Un tema come quello del viaggio si è prestato, si presta e sempre si presterà a molte varianti e molte interpretazioni. Il viaggio forma, allarga i confini della mente, conduce verso luoghi di dannazione o più spesso salvifici, ma in ogni caso incide per sempre qualcosa nell'anima di chi lo compie e lo trasforma per sempre. E il viaggio che Matteo Garrone racconta in questo suo ultimo film, Io capitano, acclamato alla Mostra del cinema di Venezia, ricalca tutti i tòpoi del viaggio dell'eroe.
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La rotta passante per Mali, Niger e Libia che compiono i due protagonisti |
L'eroe di questa vicenda è un ragazzo di sedici anni senegalese che parte col cugino per il viaggio, quel viaggio, quello verso
Il film si apre in un'atmosfera distesa e di festa: Seydou vive con sua madre e le sue sorelle in Senegal, ma vorrebbe andarsene col cugino Moussa, col quale condivide l'aspirazione di diventare un'artista musicale, in Europa per inseguire il loro sogno, infatti i due scrivono e cantano insieme.
Lo diresti il classico sogno americano, peccato che loro siano nati dalla parte sbagliata del mondo e, dunque, questi sono sogni che non possono permettersi. Di nascosto dalle loro madri, però, i due ragazzi, circa sedicenni, lavorano per sei mesi e mettono da parte una cifra che credono sia sufficiente a tentare il viaggio, malgrado qualcuno glielo sconsigli per via della durezza e dei pericoli. Forse sottostimando il rischio e ancora piuttosto naive, soprattutto Seydou, i due cugini comunque partono.
Garrone ci introduce di botto, con un passaggio secco dall'immagine idealizzata e romantica di avventura che avevano Seydou e Moussa (con tanto di canzone on the road che accompagna il fuoristrada nel deserto) alla cruda realtà, al tema del film: le difficoltà, le ingiustizie, la barbarità della traversata in una delle rotte dei migranti. Ribalta la prospettiva che normalmente in Europa abbiamo del fenomeno (l'arrivo di masse di profughi sulle coste mediterranee) per mostrarcelo con gli occhi di chi il viaggio lo compie. Infatti il viaggio e il film si concludono alle porte dell'Unione Europea, senza mostrare cosa accade dopo. La Sicilia nel film rappresenta la soglia, oltre la quale non ci sono più uomini pronti a sparare su altri uomini. Dietro di loro la loro vita non vale nulla, possono essere uccisi o feriti impunemente; davanti a loro, invece, la vita umana ha qualche valore (non lo stesso della nostra, poiché ancora uno non vale uno, ancora sussistono delle discriminazioni e capita che possano essere aggrediti e considerati di valore inferiore, ma nessun governo EU può negargli i diritti fondamentali - almeno nominalmente). Il rischio di morire diminuisce. La porta d'ingresso per l'Europa è già salvezza.
Il continuo salasso imposto dalle autorità dei vari paesi per lasciar passare anziché bloccare i migranti in carcere; il denaro che non basta mai perché te lo portano via in ogni modo; la difficoltà di ottenere dei visti legittimi (problema radicato nei paesi del continente africano e che rappresenta, oltre a un'ingiustizia che differenzia i suoi abitanti da quelli di altri continenti, la causa principale di abuso di potere degli stati africani sui migranti che circolano sul loro suolo); l'incontro con approfittatori e truffatori spregiudicati che promettono ma non mantengono; la traversata del deserto Sahara, i predoni militari, le carceri libiche e le torture perpetrate al loro interno; i morti: tutto l'orrore della tratta Mali-Niger-Libia Garrone ce lo racconta e, anche se fa soffrire il suo pubblico più di una volta, ci va anche abbastanza piano. Pur non spettacolarizzando l'orrore, il messaggio che doveva passare passa.
La proiezione a cui ho assistito, al cinema Fiorella di Firenze, si concludeva con un saluto al pubblico del regista e dei due coprotagonisti, freschi di Leone d'Argento (per la regia) e di Premio Marcello Mastroianni a Seydou Sarr. Il caso (o quantomeno così ha spergiurato il regista) ha voluto che in sala ci fosse anche un giovane proveniente dal Gambia, che Garrone ha individuato tra gli astanti in piedi e a cui ha domandato se avesse fatto il viaggio e se quello che il film aveva mostrato corrispondesse alla realtà (uno stress test, insomma). Il ragazzo ha ammesso di aver compiuto il viaggio una volta e che ha trascorso la proiezione a piangere, poiché quello a cui noi abbiamo assistito come film e che ci aveva comunque strappato non poche lacrime, per lui era la rievocazione di quanto aveva passato in precedenza.Vorrei avvertire gli stomaci deboli di astenersi dalla visione, ma in tutta onestà non posso. Credo che questo sia un film che va visto e non solo perché avere contezza di quello che questa gente passa nella traversata è essenziale a maturare un'empatia nei confronti nel tanto disprezzato (dalla politica populista) immigrato e dunque a rileggere sotto una diversa ottica il fenomeno, ma anche perché è un film di una bellezza e di una poetica rara. Questa pellicola non è un'accozzaglia di scene patetiche. Questo è un film scritto come dio comanda, con la profondità di una storia di formazione all'interno della denuncia che intende muovere. Ha più livelli di profondità e di lettura che gli conferiscono una completezza e una struttura rigorosa.
La scrittura a più mani di Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri è stata tratta da alcune storie vere, tra cui quella di un migrante, attualmente magazziniere in Belgio, che si è fatto sei mesi di carcere come scafista e che non ha potuto partecipare alla Mostra di Venezia, come ci ha raccontato Garrone, perché la sua posizione non è stata regolarizzata. Tra i nomi di ragazzi che hanno compiuto il viaggio e la cui storia ha ispirato il film ci sono: Kouassi Pli Adama Mamadou, Arnaud Zohin, Amara Fofana, Brhane Tareke, Siaka Doumbia. Riconoscibile, inoltre, il contributo di Ceccherini, soprattutto nella prima parte del film e in tutti i momenti di alleggerimento della storia.
Garrone fa sentire la sua mano in molte scene: ci sono molti momenti onirici, frutto dell'immaginazione di un Seydou confuso dalla disidratazione, tra cui quella bellissima in cui immagina di tornare dal carcere libico in volo dalla madre e chiede a uno spirito di farle sapere che sta bene. Spezzacuore. Spezzacuore come il saluto che si danno Seydou e un altro personaggio cruciale del film, che funge da mentore e aiutante del nostro eroe. Spezzacuore come la scena in cui deve salutare un'altra compagna di viaggio, che rivede in una delle sue visioni, il cui spezzone era già circolato in fase di promozione all'interno del trailer.
Ho trovato bellissime altre due scene. All'inizio del film Seydou e Moussa cercano di propiziarsi gli antenati per facilitare il viaggio sotto un albero che mi ha ricordato l'albero degli impiccati di Pinocchio. Garrone stesso ammette che c'è più di qualche riferimento alla sua penultima opera in questo film: i due cugini come Pinocchio e Lucignolo partono alla ricerca del Paese dei Balocchi, salvo poi scontrarsi con la realtà; successivamente si assiste a una grande maturazione di Pinocchio, che impara a non essere egoista, a prendersi cura del padre.
Durante la traversata in barca, inoltre, si trovano a passare davanti a delle piattaforme petrolifere illuminate in mezzo al Mediterraneo e in questa scena trovo che il lavoro fotografico di Paolo Carnera sia stato sublime.
Il viaggio in barca è un po' il terzo atto del viaggio del nostro Seydou, la sua prova finale in cui dimostra di non essere più il ragazzo ingenuo che pensava che tutto sommato il viaggio sarebbe stato alla sua portata, quando ancora era nel suo luogo sicuro. Ormai nel suo atto centrale il nostro eroe si è scontrato con la realtà di questo viaggio, sa chi sono i suoi nemici, sa che nessuno può aiutarlo tranne chi gli è più immediatamente vicino in quella prova finale, ma -meravigliosamente- non si è perso. Seydou ha mantenuto la sua anima intatta, pura, durante tutte le traversie e, ormai molto più forte, porta a compimento l'ultimo test.
La scrittura e l'eccellente prova di Seydou Sarr hanno saputo restituire un personaggio molto reale, sensibile, dolcissimo, coraggioso, fragile e allo stesso tempo resiliente; un'eroe indimenticabile. Un plauso va all'interpretazione di entrambi i giovani senegalesi (Sarr e Moustapha Fall), che ci hanno raccontato in sala i loro provini e hanno ammesso di essere alla prima esperienza come attori.
Infine concludo con una considerazione sul ritmo del film: non oscilla mai, avanza lento e inesorabile, senza perdersi in niente di superfluo. Le scene sono tutte essenziali e il film risulta così asciutto, non prolisso. Riesce a contenersi in due ore secche, che non si fanno mai sentire, malgrado lo sforzo aggiuntivo di vederlo in lingua originale (misto di wolof, la lingua senegalese, e francese) con i sottotitoli.
Giudizio: ⭐⭐⭐⭐⭐ Il film mi ha profondamente commossa in più di una scena e mi ha messo i brividi per molte altre. Ha una grande profondità di scrittura, una pulizia di regia e una potenza inarrivabili. Semplicemente bellissimo
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