giovedì 9 febbraio 2023

I lati più fragili della più famosa bionda del cinema

 La conosciamo universalmente come sex symbol e diva per eccellenza, ma nel libro di Joyce Carol Oates e nell'omonimo film che adatta il romanzo, Blonde, scritto e diretto da Andrew Dominik, si esplorano i lati più fragili di Marilyn Monroe, celati dietro quella maschera di bionda svampita e frivola.


Presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia prima di approdare sulla piattaforma Netflix, su cui l'ho recuperato la settimana scorsa, il film affronta la vita di Norma Jeane Mortenson (al secolo Marilyn Monroe) dall'infanzia alla morte, soffermandosi quasi esclusivamente sui momenti più dolorosi, mortificanti e svilenti della sua esistenza in un susseguirsi di apici del dolore: la madre che la picchiava e che tentò di affogarla da bambina, l'abbandono in orfanotrofio; la malattia della madre e il rapporto di assenza con entrambi i genitori; la violenza sessuale che la portò a debuttare nel mondo del cinema dopo le fotografie fatte come modella; il continuo svilimento della sua persona in quanto donna-oggetto che aveva un corpo stupendo e basta; quel ruolo da bellissima ma stupida che non riusciva a staccarsi di dosso (perché in quegli anni eri il personaggio che rappresentavi al cinema la prima volta, dentro e al di fuori del set, con tanto di sorpresa nello scoprire che poi la ragazza leggeva Dostoevskij e aspirava a interpretare i personaggi di Cechov); la dissociazione tra Norma e Marilyn; i matrimoni e le relazioni in cui o veniva picchiata o sfruttata; gli aborti; la solitudine, le droghe. A un certo punto mi è venuto spontaneo chiedermi perché fossero stati scelti solo questi spaccati (mi sono ricordata che la nostra diva aveva anche recitato al fianco di Laurence Olivier, per esempio, e ho ipotizzato che qualche soddisfazione nella carriera forse le sarà giunta), ma la risposta è subito apparsa evidente: non solo una precisa scelta di chi ha scritto almeno la sceneggiatura (non so dire del romanzo), ma l'inevitabile risultato degli eventi che hanno segnato la sua storia.

Come si può facilmente comprendere dalla trama, questo film è stato un calvario: tutto questo dolore condensato in due ore e quarantacinque minuti non lasciano la possibilità di riprendersi un istante. Ed è un peccato che temi importanti e sottovalutati come quelli che il film porta siano stati affrontati proprio in questa pellicola così controversa che ha spaccato la critica, riuscendo a farsi candidare per la straordinaria interpretazione di Ana de Armas ai principali premi cinematografici dell'anno (Golden Globe, BAFTA, SAGA, Oscar) e contemporaneamente a otto (il maggior numero di nomination di quest'anno) peggiori performance ai Razzie Awards: peggior film, peggior prequel-remake-rip-off-sequel, peggior regista, peggior sceneggiatura, peggiori attori non protagonisti (Xavier Samuel e Evan Williams), peggiori coppie.

Il film in effetti ha diversi problemi e probabilmente la scrittura e la regia, che ha alcune scene veramente girate in modo strano, con riprese dal basso in movimento, riprese da video della comunione e scene fanta-cartoonesche dei feti.

Malgrado la discutibilità della messa in scena, ci sono state scene che mi hanno veramente devastata emotivamente per gli eventi raccontati: fino al matrimonio con Miller ero "solo" scossa. La sequenza in cui si inserisce la splendida canzone di Nick Cave and the Bad Seeds, Bright Horses (mannaggia, poteva ricevere una candidatura!), mi ha proprio strappato il cuore a brandelli e ho cominciato a piangere da quel momento per poi precipitare in un vortice di degrado e lacrime. Finito il film (rendiamoci conto che due ore e 45 minuti così sono un buco nero che assorbe ogni briciolo di serenità, speranza e buonumore), che ho visto da sola sul divano, sono stata angosciata per tutto il resto della serata. Questo effetto "Dissennatore" avrebbe dovuto imporre una durata più contenuta al film, per porre fine alla mia agonia molto prima. Ma, come sempre, niente poteva lo stesso giustificare la sua mastodontica lunghezza: una quarantina di minuti sarebbero potuti tranquillamente essere tagliati.

Riguardo alle interpretazioni, dopo aver visto Ana de Armas, trovo difficile credere che qualsiasi altra attrice possa piacermi altrettanto e, nel momento in cui scrivo, è la mia preferita nella cinquina per l'Oscar. Devo dire di aver trovato molto valida la recitazione di Adrien Brody nella piccola particina che ha avuto come secondo marito di Marilyn, nella scena in cui per la prima volta si confrontano Norma e Arthur.

In conclusione...

Cosa mi è piaciuto: Ana de Armas, Adrien Brody, Bright Horses

Cosa non mi è piaciuto: tutta la messa in scena e questo abisso della disperazione

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

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