di cinque anni che hai comunque deciso di uccidere.

Questo è più spietato e più potente di un Diario di Anna Frank, perché di Anne avevamo solo le parole, ma di Hind abbiamo anche quella vocina spaventata che ho risentito per tutta la notte.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐⭐

Nessun commento:

Posta un commento