mercoledì 22 novembre 2023

EO: il mio trauma animalista

 Ho aspettato molto a parlare di questo film, visto durante l'estate, perché dovevo riprendermi dal formidabile shock della sua visione che è stata potente e penosa (e uso entrambi gli aggettivi in senso positivo).


Il regista polacco Jerzy Skolimowski frequenta le kermesse europee dagli anni Sessanta e al Festival di Cannes 2022 ha presentato lo straziante EO, che gli è valso il premio della giuria. Il film è stato anche selezionato nella cinquina di film che ha concorso all'Oscar 2023 nella sezione film internazionali.

La sceneggiatura adatta il film di Robert Bresson del 1966, Au hasard Balthazar, che all'epoca fu presentato alla Mostra del cinema di Venezia.

In entrambe le storie l'asinello protagonista subisce ogni possibile disavventura e crudeltà e, in particolare, nell'adattamento di Skolimowski la storia inizia da una condizione di temporanea serenità. EO è l'asinello di un circo polacco, coccolato e benvoluto dalla sua compagna di performance, finché il circo non viene chiuso e gli animali sono smistati in altre sistemazioni. Paradossalmente è un'associazione animalista che fa allontanare le bestie, accusando i circensi di crudeltà sugli animali, ma le destinazioni di EO (forse anche degli altri?) restano sempre utilitaristiche e raramente benefiche per il povero animale. Iniziano dunque le peripezie della bestiola, sballottata da un rifugio a un luogo di lavoro, da una sistemazione a un'altra. A volte è lo stesso EO che scappa da situazioni più o meno negative: romanticamente si direbbe che cerchi di tornare dalla sua padroncina, le cui attenzioni forse rimpiange (continuano a salirmi le lacrime anche a scriverne).

Il regista sembra dirci proprio questo e lo fa esclusivamente attraverso le immagini. I personaggi umani dialogano tra loro o parlano a EO, ma molte scene non prevedono affatto la loro presenza e il punto di vista sembra essere sempre quello dell'asinello. La scelta delle inquadrature e delle immagini vogliono dirci cosa pensa EO, cosa vede e il linguaggio elaborato da Skolimowski mi ha incantata: è essenziale, è preciso, l'immagine è potente, perché riesce a raccontare sequenze narrative, ma anche sentimenti e pensieri senza necessità della parola. La durata del film è contenuta (meno di un'ora e mezza), ma sufficiente a raccontare molti episodi e ad arrivare al cuore dello spettatore (e distruggerlo).

Sono tornata a casa molto turbata dalla visione (alcune scene sono crude, anche solo facendo intendere, senza mostrare) e rattristata dalla storia, ma anche entusiasta di aver visto una prestazione registica così raffinata, un linguaggio così pulito e conciso e allo stesso tempo perfettamente capace di generare emozioni fortissime.

Il regista centra in pieno il suo intento, giacché ha messo in scena questa storia mosso da ideali animalisti e desideroso di denunciare la crudeltà sugli animali.

Giudizio: crudo ma perfetto ⭐⭐⭐⭐⭐

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