sabato 18 febbraio 2023

Gli spiriti dell'isola: fiaba nera teatrale e macabra

Il film scritto e diretto da Martin McDonagh, Gli spiriti dell'isola, che ha concorso per il Leone d'Oro a Venezia, aggiudicandosi la Coppa Volpi (Colin Farrel) e il Premio Osella (sceneggiatura), si è meritato anche otto candidature ai Golden Globes (vincendo per il miglior attore protagonista e come miglior Commedia) e nove agli Oscar (film, regia, sceneggiatura originale, Colin Farrell, Barry Keogan, Brendan Gleeson, Kerry Condon, colonna sonora e montaggio).


Il pretesto per l'avvio è molto semplice: "non mi vai più a genio". Un pochino più motivato, ma a un certo punto della loro amicizia Colm (Gleeson), compositore e violinista, decide di rompere i rapporti con Pádraic (Farrell), che è incredulo, oltre ad avere l'orgoglio ferito e il cuore a pezzi, tanto da non rassegnarsi alla prima che tutto sia davvero finito. Su questa situazione semplicissima si innestano una serie di cause-effetti, che non si possono raccontare perché vanno scoperti in sala (il trailer non fa capire quasi niente, cerca solo di restituire l'atmosfera del film), in una catena di eventi inarrestabile che costituisce questa sceneggiatura molto efficace e di impianto chiaramente teatrale. Ogni passaggio è orchestrato in modo preciso come in un meccanismo i cui ingranaggi sono perfettamente oleati: la narrazione è pulita, senza sbavature, apprezzatissima.

La storia è ambientata nel 1923, sullo sfondo della guerra civile irlandese, di cui si sente parlare dai personaggi, che però sono estranei a quei conflitti che riguardano la Terraferma, li percepiscono lontani, mentre loro, confinati nella lenta vita isolana di Inisherin, vivono contrasti e malumori più quotidiani, ma non meno viscerali.

Il tono è metà giocoso, con alcune battute molto divertenti, e metà grottesco, come in una fiaba nera in cui, infatti, compaiono anche le Banshees, gli spiriti annunciatori di disgrazie, che poi sono mantenute (mi sono data anche una mia interpretazione al riguardo), spostando velatamente la narrazione sul genere fantastico. Il grottesco in questo film si sposta fino al macabro, accentuato e molto insistito, anche se cartoonesco: è sopportabile, ma occupa molta parte della storia, quasi troppa, vi viene pesantemente posto l'accento, come se il regista lo eleggesse a elemento cardine. Il finale resta un po' aperto e a me lascia anche un dubbio sul personaggio di Colm.

La storia è ricca di personaggi che animano l'isola, un po' più che comparse, molto pittoreschi: c'è il barista diplomatico, la gestrice dell'emporio avida di pettegolezzi, il poliziotto violento, la vecchia megera, che come in tutte le fiabe non è mai quello che sembra, lo scemo del villaggio, che però interpretato da Barry Keogan ha una credibilità e un'autenticità non comuni (una delle mie interpretazioni preferite nella categoria Attori Non Protagonisti per gli Oscar). Altro ruolo importante, quello della sorella di Pádraic, Siobhán (Kerry Condon), combattuta tra prendersi cura del fratello, uomo semplice e illetterato, ma gentile, e perseguire i propri obiettivi personali.

Le interpretazioni conferiscono davvero un'anima a tutti questi personaggi: è un'esperienza immersiva, si entra davvero nel mondo di Inisherin, i cui bellissimi paesaggi sono, oltretutto, fotografati al meglio. Mi sono molto piaciuti i coprotagonisti, anche se ancora non so se Colin Farrell sarà il mio preferito, ma mi ha convinto molto e dà corpo a un ruolo che abitualmente non gli tocca. Trovo Gleeson sempre impeccabile, qualunque personaggio gli sia assegnato, e qui è stato davvero preciso e in parte, ma l'interpretazione che ho davvero trovato perfetta è stata quella di Keogan. Nella cinquina delle attrici non protagoniste, invece, ora che ho visto Everything Everywhere All at Once, ha pane per i suoi denti la comunque brava Kerry Condon.

In conclusione, però, malgrado questo film non abbia difetti (è pure più corto dei polpettoni che stanno uscendo ultimamente, sotto le due ore, che occupa per intero, e la sceneggiatura è così ben scritta -questo è il motivo per cui è contenuto- che non lascia niente da tagliare), non ha incontrato il mio gusto, probabilmente per il genere, per la storia in sé, che non mi ha interessato e conquistato davvero, e per il macabro molto sottolineato visivamente. È puramente una questione di gusto personale, perché tecnicamente il film è perfetto e consiglio ugualmente la sua visione.

Cosa mi è piaciuto: scritto benissimo, ottime recitazioni, ambientazione che ricrea il fascino di un villaggio irlandese in modo davvero piacevole

Cosa non mi è piaciuto: Jenny (chi ha visto sa), vicenda per me poco interessante, macabro

Giudizio: ⭐⭐⭐1/2

giovedì 9 febbraio 2023

I lati più fragili della più famosa bionda del cinema

 La conosciamo universalmente come sex symbol e diva per eccellenza, ma nel libro di Joyce Carol Oates e nell'omonimo film che adatta il romanzo, Blonde, scritto e diretto da Andrew Dominik, si esplorano i lati più fragili di Marilyn Monroe, celati dietro quella maschera di bionda svampita e frivola.


Presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia prima di approdare sulla piattaforma Netflix, su cui l'ho recuperato la settimana scorsa, il film affronta la vita di Norma Jeane Mortenson (al secolo Marilyn Monroe) dall'infanzia alla morte, soffermandosi quasi esclusivamente sui momenti più dolorosi, mortificanti e svilenti della sua esistenza in un susseguirsi di apici del dolore: la madre che la picchiava e che tentò di affogarla da bambina, l'abbandono in orfanotrofio; la malattia della madre e il rapporto di assenza con entrambi i genitori; la violenza sessuale che la portò a debuttare nel mondo del cinema dopo le fotografie fatte come modella; il continuo svilimento della sua persona in quanto donna-oggetto che aveva un corpo stupendo e basta; quel ruolo da bellissima ma stupida che non riusciva a staccarsi di dosso (perché in quegli anni eri il personaggio che rappresentavi al cinema la prima volta, dentro e al di fuori del set, con tanto di sorpresa nello scoprire che poi la ragazza leggeva Dostoevskij e aspirava a interpretare i personaggi di Cechov); la dissociazione tra Norma e Marilyn; i matrimoni e le relazioni in cui o veniva picchiata o sfruttata; gli aborti; la solitudine, le droghe. A un certo punto mi è venuto spontaneo chiedermi perché fossero stati scelti solo questi spaccati (mi sono ricordata che la nostra diva aveva anche recitato al fianco di Laurence Olivier, per esempio, e ho ipotizzato che qualche soddisfazione nella carriera forse le sarà giunta), ma la risposta è subito apparsa evidente: non solo una precisa scelta di chi ha scritto almeno la sceneggiatura (non so dire del romanzo), ma l'inevitabile risultato degli eventi che hanno segnato la sua storia.

Come si può facilmente comprendere dalla trama, questo film è stato un calvario: tutto questo dolore condensato in due ore e quarantacinque minuti non lasciano la possibilità di riprendersi un istante. Ed è un peccato che temi importanti e sottovalutati come quelli che il film porta siano stati affrontati proprio in questa pellicola così controversa che ha spaccato la critica, riuscendo a farsi candidare per la straordinaria interpretazione di Ana de Armas ai principali premi cinematografici dell'anno (Golden Globe, BAFTA, SAGA, Oscar) e contemporaneamente a otto (il maggior numero di nomination di quest'anno) peggiori performance ai Razzie Awards: peggior film, peggior prequel-remake-rip-off-sequel, peggior regista, peggior sceneggiatura, peggiori attori non protagonisti (Xavier Samuel e Evan Williams), peggiori coppie.

Il film in effetti ha diversi problemi e probabilmente la scrittura e la regia, che ha alcune scene veramente girate in modo strano, con riprese dal basso in movimento, riprese da video della comunione e scene fanta-cartoonesche dei feti.

Malgrado la discutibilità della messa in scena, ci sono state scene che mi hanno veramente devastata emotivamente per gli eventi raccontati: fino al matrimonio con Miller ero "solo" scossa. La sequenza in cui si inserisce la splendida canzone di Nick Cave and the Bad Seeds, Bright Horses (mannaggia, poteva ricevere una candidatura!), mi ha proprio strappato il cuore a brandelli e ho cominciato a piangere da quel momento per poi precipitare in un vortice di degrado e lacrime. Finito il film (rendiamoci conto che due ore e 45 minuti così sono un buco nero che assorbe ogni briciolo di serenità, speranza e buonumore), che ho visto da sola sul divano, sono stata angosciata per tutto il resto della serata. Questo effetto "Dissennatore" avrebbe dovuto imporre una durata più contenuta al film, per porre fine alla mia agonia molto prima. Ma, come sempre, niente poteva lo stesso giustificare la sua mastodontica lunghezza: una quarantina di minuti sarebbero potuti tranquillamente essere tagliati.

Riguardo alle interpretazioni, dopo aver visto Ana de Armas, trovo difficile credere che qualsiasi altra attrice possa piacermi altrettanto e, nel momento in cui scrivo, è la mia preferita nella cinquina per l'Oscar. Devo dire di aver trovato molto valida la recitazione di Adrien Brody nella piccola particina che ha avuto come secondo marito di Marilyn, nella scena in cui per la prima volta si confrontano Norma e Arthur.

In conclusione...

Cosa mi è piaciuto: Ana de Armas, Adrien Brody, Bright Horses

Cosa non mi è piaciuto: tutta la messa in scena e questo abisso della disperazione

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

martedì 7 febbraio 2023

Il primo giorno della mia vita mi è piaciuto tantissimo

Il nuovo film diretto da Paolo Genovese è l'adattamento, scritto insieme a Paolo Costella, Rolando Ravello (che erano anche co-sceneggiatori di Perfetti Sconosciuti) e Isabella Aguilar, del romanzo dello stesso regista, Il primo giorno della mia vita. Mi è piaciuto così tanto che credo mi procurerò il libro.


La storia ha inizio in una notte di pioggia a Roma: un uomo (Toni Servillo) sta facendo salire in auto alcune persone, un uomo (Valerio Mastrandrea), Napoleone, una ragazza su una sedia a rotelle (Sara Serraiocco), Emilia, una poliziotta (Margherita Buy), Arianna, per condurli all'Hotel Columbia, poiché hanno accettato di dargli una settimana di tempo per provare a far loro cambiare prospettiva.

Non mi è possibile dire altro della trama senza rischiare di svelare sorprese (che magari dal trailer si intuiscono anche). In altre occasioni ho rivelato anche molto di più, ma trovo che in questo particolare contesto sia proprio bello scoprire tutto in sala e raccomando fortissimamente di vedere questo film.

A me piacque molto anche Perfetti Sconosciuti (ho trascinato il mio compagno a recuperarlo, quando di solito me lo porto dietro solo per film action-thriller-avventura) e Tutta colpa di Freud, anche questo visto un paio di volte, fatto abbastanza insolito per me. 

In tutti questi tre casi Paolo Genovese non era solo alla regia, ma anche nella sceneggiatura e in tutti questi tre casi l'ho trovata molto ben scritta. Ne Il primo giorno della mia vita i personaggi non sono stereotipati o tagliati con l'accetta, non sono nemmeno sfaccettati al massimo, ma sono abbastanza approfonditi: Napoleone più di tutti, ma abbastanza anche Emilia; un pochino meno i personaggi di Arianna e del piccolo Daniele. I dialoghi sono stati in molti casi brillanti, esclusa qualche frase un po' plateale, ma sono pochissime. La situazione creata è molto interessante e originale e le regole che sono stabilite vengono abbastanza rispettate, a meno che non sia spiegato allo spettatore il motivo per cui sono sospese. La storia ha molto da dire (e lo fa in solo due ore, cosa possibilissima, anche se a Hollywood non se ne sono ancora accorti), toccando uno stesso argomento da quattro (più una) prospettive diverse, ognuna diversa, alcune poggiate su motivazioni più tangibili, ma una no (e per questo è quella più bella e controversa da affrontare). Ci sono alcuni colpi di scena, alcune sorprese in questo racconto, che lascia in sospeso lo spettatore fino all'ultimo (anche se l'ultima scena era un briciolo telefonata). L'emozione c'è, molto spesso trattenuta: non è un film che fa piangere, fa più riflettere. Non mi stava piacendo nelle prime scene: era molto buio e anche il sonoro sembrava spento, durante quella notte piovosa e oscura, ma quando inizia questa settimana "di prova" l'illuminazione cambia.

Le recitazioni sono state precise e mi sono piaciute, anche Margherita Buy, che in altre occasioni mi ha lasciata più tiepida. Toni Servillo sempre ad alti livelli, Valerio Mastrandrea vestiva una parte aderentissima alla sua recitazione. Si rivede anche Elena Lietti, che sta girando un film (di successo) dopo l'altro: era anche in Le otto montagne e Siccità.

Il ritmo regge, le storie sono interessanti e la suspense sulle decisioni dei personaggi fa sì di voler andare avanti, di voler sapere come va a finire. Gli spaccati sul futuro dei personaggi ci lasciano ancora una curiosità insoddisfatta.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐